Capitolo 6.

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ANITA'S POV: 

Fin da quando sono piccola ho una strana passione per la tigre, il felino dagli occhi  pungenti.  La tigre è un predatore superbo, non fa prigionieri, non perdona, non ha bisogno del branco. Vive e caccia in solitudine, ed è la sua totale indipendenza a renderla così  fiera. A volte si mostra quiete e silenziosa come la neve che cade ma non è così, tu non riesci a vederla ma lei ti ha già visto e aspetta il momento più opportuno per sbranarti. Ti uccide prima ancora di toccarti, il  suo ruggito è come un terremoto che sembra provenire da ogni direzione. Potresti anche catturarla e metterla in una gabbia, ma sai che non riuscirai mai a dominarla.
Ecco perchè due anni fa ho deciso di tatuarmela sulla gamba destra con gli occhi color ghiaccio che ti guardano, in modo che ogni volta che ho paura di qualcosa mi ricordo che sono proprio come questa tigre, sola e senza padroni, e non devo mollare.

Ora ho paura, tanta.  Mi sono sentita sempre più grande di quello che sono. Ho portato addosso il peso di vivere in una famiglia dove il rispetto e l'onore sono le uniche regole da seguire, e se non le rispetti le paghi con il sangue, e poi si sa come vanno queste cose. Sangue richiama sangue, e  da lì si scatena una guerra.
In questo momento la mia famiglia una guerra non se la può permettere, ecco perchè voglio parlare con mio fratello il prima possibile. E' colpa mia, quello che è successo, e non voglio che nessun'altro ne paghi le conseguenze. 

Oggi finalmente mi permetteranno di parlare con Pietro, anche se non ho dormito granché alle prime luci dell'alba salto giù dal letto.
Mi avvicino alla finestra, mi siedo sul tavolo posto sotto di essa, per sentirmi più vicina alla libertà. Apro il pacchetto di sigarette, ne prendo una e la porto alla bocca per poi accenderla, brutto vizio che ho da un paio di anni. Anche questo è colpa mia, lo so e ne accetto le conseguenze. 
La mia compagna di stanza, che ho scoperto chiamarsi Clarissa, dorme ancora con il sole caldo di giugno che le riscalda la pelle.
Ieri ha avuto il coraggio di affrontare a muso duro mio fratello, non me lo sarei mai aspettata da una così, eppure a  volte l'apparenza inganna. Solo che non sa ancora in cosa si è cacciata, ha accesso la fiamma per l'incendio nella testa di mio fratello e ora lui vuole sapere tutto di lei, ha chiesto anche a me di capire quanto più possibile sulla sua storia  ed gli ho promesso che  avrei fatto del mio meglio, ma Clarissa non mi sembra una che parla molto, quindi sarà  difficile.

La mia sigaretta è quasi finita, e sono tentata di prenderne un'altra ma la mia compagna di stanza inizia ad arricciare il naso infastidita, mi sa proprio che non ha mai fumato una sigaretta in vita sua.
Apre piano gli occhi e con la mano destra inizia a stropicciarli.
"Ti da fastidio?"- le chiedo indicandole la sigaretta ormai finita che butto fuori dalla finestra, sono sicura che non si possa fare ma non me frega molto.
"Un po'."- mi risponde lei sedendosi al centro del letto.
"Cercherò di fumare il meno possibile qui dentro."- mi sforzo nell' essere gentile, se devo diventare sua amica dovrò fingere almeno un po'.
"Grazie."- mi dice lei abbozzando un sorriso.
Scendo  dal tavolo e mi avvicino al suo letto, lei mi guarda attentamente. Da qualche parte dovrò pur iniziare una conservazione con lei.
"Comunque io mi chiamo Anita."- fingo un sorriso.
"Io Clarissa, ma questo già lo sai."- mi dice lei riferendosi a quello che è successo ieri nella sala comune.
"Non pensare a quello che ti ha detto ieri  mio fratello, usa la sua arroganza come metodo di difesa."-  le spiego facendole crede che sono dalla sua parte e non da quella di mio fratello, lei mi guarda confusa.
"Tuo fratello?"- mi chiede sconcertata.
"Ciro, il ragazzo che ieri ti ha chiamata principessa, è mio fratello."- le spiego tranquillamente. E' strano che non sappia che io e Ciro siamo fratelli, se spaccia droga conoscerà di sicuro la  mia famiglia.
"Non lo avevi capito?" - le chiedo inarcando le sopracciglia.
"Sinceramente ora che me lo fai notare vi somigliate." - mi risponde lei scrutandomi.
"Beh sì ma io sono molto più bella." - le rispondo con tono beffardo, lei si morde un labbro per non ridere.

Nei corridoio si iniziano a sentire le voci delle ragazze che piano piano si stanno svegliando, e le guardie che vengono ad aprirci le celle.
"Ue guagliuncè" - la guardia che ieri ci ha portato in camera ci viene ad aprire.
"Quando iniziano i colloqui?" - le domando per prima cosa, ho fretta di incontrare mio fratello.
"Ti chiameranno tra un po'. Nel frattempo queste sono per voi, ve le spediscono le vostre famiglie." - ci porge due valige, una per me ed una per Clarissa.
Mi affretto ad aprire la mia e dentro ci trovo tutte le cose necessarie per stare qui dentro, finalmente posso cambiarmi.

Dopo esserci lavate e cambiate, ci chiamano per fare i colloqui.
Vengo accompagnata da una guardia nella sala apposita, mi fanno sedere ad uno dei tavoli e mi dicono che da lì a poco arriveranno i miei familiari.
Appena vedo la figura di mio fratello Pietro fare capolino mi alzo di scatto dalla sedia.
Il suo viso mostra un'espressione arrabbiata ed ostile, ma io sono troppo contenta di rivederlo.
Appena però si avvicina a me succede qualcosa che mai mi sarei aspettata, mi tira uno schiaffo sulla guancia destra, così rumoroso che alcuni ragazzi si girano a guardarci.
"Che cazz è cumbinat?" - mi chiede furioso, non l'ho mai visto così. Prima di oggi non si era mai permesso di sfiorarmi neanche per scherzo, e di stronzate ne ho fatte parecchie.
"È stata tutta colpa mia." - confesso con sguardo basso e con la guancia che mi va a fuoco.
Lui si siede sulla sedia, ed io mi metto di fronte a lui.
"Mi avevi promesso che non avresti fatto cazzate questa volta, e invece guarda dove ti trovi."- sussurra per non farsi sentire da nessuno.
"Lo so, mi dispiace." - gli rispondo sinceramente dispiaciuta.
"I ragazzi dicono che sei stata tu ad ordinargli di andare via, è vero?" - mi chiede alzando un sopracciglio, ed io in quella espressione per un secondo rivedo papà.
"Sì è la verità, loro non volevano neanche che partecipassi. E quando le cose si sono complicate io gli ho gridato di fuggire via." - confesso.
"Era la scelta giusta." - si gratta la fronte a disagio.
"Lo so." - mi mordo un labbro non sapendo cos'altro dire.
"Se ti serve qualche altra cosa fammi chiamare e te lo porto." - ora ha ripreso a parlare con un tono di voce normale, per non destare sospetti.
"Grazie." - gli sorrido flebilmente.
"Ora devo andare via, promettimi di non metterti nei guai anche qui, per piacer." - si è addolcito un po'.
"Non te lo posso promettere ma ci proverò." - gli rispondo beccandomi un occhiattaccia.

Dopo avermi salutata con un bacio freddo e distaccato va via e la guardia mi riporta in cella.

ODIJ E AMMORE // MARE FUORIWhere stories live. Discover now