Capitolo 20 - pozione della nanna

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Di colpo, respirai forte e mi asciugai la fronte madida di sudore con un braccio. Mi sentivo tutta appiccicosa. Ma ero viva.

Il sole stava calando. L'afa era ancora asfissiante, ma almeno i raggi dell'astro celeste non rendevano la situazione ancora più invivibile. Il tanfo che proveniva dai cadaveri dei Troll penetrava nelle narici, sembrava addirittura che la mia pelle lo assorbisse rendendomi un'ottima attrattiva per gli insetti. Dopo l'ennesima mosca che tentava di infilarmisi in bocca, mi tirai a sedere.

Delle goccioline verdi mi colarono giù dal mento finendo per macchiare la mia maglia già piena di terra. Il sangue del Troll mi fece ricordare che ero svenuta di fianco a uno di loro. Per fortuna, qualcuno mi aveva trascinata a un paio di metri di distanza, ma non si era preso la briga di pulirmi la faccia.

La spalla sanguinava e pulsava, la ferita stava andando in suppurazione e faceva molta impressione. Mi guardai attorno per non dare di stomaco, confusa come se mi fossi appena svegliata dopo un pisolino pomeridiano molto lungo. Cercai i miei compagni, ma non vidi nessuno vicino alla carrozza né in lontananza, dove giacevano i corpi inermi dei giganti. Mi domandai per quanto tempo fossi rimasta priva di sensi. A giudicare dalla posizione del sole, non era passata più di un'ora dalla fine dello scontro.

Mi stropicciai gli occhi con i dorsi delle mani, in quanto i palmi erano un miscuglio di terra e sangue puzzolente. Mi accorsi di avere tutti e quattro gli arti graffiati, anche se mi dolevano più per la stanchezza che per le lesioni.

«Hora! Ti sei ripresa!» sentii chiamarmi.
Flick sbucò fuori da dietro il corpo del Troll che avevo di fianco. Teneva in mano un secchio, lo stesso che avevo usato quella mattina per lavarmi. Era stato quella mattina o il giorno precedente? Ero un po' stordita e i pensieri facevano fatica ad allinearsi. Ricordavo di aver combattuto, ma non cosa fosse successo nei dettagli.

«Ho preso un po' d'acqua, pensavo di usarla per svegliarti» continuò Flick, avvicinandosi. «Ma non servirà, a quanto vedo. Va tutto bene?»
Annuii con il capo. Mi massaggiai un po' le tempie per alleviare un fastidio che sentivo, un leggero mal di testa accompagnato da un sibilo che si insinuava nelle meningi, graffiandomi la materia grigia.
«Non sembri in forma, ma sempre meglio di Atoldir. Gli altri sono da lui a medicarlo. Tieni, bevi un po'» blaterò, porgendomi il secchio.

La mia mente faticava a connettere, tanto che Flick dovette avvicinarmi l'acqua alle labbra per farmela ingurgitare. Ero ancora sotto shock.
«Allora... sicura di non aver... sbattuto la testa? O esser stata colpita? Sembri un po'... spossata.»
Non riuscii a rispondergli perché un capogiro mi costrinse a sdraiarmi di nuovo. Sentii il figlio di Halos che mi metteva un panno miracolosamente fresco sulla fronte, raccontandomi: «Deve essere stato faticoso affrontare quegli orchi, con questo caldo poi! Avrai solo bisogno di riposo. Miseriaccia, la tua ferita alla spalla ha un aspetto orribile! Vado a prendere dell'altra acqua e a chiamare Pin.»

Dopo un attimo, o forse qualche minuto che la mia memoria rimosse completamente, Flick riapparve. Mi fece rialzare per permettermi di bere ancora.
«Sai, sei stata fortunata. Atoldir ha tipo dieci costole rotte, altrettante vertebre girate e chissà che altro. Continua a urlare.»

Mi chiesi come mai non lo sentissi. Tuttavia, in quello stesso istante, le mie orecchie si sintonizzarono da sole e i latrati di Atoldir mi colpirono i padiglioni auricolari. I miei sensi – o forse proprio tutto il cervello – erano annebbiati, riuscivo a percepire una sola cosa per volta. Infatti, Flick era andato avanti a parlare senza che io riuscissi a carpire alcunché di quanto mi stesse comunicando. Tutto era concentrato solo sulle incessanti grida del figlio di Feria, provenienti dal carro del nostro viaggio.

Quando si accorse della mia faccia smarrita, Flick non proseguì il discorso ma mi rassicurò: «Riposati un po', vado a sentire gli altri» e si allontanò.
Mi stesi e chiusi gli occhi. Non saprei dire se mi fossi addormentata o meno ma, dopo poco, Pin mi scosse per le spalle. Essendo entrambi bassi e minuti, all'inizio lo confusi per il figlio di Halos. Teneva in mano un intruglio che emanava spire di vapore caldo simili ai ricci fumosi dei suoi capelli. Il figlio di Seshat me lo avvicinò alla bocca, dicendomi che mi avrebbe aiutata a sentirmi meglio dopo aver inalato la sua pozione della nanna, e io non protestai.

La figlia dell'IngannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora