Capitolo 5.

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Sabato, 3 Ottobre 1964

Al sesto giro di corsa, sento che i polmoni stanno per gridare pietà e assieme a loro la maggior parte dei miei muscoli che da nove giorni vengono torchiati senza alcun rispetto per la sofferenza umana. O almeno questo è quello che ho detto al mio nuovo allenatore per ottenere addestramenti più leggeri, ma non ha sortito effetti. E per carità, aver affidato Bucky all'addestramento soldati è stata probabilmente la scelta più giusta che si potesse fare, ma chiedergli di allenare anche me, beh.. Vorrei tanto rimangiarmelo.
«Posso smettere?»
Chiedo quando gli passo davanti mentre se ne sta a braccia conserte ad osservarmi.
«Non hai nemmeno cominciato.»
Mi risponde superficialmente e la sua voce riecheggia nella palestra vuota. Aspetto sempre la fine del suo turno per raggiungerlo qui sotto, è più tranquillo e in più non devo confrontarmi con un esercito di soldati addestrati.
Raggiunta la metà del lato lungo mi fermo e mi appoggio alle ginocchia per riprendere fiato; non riesco a continuare oltre.
«Già arresa?»
Mi fa lui, avvicinandosi al centro del campo. Alzo un dito per chiedergli del tempo.
«Dammi un minuto.»
Lo sento ridacchiare con una vena di soddisfazione mentre continua a camminare verso di me.
«Se fossi stata una delle gavette di oggi, ti avrei già spedita a terra a fare addominali per questa interruzione.»
Scuoto il capo e mi raddrizzo con una smorfia per la milza dolorante.
«Quanti?»
«Almeno cinquanta, signorina.»
Non ho nessuna voglia di buttarmi a terra per fare esercizi, ma più per sfida verso di lui che per altro, mi sistemo sul pavimento con la schiena a terra.
«Bene, contameli.»
L'uomo resta a guardarmi per qualche secondo, poi piega un ginocchio a terra per reggermi le caviglie e quando mi tiro su, ho il suo viso a pochi centimetri dal mio.
«Le hanno mai detto che è testarda come un blindato?»
Torno giù e riprendo fiato, pensando al fatto che la sua faccia tra le mie ginocchia sia un incentivo più che valido per continuare a sforzarmi.
«In continuazione.»
Continuo gli esercizi, sentendo l'addome tremare e supplicare di smettere.
«Adesso capisco perché.»
«Stai diventando sfacciato.»
Colgo appena il modo in cui sorride di lato e qualcos'altro in me trema, ma stavolta non sono gli addominali.
«Allora, cosa studiamo stasera?»
Da quando ho ottenuto l'approvazione di mio padre nel tenere il Soldato d'Inverno fuori ibernazione per impiegarlo come addestratore, Bucky ha voluto essere aggiornato su tutti i grandi eventi storici che si era perso, quindi ogni sera gli portavo un argomento nuovo.
«1957, lanciamo il primo satellite artificiale nello spazio, lo Sputnik 1.»
Mentre mi alzo e mi abbasso, vedo solo a tratti la reazione che lo coglie a quella informazione.
«Abbiamo un satellite nello spazio?!»
«E un mese dopo ci abbiamo mandato anche un cane, Laika. A bordo dello Sputnik 2. L'ho anche accarezzata prima che partisse.»
La prospettiva di un argomento tanto interessante riesce a ridurre il mio allenamento, che prosegue in altri quattro giri di corsa, un percorso ad ostacoli e due sessioni contro dei sacchi da boxe che non riesco nemmeno a smuovere, né a calci, né a pugni. Solo in ultimo, lo colpisco con un calcio diritto, riuscendo a farlo ondeggiare, cosa in cui non ero mai riuscita. Mi poso le mani sui fianchi con fare soddisfatto e mi giro a guardare Bucky, sperando abbia notato il mio 'traguardo'.
Lo trovo a pochi passi dietro di me che sta fissando qualcosa dall'altra parte della palestra; seguo il suo sguardo, ma non trovo o vedo nulla.
«Hey, tutto bene?»
È come se i suoi pensieri si trovassero molto lontano da qui, nel tempo e nello spazio e ne ho conferma quando le mie parole sembrano destarlo da un sogno.
«Possiamo finire qui per oggi.»
Si allontana in fretta da me per andare a recuperare le sue cose e ficcarle nella sacca di tela.
