Capitolo 24.

121 4 0
                                    

Finisco di riempire il lavabo con acqua calda e qualche goccia di olio essenziale svizzero.
Che ficco sempre dappertutto.

Mi sembra di camminare due metri sopra terra mentre volteggio per il bagno senza una vera ragione visto che ho già preso tutto ciò che mi serve.
Sono semplicemente felice.

«Dov'è che hai detto che è il rasoio?»

Il rumore di un cassetto che si chiude arriva dalla camera da letto.

«Sul ripiano in alto a sinistra.»

Mi arrampico su uno sgabello e mi allungo per tastare la mensola impolverata dove trovo una scatolina di legno che afferro al volo.

Nel frattempo, sento le voci di Bucky e del capitano scambiarsi dei veloci saluti.

«Vado ad avvisare Karpov che è tutto apposto. Sicuro di sentirti bene, Sergente?»

Dopo qualche istante, Bucky risponde a mezza bocca, come sempre.

«Sicuro.»

«D'accordo. Buona serata ragazzi.»

«Anche a te, capitano.»

Mi affaccio in fretta dal bagno e saluto l'uomo scuotendo velocemente la mano.

«Ciao Nick!»

«Ciao Rose.»

La porta si chiude alle sue spalle.

«Vuoi ancora farlo?»

Mi chiede Bucky con un tono completamente diverso da quello che ha retto fin'ora.
Sembra la voce di chi è stato appena liberato da un carico pesante da reggere sulle spalle e può finalmente respirare normalmente.
Giro lo sguardo verso di lui; sembra davvero più rilassato, più disteso.
È fermo accanto al letto, tra le mani ha una giacca nera che lancia svogliatamente sul materasso.

«Certo che sì. Vieni?»

Sento il suo sospiro rassegnato prima del suo ingresso nel piccolo bagno della sua stanza, dove occupa praticamente tutto lo spazio.
Le mattonelle panna riflettono la luce della lampadina appesa al soffitto che ogni tanto singhiozza e ci lascia in istanti di buio totale della durata di un battito di palpebre.

Lo guardo mentre tiro fuori il rasoio a mano libera dal vecchio cofanetto.

«Sai, credo che questo coso abbia la tua età.»

Faccio quella riflessione con un sorriso divertito.

«Non ne dubito.»

Alle sue spalle, noto la tuta blu che indossava in ibernazione giacere abbandonata per terra.

Resta il solito disordinato.

I miei occhi passano sul maglione verde militare abbastanza grande da stargli alla perfezione. Le maniche accartocciate sui gomiti e qualche filo tirato che sbuca qua e là e indica lo stato di logoramento del tessuto.

Ora che Rokeshova si è congedato, questo è il primo momento in cui restiamo da soli. L'aria tra noi sembra impregnata di accenni d'imbarazzo, ma la sua sola presenza mi fa sentire calma come non mi sentivo da settimane.

Quando vede cos'ho tra le mani, fa una smorfia annoiata e solleva lo sguardo su di me nell'ultimo tentativo di corrompermi.

«Devo proprio?»

In sua risposta, sposto lo sgabello davanti al lavandino con un piede e annuisco con fare convinto e deciso.

«Assolutamente.»

Le sue spalle si abbattono con fare arreso; non può davvero dirmi di no. Ma vorrebbe.
Si siede con rassegnazione e le gambe di legno cigolano e si lamentano sotto il suo peso.
Se volessi uscire dal bagno, dovrei letteralmente passargli sopra.
E non sarebbe un'impresa facile.

Winter RosesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora