Choson, 1503
La condizione di principe esiliato aveva portato Yoongi a fidarsi unicamente delle persone che vivevano sotto al suo tetto. La cosa, però, in fondo non gli dispiaceva. Erano pochi quelli che tollerava e ancora meno quelli a cui concedev...
Durante le prime ore dopo che il principe ebbe tratto l'ultimo respiro, Taehyung si rifiutò di allontanarsi dal corpo privo di vita. Si era avvinghiato a lui, circondandolo con le sue braccia e sporcandosi la veste e la pelle del sangue che lentamente stava cessando di fuoriuscire. Il suo pianto continuò a levarsi nell'aria con singhiozzi e grida disperate, riecheggiando nell'ambiente assieme a quello di Hoseok.
Diana non riusciva a parlare. Era rimasta seduta accanto a lui, con le dita a circondare il suo volto freddo e a versare lacrime sulle sue guance pallide. Le sue ciocche bionde erano ricadute in avanti accarezzando a loro volta il suo viso, ma neppure esse furono in grado di risvegliarlo.
In un qualche momento, si accorse del fatto che Seokjin aveva allungato la mano per chiudere le palpebre sugli occhi inanimati e si era allontanato dalla stanza. Jimin invece era rimasto sulla soglia della porta raccolto in un rispettoso silenzio, qualche lacrima solitaria a solcargli il viso. Hoseok si era raggomitolato su se stesso, come un bambino spaventato e abbandonato, intento a piangere con la testa immersa nelle sue ginocchia e la schiena scossa dai singhiozzi. Jungkook aveva da lungo tempo abbandonato la stanza in un turbine di porte sbattute e piedi che pestavano il pavimento.
E all'arrivo di Namjoon, la situazione non era cambiata. Il mattino era ormai giunto e quando il giovane fece il suo ingresso, Diana fu l'unica a sollevare il capo per osservarlo. Il suo hanbok era a tratti strappato, ma il suo corpo non sembrava riportare ferite. Quando la sua testa, però, si abbassò, la ragazza vide il suo viso impallidire.
Lei rimase a fissarlo impotente. Incontrò il suo sguardo confuso e, in risposta, fece cadere gli occhi sul volto gelido sotto di sé prima di tornare a guardare il giovane. Era come se gli stesse dicendo, in quella comunicazione ammutolita dal dolore: "Non c'è stato nulla che potessimo fare".
E fu allora che Diana lo vide avvicinarsi lentamente, come timoroso di disturbare la scena, e piegarsi a terra inchinandosi davanti al corpo. E rimase lì, con loro, nel silenzio disturbato solo dai lamenti di Taehyung. Non una lacrima, non un singhiozzo. Ma il suo volto era cinereo, freddo come il cielo nero che precede una tempesta.
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Quando Diana aprì la porta della stanza che era occupata da Hoseok, Seokjin e Jimin, trovò l'assistente seduto sul bordo del pavimento con le gambe a penzoloni e gli occhi rivolti verso il sentiero che si immergeva nel bosco. La ragazza, stringendo le labbra nel tentativo di sopprimere una smorfia, si avvicinò e gli toccò appena la schiena, segnalandogli silenziosamente il suo arrivo poco prima di sedersi accanto a lui.
Per qualche istante, rimasero semplicemente così. Uno accanto all'altra, chiusi in un mutismo addolorato, stanco e incapace di trovare le parole per esprimere l'avido vuoto che entrambi provavano.
Quando finalmente Hoseok iniziò a parlare, Diana si voltò a guardare il suo profilo.
-È colpa mia.
La ragazza scosse il capo, negando con veemenza, ma il giovane non sembrava neppure accorgersi della sua presenza.