Capitolo uno.

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N.A. LA STORIA NON E' MIA IO MI LIMITO A PUBBLICARLA

HALF A HEART  

(Ice on Fire) capitolo 1.


POV di Harry.

Londra.
Sapevo quanto fosse piovosa e grigia questa città solo per sentito dire, ma dopo un mese di vita qui so cosa intendono tutti quando ne parlano.
E' una città affascinante di sicuro, ma ha sempre quella foschia che ti si appiccica nelle ossa, quell'aria fredda e cupa che ti fa sentire il cuore arido anche quando non lo è. 
La gente è diversa da Bristol perchè non fa caso a ciò che indossi, a come sei conciato, se hai tre teste, una gamba in meno, i capelli rosa fluo. Per loro sei una persona come tutti gli altri e nessuno ti da fastidio.
Sono grato di questo.
So bene che il mio carattere è peggiorato notevolmente, ma non riesco e soprattutto non voglio cercare di cambiarlo.
Okay, con la gente sono sempre scorbutico, ma quanto meno non picchio più nessuno. Almeno non recentemente.
Sono andato via da Bristol qualche giorno dopo quella fottuta notte di merda, dopo averla cercata in qualsiasi luogo. Alla fine sono arrivato alla conclusione che non voleva farsi trovare e, per quanto volessi trovarla, glielo lasciai fare.
Ho trovato un appartamento in una via isolata di Londra.
Non voglio avere gente che mi gira attorno e Zayn me lo permise.
Viviamo sotto lo stesso tetto, ma siamo d'accordo sul fatto che nessuno dei due debba rompere le scatole all'altro.
Nonostante Londra avesse tutti i difetti di questo mondo sul tempo, il caffè e soprattutto l'alcol, non erano male.
Come ogni sera, attraversai la strada che separava il palazzo in cui vivevo dalla caffetteria di fronte. 
La chitarra chiusa nella custodia sulla mia spalla.
«Buonasera Harry.»
Mary, la proprietaria della caffetteria, mi salutò sorridendomi come ogni volta.
Era cordiale, un pò in carne forse, ma io non avevo un buongiorno da tanto tempo.
«Anche oggi di buon umore, vedo.»
Aggiunse, vedendo la mia faccia priva di espressione.
«Almeno sono coerente.» dissi infine.
Presi il mio caffè e sparii dalla sua vista.
Non sopportavo quando le persone mi fissavano per più di cinque minuti solo per scoprire cosa mi frullava nella testa. Non ne avevano il diritto.
Percorsi ancora qualche metro prima di leggere la scritta lampeggiare in alto: Irish Pub.
Un nome ridicolo e scontato, lo so, ma era l'unico modo che avevo per passarmi il tempo e guadagnare qualcosa.
«Harry.»
Josh, uno dei due proprietari, mi salutò una volta entrato, da dietro il bancone.
Gli feci un segno in risposta con la testa, niente di più.
Non avevo mai sopportato quel tizio, sin dalla prima volta che lo avevo visto.
Era più grande di me di due anni, ed era troppo perfetto con quei suoi capelli misurati centimetro per centimetro e quella pelle lucente.
Sarebbe stato il suo classico tipo. Ecco perchè lo odiavo.
Il locale non era ancora pieno, così mi presi qualche minuto nello sgabuzzino che avevano improvvisato come camerino per noi dilettanti allo sbaraglio. Poggiai la chitarra per terra e guardai lo specchio davanti a me. I capelli più lunghi del solito, il naso rosso per il freddo e gli occhi piccoli per il troppo fumo.
Non ricordo esattamente il giorno in cui ricominciai a fumare, so solo che da quel momento non riuscii più a smettere. Diedi una scrollata ai capelli davanti, tanto per riuscire a tenerli alzati sulla fronte. Davo proprio l'idea di uno sbandato, e forse come idea non era tanto sbagliata. Non avevo più idea di cosa fosse il giusto e di cosa fosse lo sbagliato. Avevo gli occhi infossati, non perchè mi facessi di qualcosa, semplicemente non ricordo l'ultima volta che riuscii a dormire per più di due ore. Gli incubi mi assalivano la notte e mi risvegliavo solo nella mia stanza buia, che grondavo di sudore.
«Harry cinque minuti.»
Qualcuno bussò alla porta, avvertendomi del tempo che mi rimaneva prima di salire sul palco. Bè si, avevo deciso di riprendere la mia vecchia chitarra e di riprendere a suonare e a scrivere. Quello era l'unica cosa che riusciva a calmarmi. Nonostante tutto ciò di cui scrivevo fosse lei.
Uscii dal camerino con una maglietta verde militare e un jeans un pò troppo strappato sulle tasche e presi la chitarra in mano. Il locale si era più o meno riempito, ma non c'era mai tantissima gente. Il solito vecchio ubriaco era seduto al tavolo alla mia destra, con un cappello di lana in testa nonostante fossero i primi di agosto.
Iniziai a pizzicare le corde della chitarra e la voce iniziò ad uscirmi da sola.

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