Capitolo 46 - Incrociarsi

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Incrociarsi

Leonardo

Ho atteso il mio turno d'udienza davanti all'aula del giudice per circa mezz'ora. La discussione della causa chiamata prima della mia sta andando per le lunghe, perciò, dopo aver scambiato qualche parola di circostanza con un collega, decido di scendere all'ingresso del tribunale per fumarmi una sigaretta veloce.

Non sono mai stato una persona insofferente, eppure in queste ultime settimane, scalpito intollerante ad ogni cosa. Ogni attesa infruttuosa mi disturba, poiché nei momenti di inerzia e inoperosità, il mio cervello inizia a vagare tra i miei problemi personali. Ho bisogno di occupare la mente per non permetterle di rimuginare, altrimenti mi ritrovo ad annegare e annaspare tra la sensazione di essere osservato da un maniaco probabilmente già passato a miglior vita e la disperazione per aver perso l'unica donna per la quale sarei stato disposto a fare qualsiasi cosa.

Mentre mi accendo una sigaretta, noto che gli edifici circostanti sono addobbati con abeti, fiocchi e luci, che lampeggiano intermittenti nonostante sia pieno giorno. È una di quelle giornate di dicembre in cui la luce è fioca, offuscata da nuvole ombrose che minacciano pioggia ghiacciata o forse qualche fiocco di neve.

Preso dalle mie preoccupazioni, non mi sono neppure reso conto che è iniziato quel periodo dell'anno tanto amato dai bambini. Un periodo che dietro al vociare rumoroso e festante dei più piccoli, nasconde tutto un mondo sommerso di persone sole o depresse, che attendono la fine di questi giorni con impazienza, cercando di sopravvivere all'avvilimento interiore che più che mai in queste festività le tormenta.

Negli ultimi anni il Natale per me era un momento in cui vivevo di gioia riflessa, specchiandomi negli occhi meravigliati di mio figlio, che rimaneva stupito da ogni addobbo o regalo. Prima della nascita di Marco, non sono mai stato un fan del Natale, forse perché dopo la morte di mia madre, le festività natalizie passavano quasi inosservate, come se mio padre tentasse di ricondurle a giorni qualunque dell'anno. Quando poi ho raggiunto l'età adulta, il Natale è diventato sinonimo di impegni incalzanti, di clienti insofferenti che desiderano concludere le loro pendenze con la giustizia prima dell'inizio del nuovo anno, di noiose formalità conviviali tra colleghi e di telefonate di auguri con parenti e conoscenti con cui ci si sente una volta all'anno.

Insomma, festività che poco mi emozionavano, ma che neppure mi demoralizzavano. Ma oggi, mentre respiro quest'aria di festa, per la prima volta capisco davvero cosa significhi sentirsi depresso a Natale. È come se l'infelicità e i dispiaceri si ingigantissero, amplificati dall'esaltazione gioiosa che si intravede in ogni angolo.

Dopo aver aspirato l'ultimo tiro della mia sigaretta, butto il mozzicone spento nel cestino vicino alla porta d'ingresso del tribunale. Apro la porta a vetri con lo sguardo rivolto al pavimento, ancora assorto nelle mie riflessioni, e vado quasi a sbattere contro una collega.

Non ho ancora alzato lo sguardo per guardare in volto la persona contro cui stavo per scontrarmi, ma già sono sicuro di chi si tratti. Un profumo delicato, che ben conosco, ha già invaso le mie narici, provocandomi un colpo al cuore.

Angelica è ferma davanti a me, attendendo che mi scansi per lasciarle libero il passaggio.

Mi fissa con occhi indecifrabili, ma dai quali traspare un inaspettato turbamento. Ma forse quel turbamento altro non è che una mia fantasia, il mio desiderio di saperla emozionata almeno la metà di quanto lo sono io rivedendola.

<<Ciao Angelica>> dico, cercando con poco successo di mantenere la voce ferma.

<<Ciao>> replica lei, abbassando lo sguardo, come se fosse in imbarazzo, un imbarazzo che mi sbatte in faccia ancora una volta quanto ormai Angelica sia distante da me.

<<Come stai?>> dico poi in un sussurro, pentendomi quasi subito di aver prolungato quella che per me è una tortura. Starle vicino, sapendo che lei è presa da un altro uomo è per me la peggior condanna. Eppure il mio corpo non fa che indugiare in questo istante per prolungarlo ancora, come sospinto da un masochistico desiderio di sofferenza. Come se continuare ad affliggermi per lei, mi illudesse di averla ancora vicina in qualche modo.

<<Bene... diciamo>> replica lei con tono smarrito, quasi sofferente, un tono completamente diverso da quello con cui mi ha lasciato.

Dovrei essere ancora furibondo con lei. Dovrei andarmene da qui rabbioso e ferito. E invece la sensazione che mi domina in questo istante è solo una gran voglia di abbracciarla, di stringerla a me come facevo poche settimane fa, di sentire il suo calore avvolgermi confortevole.

Perciò, pur consapevole di farmi del male, indugio ancora in questo incontro imprevisto.

<<E tu come stai?>> domanda lei, prima che io possa inventarmi qualcosa per cercare di prolungare la conversazione. Mentre osservo Angelica alzare lo sguardo su di me, ho l'impressione che dietro quegli occhi, che negli scatti fotografici dell'investigatore privato mi apparivano sereni, si nasconda invece pena e angoscia. Non so se sia solo il frutto della mia immaginazione, ma Angelica sembra avere occhiaie marcate, come se avesse pianto di recente.

Non voglio illudermi, perché potrei non essere io la causa dei suoi tormenti, ma quell'imbecille di Roberto, che già in passato l'ha fatta soffrire. Eppure una parte di me, quella che vuole illudersi ad ogni costo, per aggrapparsi ad un'infinitesimale speranza, desidera che la pena che si cela nello sguardo di Angelica sia per me. Non sono mai stato tanto irrazionale e illogico come in questo momento. Ma evidentemente l'amore che provo per questa donna mi ha fatto perdere il lume della ragione.

Sto per rispondere alla domanda di Angelica, quando alle sue spalle compare un collega che non conosco, ma che ho già visto spesso in tribunale.

<<Eccomi Angelica, possiamo andare>> dice il giovane collega alle spalle di Angelica, mostrando un sorriso affabile.

Angelica si volta per un secondo e poi chiude la breve parentesi del nostro incontro.

<<Ora devo tornare in studio>> dice lei con un filo di voce. <<Ci si vede in tribunale>> conclude accennando un sorriso forzato, senza guardarmi negli occhi.

Io mi limito a salutare con la mano e ad osservarla allontanarsi con quello che deve essere un collega di studio.

Ho il cuore che galoppa nel petto, mentre tento di assumere nuovamente un contegno professionale. La verità è che la parte di me passionale ed emotiva, che non credevo neppure di avere prima di conoscere Angelica, si è convinta che dietro lo sguardo malinconico di Angelica si celi ancora dell'affetto per me. Forse sta rivalutando le sue scelte, forse non è poi così convinta di proseguire la sua relazione con Roberto...

Tutto questo non dovrebbe interessarmi minimamente. Il fatto che Angelica mi abbia lasciato ad un passo dal matrimonio, dovrebbe bastarmi per considerare il nostro rapporto un capitolo chiuso.

Allora perché spero ancora che Angelica torni da me? Perché non riesco a smettere di pensare a lei? Perché l'unica cosa che desidererei fare in questo istante è correrle dietro per passare anche solo un po' di tempo insieme a lei?

Mentre continuo a fissare come un ebete la porta a vetri del tribunale dalla quale ho visto scomparire Angelica, il collega di controparte, con cui avrò udienza, mi informa che stanno per chiamare la nostra causa. Per fortuna gli incombenti lavorativi mi impediscono di comportarmi come un ragazzino e di correre dietro alla donna che mi ha lasciato, come fossi completamente privo di un minimo di orgoglio. Almeno questa volta qualcuno mi ha evitato di dover sopportare l'imbarazzo di un suo rifiuto.

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