Capitolo 16.

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Fisso la schiena del giovane che mi precede verso la mia camera.
Ha preso davvero sul serio la faccenda della vigilanza, non fa altro che guardarsi intorno e allontanare chiunque incontriamo sul nostro cammino con un'occhiataccia.
D'accordo, forse quello lo faceva anche prima.

I capelli castani gli arrivano ormai fino alle spalle, si muovono leggeri ad ogni scatto della testa e quando li tiene legati, prendono una piega mossa che gli resta anche quando li scioglie.

«Sai.. Non mi serve una guardia del corpo.»

Stringo una mano sulla maniglia quando sono davanti alla mia porta.
Bucky, in perenne assetto militare, si ferma a qualche passo di distanza e sposta lo sguardo su di me.

«Direi proprio di sì, invece, visto che ti piace passare il tempo nelle segrete ed essere la fissa di scienziati pazzi.»

Il suo tono non ammette discussioni, lo sento vibrare nel petto e nel ventre ad impormi di non aggiungere altro.
Ma anziché arrendermi, striscio lungo la porta per essergli più vicina.

«Tenermi lontana da potenziali pericoli implicherebbe dover tenere alla larga anche te, a rigor di logica.»

Riesco a vedere un lieve cenno di fastidio sul suo volto, un piccolo fremito del suo zigomo destro.

«Non credere che non ci abbia pensato. Ma sono qui per ordine di Rokeshova.»

Le sue parole mi provocano un attrito nello stomaco e la sensazione di essermi ingoiata un ferro incandescente.

«Beh, allora puoi anche andartene. I miei ordini sono sopra quelli del capitano.»

Ogni mia parola sfila tagliente come una lama, volutamente.
Giro la maniglia e apro la porta, ma Bucky la blocca prima che io riesca a ritagliarmi un angolino abbastanza grande per entrare.

«Io non me ne vado.»

Insiste con tanta fermezza e sincerità che sento il carico di emozioni montare come un esplosivo.
Voglio che rimanga, lo voglio davvero. Ma non se per via di un ordine imposto.

«Per favore..»

Non so perché lo sto facendo, a quanto pare ho l'abilità di farmi del male da sola.
Alzo una mano e la sospendo tra me e lui come a sigillare quella distanza che ci separa.

«Vattene.»

Non ho il coraggio di guardarlo negli occhi, quindi fisso la moquette e il vaso di gardenia secca che "decora" la parete opposta.

Seguono momenti di silenzio che mi strizzano la gabbia toracica come una spugna, finché Bucky non stacca la presa dalla porta.

«Hai paura di me?»

Fa qualche passo indietro e apre di poco le braccia come ad indicarsi.
La sua voce perde un po' della sicurezza che aveva prima e mi ricorda di nuovo il giovane che ho conosciuto nelle nostre serate di lettura..
Eppure lo guardo e vedo il Soldato d'Inverno che mi ha puntato una pistola alla testa.
Forse il ricordo dell'altra notte ha un peso maggiore di quello che vorrei affibbiargli.

Quando rispondo, la mia voce lascia le mie labbra come un alito di vento estivo: leggero e appena percepibile.

«No.»

Non ho paura di lui.
Ma mi chiedo chi sia davvero Bucky adesso.
È ancora il giovane americano che si è arruolato nell'US army?
O è un assassino spietato nelle mani dell'HYDRA?
Mi sembra impossibile conciliare le due entità nella stessa persona.

«E allora dimmi che succede.»

«Cristo santo, possibile che non ci arrivi?»

Spingo la mano sul legno liscio e spalanco la porta per entrare in camera mia.
Mi tolgo la giacca dalle spalle mentre lui entra dopo di me e chiude la porta con una spinta nervosa del braccio, provocando un tonfo secco.

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