D13 - Padre e figlio

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Qualcuno potrebbe trovare poco rispettoso che abbia raccontato degli scherzi idioti di Giaguaro poco prima della sua morte. Qualcuno potrebbe dire che ho ridicolizzato quello che era e quello che rappresentava.

Cosa avrei dovuto fare? Avrei dovuto raccontare di come quel proiettile si era fatto strada nel suo cranio? Vi avrei dovuto parlare del sangue sulle mani di Lupo, mentre cercava di risvegliarlo?

Dovevo puntare i riflettori sull'orrore di quel momento, in modo che chiunque legga questo libro non se lo dimentichi e che possa vivere così in eterno e ispirare altri giovani come lui?

Giaguaro non era questo.

L'attimo che ha seguito quello in cui il proiettile ha lasciato la canna della pistola non ha avuto nessun valore nella sua vita, se non quello di terminarla.

Non ricordate il momento in cui spegnete le luci, dopo una serata fantastica con chi amate, vero?

Mi manca Giaguaro. Mi manca Lupo e tutti quegli altri che ho perso fino a oggi. Mi mancano le sue risate e i suoi scherzi idioti, gli allenamenti al sacco e le corse di riscaldamento per il bosco.

Ma è così che voglio ricordarlo ed è così che voglio che lo ricordiate voi: un ragazzo che, nonostante tutta la merda che la vita gli aveva tirato addosso, si era rialzato e aveva continuato a camminare a testa alta. Forse perché aveva imparato che a dare le spalle al mondo rischi che ti arrivi una coltellata.

Non ricordo come feci a tornare a casa quel giorno. Non è un modo di dire o un espediente narrativo: non ho proprio ricordi dopo la fuga con Ookami. Forse mi aveva guidato lui verso la Riserva o forse mi avevano trovato Volpe e Coccodrillo. Solo dopo scoprii cos'era successo.

Mi risvegliai e sentii la testa stranamente pesante. Alzai una mano e sentii sotto le dita le bende che mi circondavano la fronte. Non avevo ancora capito dove mi trovavo quando sentii una voce esclamare: "Ehi! Si è svegliato!" seguito dal rumore di molti passi e un ringhio di avvertimento.

"Ookami?"

Sentii dei passi più leggeri avvicinarsi e poi il contatto ruvido e bagnato della sua lingua sulla faccia. Era la prima volta che mi leccava.

Provai ad alzarmi e sentii subito delle mani arrivare a sorreggermi, con una voce carica di ansia che mi diceva di rimanere giù. La ignorai e mi alzai in piedi, la stanza che prendeva lentamente forma.

Ero nell'appartamento di Lupo e mi circondavano tutti i membri del Branco che avevo conosciuto fino a quel momento. Pecora mi sorreggeva da sotto il braccio mentre Coccodrillo stava in allerta nel caso avessi rischiato di cadere. Volpe per la prima volta era concentrata sulla realtà e se ne stava seduta mischiando il mazzo di tarocchi, il trucco pesante sul volto preoccupato. Coyote teneva una mano sulla spalla ad Ariete che tremava leggermente seduto in un angolo della sala mentre Ookami mi osservava guardingo al centro della stanza. Il pelo bianco ricadeva in ciuffi aggrovigliati e ricoperti di sangue e fu quello, più del dolore e dell'ansia degli altri, a confermarmi che quanto ricordavo era successo davvero.

"Non voleva farci avvicinare..." disse Pecora notando il mio sguardo. "Solo quando ha capito che ti volevo curare si è fatto da parte..."

Sentivo le domande crescere dentro di loro e non ero sicuro di essere pronto a rispondere. La ferita era ancora troppo fresca per ficcarci le dita.

Provai a fare un passo e la vista si offuscò rapidamente, così mi lasciai nuovamente cadere seduto sul divano, sentendo lo sguardo di tutti su di me.

"Come stai?" chiese Volpe con quella voce strascicata.

"Beh..." dissi, sentendo il sapore metallico del sangue in bocca. "Ditemelo voi, ho ancora una faccia?"

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