Mi avvicino a lui, anzi lo seguo in fretta quando si dirige fuori dalla palestra. Lascio le mie cose lì, tornerò a prenderle dopo, perché non ho nemmeno il tempo di recuperarle.
«Bucky, aspetta. Che succede, hai ricordato qualcos'altro?»
Giriamo un angolo e io finisco per sbattergli contro.
«Ah, eccolo qui! Sull'attenti, Soldato.»
Mi affaccio da dietro la schiena tesa di James e vedo mio padre, accompagnato da altri importanti dirigenti dell'Hydra.
«Bene, ci sei anche tu Rozaliya. Non ti ho trovata nel tuo studio, immaginavo stessi provvedendo al tuo compito di sorvegliare il progetto. Vieni con noi, stavo giusto parlando della tua idea e di come abbia fruttato al nostro esercito. Soldato, seguici.»
Mio padre mi posa una mano sulla schiena per farmi procedere accanto a lui; in silenzio lo seguo, ma riesco a vedere con la coda dell'occhio Bucky che gira sui tacchi e ci segue, con la devozione perfetta di un vero soldato.
Mio padre fa accomodare tutti in una stanza che affaccia sulla palestra dove mi trovavo poco fa. Al posto della parete, c'è una lunga vetrata.
«Come da voi richiesto, il tutto è nella discrezione più totale. Nessuno sa chi sia lui, tranne naturalmente i pochi che il consiglio ha autorizzato. Se possiamo procedere con la dimostrazione che mi avete domandato..»
Le persone nella stanza annuiscono e mio padre si gira verso Bucky.
«Va' di là. Portami la bandiera rossa.»
Fin'ora ho tenuto lo sguardo su di lui, che sicuramente è più bravo di me a fingere indifferenza, ma ora lo sposto sulla palestra quando sento le parole di mio padre e resto paralizzata.
Ci sono uomini armati, diversi ostacoli spostati di fretta e in fondo un manichino con una bandiera rossa.
«Sono armi vere..?» Chiedo con un fil di voce.
«Proiettili di gomma per addestramento.»
Trattengo un sospiro di sollievo.
«Bevi un po' d'acqua, cara. Sembri stanca.»
Una donna, probabilmente la moglie di uno dei presenti, mi porge un bicchiere preso da un vassoio e io lo accetto con gratitudine: ho davvero sete.
Bucky entra nella palestra mentre faccio il primo sorso. E si toglie la maglia.
La bevanda mi si incastra in gola e inizio a tossire per farla scendere. Qualcuno mi da anche qualche pacca sulla schiena finché la mia imbarazzante scenetta non finisce.
Mi chiedo se sia proprio stato necessario togliersi quella maglia.
Uno dei soldati gli passa una mitraglietta semi-automatica che lui esamina, per poi ben bilanciarla nella mano e si posiziona all'inizio del percorso, molto più complesso di quanto lo sia stato il mio, anzi credo quasi impossibile per qualunque umano.
Lo guardo mentre sorpassa un ostacolo dopo l'altro, ad una velocità che avrebbe potuto eguagliare quella di un tir in corsa. Elude i proiettili con il braccio sinistro e fa fuori un soldato dopo l'altro con una facilità che sconcerta anche me. Riesce ad arrivare alla fine dopo un tempo talmente basso che gli osservatori iniziano ad elogiarne le abilità prima ancora che prendesse la bandiera.
«Una vera macchina da guerra.»
«Meglio di come ce ne hai parlato, Karpov.»
Sto per rilassarmi sulla sedia quando vedo le lunghe falcate del mio soldato interrompersi prima di arrivare al manichino. Guarda verso il basso e si piega a raccogliere qualcosa. Il suo gesto non lo noto soltanto io e la sorpresa nella stanza, si trasforma in curiosità.
«Che sta facendo?»
Prevedo il gesto di mio padre prima ancora che lo facesse e allungo una mano per fare la sua sulla radiolina.
«Vado io.»
Mi alzo e spingo la porta per uscire e precipitarmi nella palestra, dove raggiungo Bucky ancora immobile.
«Che stai facendo?»
Gli chiedo sottovoce, fermandomi davanti a lui e mantenendo un assetto composto e formale: so che ci stanno osservando. In compenso, non possono sentirci.
«James?»
Insisto quando non ottengo risposta e finalmente lo vedo risollevare il capo e porgermi in silenzio qualcosa. Il mio cuore si ferma quando riconosco la rosa secca e stropicciata che avevo messo nel mio diario. Cosa ci fa lì?
Allungo una mano per prenderla, non sapendo cosa dire o fare per non far sembrare tutta quella situazione strana agli occhi dei dirigenti dell'Hydra.
Faccio solamente un cenno del capo.
«Sei congedato, Soldato.»
Non ho il coraggio di guardarlo, non perché avrei potuto vedere qualcosa, ma perché ho paura che lo veda lui in me. Che lo vedano tutti.
Lui mi passa affianco e mi riporta la bandiera rossa, poi se ne va.
«Che cosa è successo?»
Chiede con freddezza mio padre quando rientro nella stanza. Mi dipingo un sorriso tranquillo e compiacente in faccia mentre spingo lo stelo ammaccato sotto la mia manica.
«Il nostro soldato resta un uomo di altri tempi, padre. Avevo perso un orecchino durante l'allenamento, tutto qui.»
Gli consegno il triangolo di stoffa rossa.
«Hai la tua bandiera.»
La performance di Bucky era comunque stata tanto impeccabile che quel piccolo incidente non intaccò l'esito. Quando torno a prendere le mie cose, vedo la borsa rovesciata a terra e qualche libro aperto nella caduta. Probabilmente nella fretta di sistemare il campo, non si sono fermati a raccogliere e il fiore appassito era scivolato leggero sul pavimento lontano da lì.
Mi rimetto la tracolla in spalla ed esco lentamente dalla palestra, lanciando uno sguardo in direzione della sua stanza. Della stanza di Bucky.
Mi chiedo se voglia ancora sapere dello spazio e se vuol raccontarmi del perché se ne stava andando tanto in fretta.
Ma prima che io possa muovere un passo, sento qualcuno chiamarmi.
«Rose!»
Anatoliy mi raggiunge dalla fine del corridoio.
«Rose, ti stavo cercando. Wow, non sapevo avessi cominciato ad allenarti.»
Alzo gli occhi al cielo.
«Risparmiati le battute sulla mia faccia sudata e sul bisogno di una doccia. Lo so.»
Lo sento ridacchiare.
«Quello senza dubbio. No, in realtà volevo chiederti se ti andava di cenare insieme. Pitri ha il turno in cucina stasera e ho visto che non sei passata per il pasto, perciò..»
Tiro le labbra pensando al fatto che oramai salto tutte le sere l'orario di cena per passarlo con il Sergente Barnes.
«Mi piacerebbe, è che.. Ho da lavorare.»
Toly sospira e non demorde.
«Avanti, Rose, è sabato sera! Quale persona lavora anche il sabato sera, andiamo!»
«Beh, l'Hydra lavora il sabato sera e guarda un po', siamo in una delle sue basi, quindi non è così strano.»
Mi prende la borsa e se la mette in spalla.
«Mmh.. Qui c'è il tuo lavoro?»
Inizia a frugarci dentro con un ghigno divertito.
«No no! Toly andiamo, sono le mie cose! No!»
«I fascicoli del lancio di Sputnik? Che ci fai con questa roba?»
Cerco di fermarlo e di riprendermi la borsa, ma lui mi tiene lontana con un braccio, mentre con l'altro da razzie tra libri e diari
«Bene, questo è interessante.»
Sgrano gli occhi terrorizzata quando tira fuori un libretto dalla copertina blu e legge il nome che ho scritto sopra.
«James.. B.. Barnes. Chi è?»
«Adesso basta, Toly!»
Afferro il suo polso e lo giro con una tecnica che mi ha insegnato Bucky, ottenendo la resa del ragazzo dal quale mi riprendo le mie cose.
«Ok, Rose, non serviva fare così..»
Rimetto tutto al sicuro e chiudo le cinghie della borsa.
«Ascolta, scusami se sono andato oltre. Per stasera, allora?»
Mi guardo intorno e spero che nessuno abbia sentito quel nome.
«Stasera cosa?»
«La cena insieme.»
Mi era già passata di mente la sua proposta e mi cerco di calmarmi per rispondergli. Non voglio ferire Toly e vedo nei suoi occhi che ci spera davvero, ma tutto di me non desidera altro che sgattaiolare nella stanza 394.
«Andiamo.. Mi hai promesso che non saresti scomparsa.»
«Ho detto che ci avrei provato.»
«Beh, non ci stai nemmeno provando.»
Sospiro con fare arreso e annuisco.
«Faccio una doccia e ti raggiungo.»

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