Capitolo ventuno

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N.A. la storia non è mia io mi limito solo ed unicamente a pubblicarla.

HALF A HEART

 (Ice on Fire) capitolo 21.




POV di Harry.


Lascio di nuovo casa di Eddie troppo tardi. Le mie gambe tremano sempre di più a poco a poco che mi avvicino alla piccola casa. Mi ammazzerà. Mi farà più male del solito. Meglio io che mamma. Raggiungo la porta di casa e la vedo semi aperta. 

"Mamma?" la chiamo titubante.

La casa è buia all'interno e quando entro cerco di guardarmi attorno.

La piccola luce della cucina è fioca e devo sgranare gli occhi per mettere bene a fuoco. Mi volto verso il salotto e rimango paralizzato. Mio padre è disteso a terra e sul suo petto c'è una chiazza di sangue enorme. Alzo la testa e vedo sul muro bianco una scritta rosso sangue che dice "Assassino".

Porto istintivamente le mani alle orecchie per placare le voci che iniziano a tormentarmi. Tutte mi chiamano assassino e non faccio altro che urlare e urlare...


Mi svegliai di soprassalto, mettendomi a sedere, e mi guardai attorno per capire dove mi trovavo. Ero in camera di Hanna. Era ancora molto buio, segno che erano passate solo poche ore da quando avevo preso sonno.

«Harry, stai bene?»

Sentii la sua piccola mano sul mio braccio e la sua voce assonnata. Cercai di regolare il respiro affannato e mi passai una mano sul viso fracido di sudore.

«Vuoi parlarne?» 

Mi voltai per guardarla e la vidi con gli occhi spalancati per la preoccupazione. I capelli le cadevano in un pasticcio biondo fino al seno e dalla maglietta era riconoscibile un legero rigonfiamento.

«Sto bene, - la rassicurai – torna a dormire.»

Portai una mano per accarezzare una sua guancia e lei si appoggiò al mio palmo, tenendomi sempre d'occhio. Sicuramente aveva paura che potessi esplodere da un momento all'altro.

«Sei sicuro?»

La sua voce era così dolce e mi trasmetteva una calma apparente. Hanna riusciva sempre a rendermi sereno, ma ciò che mi perseguitava era più forte di tutto. Questa volta.

«Vieni qui.»

La presi tra le mie braccia e tornai disteso sul letto, mentre lei sistemava la sua testa sul mio petto. Il mio braccio la teneva stretta come per protezione e il suo mi cingeva la vita come ancora di salvezza.

«Harry?» mi richiamò poco dopo.

«Si?»

«Buon compleanno.»

Rimasi gelido a quello. 

Era il 25 settembre del mio ventiduesimo compleanno. Ero a letto con la ragazza che amavo, finalmente sembrava che qualcosa stesse prendendo una piega positiva nella mia vita e, nonostante questo, non riuscivo a essere del tutto felice. Hanna si addormentò quasi subito, rinunciando a combattere per avere una mia risposta. Avevo paura per ciò che mi aspettava al mio risveglio. Amavo questa ragazza, ma sapevo che per nessuna ragione al mondo mi avrebbe permesso di non festeggiare il mio compleanno. Io non potevo, non ancora. Così, quella mattina mi svegliai per primo e guardai Hanna per qualche minuto. Dormiva con un braccio sul petto, l'altro era lungo il mio fianco come per avere la certezza che fossi ancora lì. Aveva il viso rilassato e la bocca semi-aperta. Sorrisi per la tenerezza che trasmetteva. Poi mi avvicinai per darle un bacio sulla guancia e mi alzai per andare via. Non potevo stare con lei in quel momento. Ero di pessimo umore, arrabbiato, depresso, confuso. Incazzato, per lo più incazzato. E triste. Odiavo la tristezza, mi faceva sentire fottutamente troppo vulnerabile. Il dolore dovrebbe essere qualcosa di illegale per il genere umano. Vorrei prenderlo, accartocciarlo e buttarlo in una scatola. Vorrei tornare in riformatorio e non sentirmi tutto questo peso addosso. E Londra sembrava rispecchiare il mio stato d'animo, con la sua pioggia che scendeva sul mio cappuccio ormai zuppo. I capelli mi si erano appiccicati alla fronte e gli stivali si erano bagnati sulle punte.

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