Capitolo 2 - la quiete prima della tempesta

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Camminammo insieme immersi nel giardino in fiore. Notai siepi intagliate a forma di animali, statue raffiguranti elementi naturali o di Feria, la divinità di Lloyd. Flick non smise un attimo di raccontare di gemme perdute, furti famosi e scherzi eclatanti. Quando fummo ai piedi del portone del castello, una guardia di servizio mi si avvicinò.
«Il cavallo dovrà sostare nelle scuderie fino alla partenza. Prego, da questa parte» annunciò, facendo un gesto cordiale verso sinistra e muovendosi in quella direzione.

«Ci vediamo dentro!» salutò il bardo, e io ricambiai con un cenno.

«Avrei bisogno del nome del proprietario dell'animale, per mettere una targhetta sul box» mi avvisò il custode delle stalle una volta giunta davanti alla costruzione in legno ben curata.

«Sono io, mi chiamo Hora, figlia di Heket.»

L'uomo mi guardò con supponenza, quasi pensasse che lo stessi prendendo in giro.

«Veramente intendevo il nome di colui che parteciperà all'impresa, a cui dovremo consegnare il cavallo al momento della partenza...»

«Il cavallo è mio, io parteciperò all'impresa» risposi con freddezza.

A quell'affermazione, il guardiano si bloccò. «Non è possibile... il re ha richiesto guerrieri in gamba, il più forte di ciascuna contea. Non sapevo ci fossero donne avvezze alle armi.»

Lo disse in modo tanto altezzoso da irritarmi notevolmente. Di nuovo, in meno di un'ora, qualcuno mi trattava come un'incapace. Non avrei sopportato oltre. Non riuscii a trattenermi.

In un secondo, tolsi l'arco dalle spalle e incoccai una freccia. L'uomo non fece in tempo a urlare o a dire qualcosa che si ritrovò con una manica dell'elegante giacca bloccata alla parete dietro di lui.

Avevo mirato con cura: non volevo ferirlo, per evitare di essere esclusa dalla missione ancora prima che iniziasse, così avevo beccato un lembo della divisa sotto cui non vi era carne, piantando la freccia nel morbido legno che costituiva le pareti della scuderia. Marzapane si agitò e dovetti riafferrare le redini in fretta per impedirgli di trottare via, mentre con l'altra mano impugnavo ancora l'arco. La sentinella rimase esterrefatta, guardò la sua uniforme bucata e ancorata al muro alle sue spalle con la bocca aperta, senza emettere un suono.

«Metterò io il mio nome sulla targhetta, non stia a disturbarsi.»

Gli sfilai davanti trattenendo Marzapane, e con la coda dell'occhio lo ammirai mentre cercava di staccare la mia freccia senza rovinarsi l'uniforme. Ridacchiai.

Scelsi una qualsiasi delle tante stalle tutte uguali, modulari, con l'abbeveratoio e il contenitore del mangime disposti in maniera identica

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Scelsi una qualsiasi delle tante stalle tutte uguali, modulari, con l'abbeveratoio e il contenitore del mangime disposti in maniera identica. Portai dentro Marzapane facendo non poca fatica a convincerlo, conoscendo il suo odio nei confronti dei luoghi chiusi.

«Coraggio, non resterai qua tanto» cercai di rincuorarlo. Quando le zampe posteriori furono nel box, lo legai momentaneamente e mi precipitai a chiudere la porta per evitare che facesse retromarcia. Gli tolsi i finimenti e uscii, ricacciando indietro il suo testone mentre cercava di seguirmi.

La figlia dell'IngannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora