CAPITOLO 36

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Ogni mio passo risuonò nella tromba delle scale riempendo il silenzio che aleggiava nel condominio in quel momento, non quelli di Taehyung, che non aveva neanche provato a fermarmi. Sinceramente lo ringraziavo per questo. Avevo bisogno di stare solo, ed anche se in quel momento odiavo ammetterlo, lui mi conosceva fin troppo bene.

E alla fine pure io mi conoscevo, e nonostante avrei voluto stare solo, sapevo che non era la cosa più giusta da fare. La mia mente stava già viaggiando verso finali che non avrei voluto vivere, storie che non volevo che mi appartenessero. Volevo stare solo, ma non lo potevo fare. Avevo bisogno di saperne di più, avevo bisogno di capire quale, tra quella miriade di emozioni che stavo provando in quel momento, sarebbe stata la vincitrice.

Tirai fuori dalla tasca dei jeans il telefono cercando di ignorare il messaggio, ormai inutile, di P-hyung che mi diceva che si sarebbe sistemato tutto. Aprii le chat archiviate. C'era una sola chat lì da una settimana circa. La aprii e digitai velocemente un messaggio.

"Possiamo parlare?"

Rimasi a fissare lo schermo qualche minuto, vidi la scritta "online" spuntare sotto al nome del contatto, le spunte del messaggio diventare blu. Aspettai. Niente. Nessun "sta scrivendo...", niente di niente, o almeno così pesai erroneamente. Qualche secondo dopo, infatti, mi arrivò una posizione. Nessuna frase, nessuna parola, solo una posizione.

Cliccai e mi incamminai cercando di spegnere qualsiasi parte del mio cervello e del mio cuore finché non arrivai a destinazione. Non era molto lontano dal polo universitario, giusto 20 minuti a piedi, quindi poco più in là di casa di Taehyung. L'edificio era grande ed imponente. Erano bastati pochi passi per uscire dal quartiere di quel fatiscente condominio da cui ero appena scappato, per arrivare a questo bellissimo edificio di un color rosa pesca chiaro. Le finestre avevano tutte una inferriata molto elegante e nel secondo e terzo piano c'erano anche dei piccoli balconcini.

Mi sentii a disagio ad entrare in un posto tanto di lusso. Persino l'ingresso non sembrava essere quello di una scuola, o comunque non quello di una scuola pubblica. Il bancone a cui sedeva la segretaria era di un marmo bianco immacolato e quasi ebbi paura ad avvicinarmi per chiedere dove dovessi dirigermi. Per fortuna non lo dovetti fare perché la voce di Jimin mi anticipò.

"È con me" disse semplicemente alla signora seduta dietro al bancone. Poi si inchinò e fece un cenno verso di me come a dirmi di seguirlo.

Restammo in silenzio finché, dopo aver sceso le scale verso il sotterraneo della scuola, non arrivammo alla sala prove numero quattro. Dentro non c'era nessuno, solo il borsone di Jimin e una pila di asciugamani puliti.

Non era una stanza molto grande. C'erano specchi a muro su due delle pareti e una sbarra su una terza.

Jimin camminò fino ad una delle pareti a specchio e ci sedette davanti, appoggiando la testa al muro e chiudendo gli occhi. Per cui feci lo stesso.

Inizialmente restammo in silenzio entrambi. Poi mi decisi a parlare.

"Immagino che tu abbia capito perché sono qui" dissi voltandomi a guardarlo, ma lui rimase immobile, gli occhi ancora chiusi.

"Sì...te lo ha detto o lo hai scoperto?"

"Diciamo entrambi" sospirai.

"Come stai?"

Era una domanda tanto semplice quanto contorta. Come stavo veramente? Ero ancora deluso per le menzogne? Mi sentivo tradito? Ero arrabbiato? Triste? Preoccupato? Non lo sapevo. Ed ero lì per capirlo.

"Non lo so, sono confuso credo. Non capisco perché non ce lo abbia detto subito, né perché sia arrivato addirittura a mentire. Vorrei solo sapere cosa succederà ora...a noi" aggiunsi chiudendo gli occhi.

Cherry tea - TAEKOOKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora