Capitolo 22 - mai fermarsi alle apparenze

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Tempo presente

Hora

Prima di entrare, sospirai in cerca delle parole più adatte, rendendomi conto di non sapere nemmeno perché lo stessi facendo. Le gambe e la colonna vertebrale mi dolevano per la stanchezza mentre mi reggevano. Forse avrei dovuto riposare, ma un certo senso di colpa che albergava nello stomaco mi diceva che dovevo vedere come se la passava il figlio di Feria. Superato il momento di esitazione, mi issai sul retro e mi sedetti a gambe incrociate da parte al lettino improvvisato.

Il bel volto di Atoldir era imperlato di sudore, i suoi fluenti capelli biondi incrostati di sangue. Goccioline gli scendevano ai lati del viso, inumidendo il tessuto sottostante. Stava riposando ma non dormendo del tutto. Le sue labbra carnose, fino a questa mattina di un bel rosa intenso e invitante, erano ora piene di tagli e screpolate.

Presi uno straccio asciutto e glielo passai sul volto, seguendo la linea delle tempie e dello zigomo, fino ad arrivare dietro al collo. Poi tolsi lo straccio umido che aveva in fronte, ormai bollente, e lo cambiai con uno nuovo immergendolo in un secchio d'acqua. Mentre glielo appoggiavo nella posizione che ritenni ottimale, il ragazzo aprì gli occhi.

«Che ci fai qui?» fu la sua reazione secca, tentativo di mantenere il solito orgoglio. La sua voce era però strozzata, come se avesse della mollica di pane in gola.

«Credevo fossi il bardo» tossicchiò.
Cercai di fare una battuta, strizzandogli un occhio: «Sei rimasto deluso?»

Lui afferrò il mio tono scherzoso. «Meglio una bella ragazza che un musicista da quattro soldi. Sarai la mia nuova assistente?»
«Solo per questa sera, temo.»

Fissò i suoi occhi nei miei. «Per una volta che ti faccio un complimento, potresti anche apprezzarlo.»
«Hai ragione» sorrisi imbarazzata.

Atoldir tornò a puntare lo sguardo sul soffitto. «Allora, perché sei qui?»

Guardai il suo torace alzarsi e poi riabbassarsi. Era coperto con un lenzuolo, ma sotto si intravedevano numerose bende rosso scuro. Aveva una mano poggiata a livello del ventre e una stesa lungo il fianco. I suoi vestiti, sopra ai quali giaceva l'ascia che emanava uno sgradevole odore di sangue marcio di Troll, erano ammucchiati in un angolo. Mi domandai se indossasse le mutande, ma mi parve un pensiero decisamente fuori luogo.

«Volevo vedere come stavi, tutto qua» mi affrettai a rispondere.
Il ragazzo ridacchiò. «Non ci credo.»
«Perché no?»
«Perché non ti sto simpatico e non ti interessa di me.»

Rimasi interdetta. «Non è vero... certo, non sei la persona più affabile che abbia mai conosciuto, ma in fondo non sei poi così male.»

«Non mi servono sensi soprannaturali per sapere che non lo credi davvero» esalò, sfigurando il viso in una smorfia di dolore.

«Ti fa tanto male? Ti serve qualcosa?»

Ruotò il capo nella mia direzione. «Davvero ti stai preoccupando per la mia salute, principessa?»

Mi misi una mano su una tempia, fingendomi infastidita. «Quando mi chiami così ti odio, sappilo.»
«Un po' ti piace, in realtà» sogghignò malizioso.

Alzai gli occhi al cielo. «A parte gli scherzi... volevo ringraziarti per avermi aiutata oggi, durante lo scontro. Senza di te sarei rimasta sepolta sotto il corpo del Troll.»

«Visto che non sei venuta qui solo per sapere se stavo bene?» mi provocò, con un angolo della bocca rivolto verso l'alto e alzando un solo sopracciglio.

Sospirai. «Lo ammetto, volevo espiare i miei sensi di colpa. Sei contento ora?»

Mi guardò soddisfatto, ma parve anche comprensivo. «Decisamente sì. Mi piacerebbe confessarti che la tua bellezza mi abbia distratto mentre combattevo, ma sono stato colpito per un mio errore.»

La figlia dell'IngannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora