D15 - Fenice

46 6 3
                                    

Mi sto avvicinando alla fine del diario ma ho ancora così tante cose da dire. Quando ho cominciato a scrivere non vedevo l'ora di finire, avevo la sensazione che parlare della mia vita sarebbe stato un po' come guardare un film già visto. Un film che mi ha fatto schifo.

Non mi sbagliavo poi di molto: vorrei dire che è stato bello ricordare le persone che ho amato e il tempo passato con loro. Vorrei dire che ho sentito il mio cuore aumentare di tre taglie mentre parlavo degli scherzi di Giaguaro e delle chiacchierate con Lupo.

Ma la verità è che non riesco a provare più niente. Come una goccia d'acqua che cade in mezzo a un deserto, queste emozioni appaiono per un secondo per poi svanire senza lasciare traccia, se non un po' di nostalgia e di sofferenza. E in questo caso è come innaffiare un mare in tempesta.

Quel giorno Volpe si era alzata presto ed era partita senza dire niente per andare a prendere Fenice, il jolly nel nostro mazzo truccato. O almeno è così che la descriveva lei.

Nessun altro sembrava sapere chi fosse e dopo un paio di tentativi lasciai perdere e mi unii alla guerriglia quotidiana contro la Villa. Con i suoi cedimenti, le frane e l'ortica che cresceva un po' ovunque, la casa combatteva strenuamente per non cedere terreno agli invasori.

Passarono le ore e mi ritirai nella mia stanza, controllando per l'ennesima volta i miei appunti. Mi sfilai la lettera di Lupo dalla tasca e l'appoggiai sul tavolo, girandomela tra le dita.

Era un oggetto pericoloso e quello era un momento delicato per il Branco: se qualcuno avesse letto le ultime parole di Lupo e il suo desiderio, avremmo perso quel poco di forza di volontà che ero riuscito a risvegliare.

Non avevo mentito: le parole di Lupo non importavano più, parlava di uno scenario ben diverso dalla realtà. Mentre scriveva quella lettera si era immaginato dentro a una cella e non dentro una bara.

Era passato un mese da quando l'avevo conosciuto ma mi sembrava di essere sempre stato parte del gruppo, non potevo lasciarlo morire insieme a lui.

A volte ho pensato di essere stato egoista. Quando avevo indetto quella riunione non avevo idea se Falco fosse sopravvissuto all'attacco di Ookami, certo ero che aveva perso molto sangue.

E una mano.

Ma se fosse stato ancora vivo, voleva dire che in giro c'era un assassino che conosceva benissimo la mia faccia, il mio nome, il mio lavoro e dove vivevo. Era come avere un pedinatore decisamente molesto.

Non potevo tornare alla mia vita ma non potevo neanche andare avanti da solo: avevo bisogno del Branco. E loro avevano bisogno di me o non si sarebbero rialzati dopo la morte di Lupo.

Mi stavo ancora girando la lettera tra le mani quando sentii bussare leggermente dietro di me. Me la rimisi velocemente in tasca e mi girai verso la porta scardinata da dove entrò veleggiando Volpe, seguita da Fenice.

Capii chi era prima ancora che si presentasse: i capelli rosso sangue le danzavano sulle spalle e una spruzzata di lentiggini si diffondeva sul naso tra i due occhi verdi. Indossava una camicia a quadri su un paio di jeans lacerati sui ginocchi e venne avanti sicura di sé, tendendo la mano non appena mi fu vicino. Pensai che avesse un paio di anni meno di me, ma non ne ero sicuro.

"E così tu sei Lupo 2.0?" chiese lei sorridendo, senza presentarsi.

Spostai il mio sguardo da lei a Volpe che si agitò sul posto e disse irritata: "Io non le ho detto questo..."

"Spero proprio di no" le risposi io, stringendole la mano. "Io sono Druido."

"Piacere, io sono Fenice. Allora..." continuò battendo le mani e guardandosi attorno. "Volpe mi ha detto che ora comandi tu e a me va bene, per carità. Ma dov'è Lupo? Non dirmi che si è riattaccato alla bottiglia altrimenti dovrà vedersela con me!"

Il BrancoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora