28. Kacey

6.3K 209 12
                                    

Dieci anni prima.

Erano le tre del mattino e il campanello al piano di sotto aveva già suonato un paio di volte, interrompendo i miei sogni splendidi su Tyler Knox, il bel capitano della squadra di basket per cui avevo una cotta mostruosa, che proprio in quel momento mi stava chiedendo di andare al ballo della scuola con lui.

Accidenti!

Mi buttai giù dal letto e raggiunsi i miei genitori assonnati nel corridoio. Scendemmo al piano di sotto assieme e intanto ci interrogammo su chi potesse essere a quell'ora della notte. Mio fratello era l'ultima persona della lista. Si era trasferito in un posto tutto suo in centro e si faceva vedere da queste parti raramente. L'internato all'ospedale lo teneva troppo occupato.

E poi alle tre del mattino suonava il campanello? Impossibile. A meno che non fosse ubriaco e avesse sbagliato casa.

Papà in pigiama e con i capelli scompigliati, guardò attraverso lo spioncino e trattenne il fiato. <<Oh, cazzo>>, disse prima di spalancare la porta.

Mi tolsi da dietro le spalle di mia madre, dove mi ero nascosta per la paura e mi ritrovai di fronte due poliziotti con i rispettivi cappelli appoggiati contro lo stomaco. Avevano lo sguardo cupo e triste.

Un brivido di paura mi scese lungo la spina dorsale. C'erano i ladri in casa? Mi guardai alle spalle terrorizzata nel buio della casa.

<<Che succede agenti?>>, chiese mio padre in allerta.

L'agente più anziano si fece un pochino avanti. <<Ci scusi per il disturbo a quest'ora della notte, signor Maddox, ma è una questione urgente>>, fece una pausa e abbassò lo sguardo a terra.

Oh-oh. Brutto segno. Stava per dire qualcosa di terribile. Me lo sentivo fin dentro le ossa. Rabbrividii e mi strinsi nella maglia di cotone con cui ero andata a dormire.

<<C'è stato un incidente questa notte in cui è rimasto coinvolto suo figlio>>, disse il secondo agente che era rimasto un po' in disparte.

Mia madre si portò una mano alla bocca e spalancò gli occhi. <<Sta bene?>>, chiese avanzando di un passo e appoggiandosi a mio padre.

Il primo agente si schiarì la voce. <<Mi dispiace dovervi dare questa notizia. Suo figlio e la sua ragazza sono stati coinvolti in un incidente mortale. Un camion, il cui guidatore era probabilmente ubriaco, li ha travolti e mandati fuori strada. Per il signor Maddox non c'è stato niente da fare. È deceduto sul colpo>>.

Un urlo squarciò il silenzio tetro della notte. Ricorderò quel suono per tutta la mia vita. Mia madre iniziò ad urlare e si gettò contro il povero agente che era venuto a darci la brutta notizia. Mio padre era sotto shock, mentre io mi ritrovai seduta a terra, nel pavimento ghiacciato. Non so nemmeno quando avevo cominciato a singhiozzare.

<<Non può essere! Si sta sbagliando! Diglielo anche tu Patrick! Diglielo!>>. Mia madre era una scheggia impazzita e stava per uccidere a pugni un agente.

Mio padre allontanò mia madre dall'agente. <<Voglio sapere tutto. Entrate>>.

Andammo in salotto e i poliziotti ci diedero i dettagli. Il corpo di mio fratello andava riconosciuto e mio padre si offrì per quel difficile compito. Mia madre non era in sé e non avrebbe sopportato di vedere Jason privo di vita.

<<La ragazza?>>, chiese mio padre.

Il primo agente dondolò da un piede ad un altro. <<Respirava ancora quando l'hanno trovata. Credo stesse resistendo per il bambino che portava in grembo. È l'unico sopravvissuto dell'incidente>>.

Bambino? BAMBINO?

Magari era un'amica di mio fratello? Aveva una ragazza? Cosa nascondeva Jason?

<<Il bambino>>, disse mio padre quasi strozzandosi su questa parola, <<È di mio figlio?>>.

Calò il silenzio nel salotto. Si sentivano appena i singhiozzi di mia madre. <<Sono stati fatti gli esami del DNA. Coincide con quello di suo figlio>>.

<<E cosa ne sarà di questa creatura?>>, domandò mia madre, ritornando presente a sé stessa.

<<È una bambina. E non lo so. Al momento è in ospedale in incubatrice. È nata prematura di due mesi ma dicono sia sana e affamata. Sarà il tribunale ad occuparsi di lei. È una situazione molto complicata. Forse dovreste pensare all'idea di prenderla con voi o con la famiglia della madre>>.

<<Non sappiamo nemmeno chi sia questa ragazza>>, protestò mia madre, <<e non conosciamo la famiglia. Oh, Dio! Che tragedia>>. Si lasciò andare di nuovo ad un pianto disperato.

Ore dopo, l'alba stava illuminando il cielo nero e il silenzio regnava in casa. Mio padre era andato all'ospedale per riconoscere il corpo e non era più tornato. Mia madre invece era rannicchiata sul divano, immobile a fissare il vuoto.

Io non sapevo che fare. Il dolore che provavo era devastante. Mi sentivo vuota e a pezzi. La sensazione di freddo dentro di me non se ne andò nei giorni successivi che passarono in un turbinio confuso.

Jason era morto. Morto. Non sarebbe più entrato da quella porta la domenica, non avremmo più bisticciato. Andato. Lui se ne era andato. Quella povera bambina era l'unica cosa che restava di lui.

I miei genitori avevano smesso di parlarsi negli ultimi giorni. L'unica cosa su cui erano d'accordo era quella povera bambina. La famiglia della ragazza, Kimberly, come avevo scoperto si chiamava, non era intenzionata a prendersene cura al cento per cento, ma avrebbe contribuito al suo mantenimento. E avrebbero fatto parte della sua vita.

Il padre della ragazza era malato di cancro e non avevano le forze per occuparsi di una bambina.

Non li avevo ancora visti. Ero sicura che ci sarebbero stati al funerale, ma le nostre famiglie erano delle estranee e tali sarebbero rimaste. La bambina per il momento sarebbe rimasta da noi.

Era l'unica colla che univa due famiglie sconosciute.

TELL IT TO MY HEARTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora