27: non lasciarti andare

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ATTENZIONE: nel capitolo sono presenti parole di un lingua che ho inventato IO. Non esiste e, pertanto, ne è vietato l'uso all'infuori della sottoscritta.

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Soobin

Camminai fulmineo tra gli alberi scuri e contorti della foresta. Ancora protagonista di uno dei miei sogni, restrinsi le ali sulla schiena e cercai di usare i miei poteri per localizzarla. Jiyoung doveva essere lì, la sentivo. Ripercorsi lo stesso sentiero dell'ultima volta che l'avevo vista, cercando di sbrigarmi. Non sapevo quando sarebbe durato il sogno, quella volta. Ogni notte la sua durata cambiava, in base alle esigenze della premonizione. I sogni erano sempre diversi dalle visioni: stesso scopo, ma diverso modo di operare. Potevano mostrarmi anche cose che non esistevano nella vita reale solo per indurmi verso l'opposto.

Quando raggiunsi lo spazio aperto oltre gli alberi, mi fermai, sentendo il cuore mancare un battito. Jiyoung non c'era, non era nello stesso posto dell'ultima volta. Eppure l'avevo avvertita in quel preciso luogo. Che si fosse spostata?

Ripresi a seguire la sua scia, calpestando la terra mista a sabbia di Ikmuthartos. La seguii finché non arrivai verso una grande pozza - la più grande che avessi visto in quella terra, tanto da sembrare un minuscolo lago - , l'acqua limpidissima da poterne vedere il fondo. Espirai sollevato quando la vidi, il vestito bianco raccolto intorno a lei, mentre sedeva lungo la riva. Mi avvicinai cauto, sperando che mi riconoscesse. Al momento, lei non sembrava avermi ancora notato.

Jiyoung immerse la mano nell'acqua e la osservò con sguardo malinconico. Mi fermai giusto qualche passo dietro di lei. Vidi la sua espressione sorpresa dalla figura riflessa nell'acqua, accanto alla mia. Si voltò con un moto di meraviglia sul volto e ricambiai il suo sguardo. Rimase a guardarmi, la mano ancora nell'acqua limpida, e presto assunse una certa consapevolezza.

«Soobin?» mormorò, continuando a guardarmi, l'espressione che diventava impassibile.

Annuii «Ciao, Jiyoung»

Si alzò cautamente e la mano bagnata le gocciolò sul vestito, ormai sporco di terra all'estremità «Perché sono qui?»

«Sei in uno dei miei sogni. Non è la prima volta, ma non lo ricordi» dissi cauto. Le nostri voci si stagliavano calme e lente contro il silenzio di Ikmuthartos, come se quel posto fosse stato privato delle emozioni e noi della capacità di provarle a lungo.

«Che vuol dire?» chiese, aggrottando leggermente la fronte «Indosso un vestito che...» il suo sguardo fu catturato da qualcosa alle mie spalle. Sussurrò quasi adorante «Le tue ali»

Cercai di non abbassare lo sguardo e le lasciai aprirsi un po' di più sulle spalle «Questo è un sogno premonitore, uno dei miei. Non so per quanto andrà avanti e neanche io so bene perché continui ad apparire»

«E se fosse anche mio, il sogno? Altrimenti non mi sarei qui, a parlarti»

Sorrisi alla sua contro risposta «Credo di saperne quante te, allora, in sogni premonitori»

«Quindi che cosa ti sta dicendo, il sogno? Io implico qualcosa?» mormorò, voltandosi di nuovo. Si risedette lentamente e immerse di nuovo la mano nell'acqua. Guardai con attenzione quel gesto piuttosto curioso. Mi misi al suo fianco, rimanendo in piedi, e osservai i nostri riflessi di nuovo uniti.

Rebuild Me || TXTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora