Capitolo 32.

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Mi sembra di poter crollare.
La vergogna mi fa arrossire a tal punto che potrei sciogliere la neve di tutto il parcheggio.
Il mio intero corpo vuole sparire e io voglio isolarmi nell'anfratto più lontano e isolato possibile.

«Hai.. Sentito?»

Bucky annuisce e continua a fissarmi. Mi guarda e non riesco a capire cosa diamine stia pensando.

«E da chi?»

«Diana mi ha raccontato delle voci che girano.»

Il mio orgoglio ferito mi fa raddrizzare, ma non riesco a placare quel lieve pizzico agli occhi.

«Quindi cosa? Ti vergogni di farti vedere con la tua puttana? È questo che succede?»

Mi tiro su la giacca e faccio per andarmene, voglio correre via, ma Bucky mi afferra per un braccio, tirandomi indietro. Non posso nulla contro la sua presa, ma mantengo la faccia girata per la vergogna.

«Rose, mi dispiace.»

«Non dirlo nemmeno, non la voglio la tua pietà!»

Cerco di scollarmelo di dosso.

«Tu non andartene, allora.»

Faccio un verso esasperato.

«Prima mi lasci in mezzo alla via e poi questo?»

«Lo so, ma non voglio che tu vada, adesso.»

Mi arrendo con fare esausto e mi giro verso di lui, pronta ad affrontarlo. Come se fosse lui il centro dei miei problemi, poi.

«Non voglio parlare di quelle chiacchiere.»

Bucky resta a fissarmi, in un modo che mi fa sentire caldo in quella nevicata. Qualche fiocco cade tra noi, rende il tutto ancor più silenzioso, isolandoci in un piccolo mondo lontano dalla festa e da tutti. Mi spingo contro la fiancata dell'auto, per allontanarmi.

«Dammi i nomi. Gli staccherò le lingue io stesso.»

Arriccio il naso e scuoto la testa.

«Dio mio, Bucky..»

Sento il suo respiro caldo sulla fronte e la sua figura piegarsi su di me, spingendomi sempre più contro la macchina.

«Perché non volevi farmelo sapere?»

Sospiro e mi premo due dita tra le sopracciglia.

«... Mi sentivo meglio all'idea che ne fossi all'oscuro. Potevo fingere di non aver mai sentito nulla.»

Lui dopo qualche istante annuisce.

«Hai cercato di nascondere dei segreti a una spia sovietica?»

«Sembra proprio di sì. Inutile, a quanto pare.»

«Non cambia niente per me.»

Sollevo lo sguardo su di lui. Ho cercato di evitarlo finora, perché so che effetto mi fa.
So cosa mi provoca vedere quello sguardo su di me, quella sua possessività che mi piace, ma al contempo vorrei combattere con tutta me stessa.

«Ma cambia per me.»

«Mandami da chi ha iniziato a chiamarti così. Li faccio tacere entro due giorni e gli altri impareranno la lezione.»

Poso le mani sulle sue spalle e cerco di allontanarlo un po'. Mi è così vicino che mi sento soffocare.

«Vuoi assassinare i membri dell'alto consiglio, adesso? Sarebbe solo un'ammissione di colpa da parte mia e gli altri non cambierebbero idea. Lascia perdere.»

La sua espressione si corruga leggermente.

«Quindi sono stati loro. A chiamarti così.»

Il modo in cui suona quella frase mi mette i brividi. Gli ho appena spifferato i colpevoli.

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