Capitolo diciotto.

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N.A. LA STORIA NON E' MIA IO MI LIMITO SOLO A PUBBLICARLA.

HALF A HEART

(Ice on Fire) capitolo 18.

POV di Hanna.

La proposta di Harry se da un lato mi aveva elettrizzata, dall'altro mi aveva terrorizzata. Era andato via la mattina presto dopo quella notte e io mi ero risvegliata nel mio letto, con un suo biglietto accanto al mio cuscino in cui diceva che sarebbe tornato nel pomeriggio con le sue cose. Non riuscivo a rimanere a casa ad aspettarlo così, dopo aver fatto un pranzo quasi decente, presi Chester al guinzaglio e uscii a fare una passeggiata. Era già passata da un pò la prima settimana di settembre, I ragazzi riprendevano ad andare a scuola, quelli più grandi facevano le valigie per il college. Io sarei dovuta partire tra qualche giorno, con il mio borsone verde militare, la mia matita sempre a portata di mano. Sarei atterrata a Milano dopo un volo di troppe ore, avrei preso un taxi che mi avrebbe portata al mio appartamento e avrei trovato Grace ad aspettarmi sulla soglia.
Non vedo l'ora di vederti di presenza, mi aveva scritto nella sua ultima email.
Mio padre non aveva voluto disdire il contratto per l'affitto “semmai cambiassi idea”, diceva lui. Mi aveva fatto spedire una lettera all'università dove spiegavo che ero stata poco bene per una serie di eventi e che quando fossi stata pronta sarei tornata. Mio padre però non sapave che non poteva comprare tutti. L'università mi diede un tot di tempo. Se non avessi preso a frequentare entro il secondo semestre, mi avrebbero buttata fuori. E lo avrebbero fatto. Non sarei potuto tornare a marzo per il secondo semestre, non avrei fatto in tempo. A marzo sarei stata il doppio di quella che sono ora e non sarei passata inosservata.
«Hanna?»
Sussultai e mi ritrovai seduta sullo sgabello della caffetteria di Mary. Mi ero soffermata a pensare su come la mia vita avesse preso una piega completamente diversa da quella che mi ero prefissata. Non sarei andata al college. Liam non sarebbe andato al college.
«Stai fissando il muffin da ore.» mi fece notare Mary.
Alzai gli occhi e cercai di sorridere.
«Scusa, non ho molta fame.»
Spinsi delicatamente il piattino verso di lei facendo una smorfia.
«Strano, dovresti avere una fame per due.»
La guardai ancora e lei mi fece l'occhiolino per poi voltarsi e versare del caffè nella tazza di un cliente seduto a pochi metri da me.
«Co.. cosa?»
Rabbrividii alle sue parole e tornò di fronte a me, sospirando.
«Non sei l'unica anima in pena che viene a sedersi nel mio locale.»
Mi sorrise complice e il viso di Harry mi balenò nella mente.
«Harry? Harry ti ha parlato di me?»
Prima Josh, adesso Mary.
Harry parlava dei nostri problemi più con gli altri che con me.
«Sembrava un cucciolo ferito.. se ne stava qui seduto con il muso lungo, - spiegò – gli ci è voluta una bella ramanzina per fargli tornare un pò di senno.»
Ricordai la sera in cui Harry era corso al locale per dirmi che voleva starmi accanto nonostante tutto, che era dispiaciuto per tutto quello che mi aveva detto. Dunque.. era stata Mary a dargli una spinta.
«Mary.. tu..»
«Harry è un bravo ragagazzo, - continuò – ti ama.. e amerà quel bambino nonostante non sia suo, - un brivido mi percosse la schiena e stavo per spiegare ma lei andò avanti – ma ti prego.. non farlo più soffrire neanche tu.. non credo sopporterebbe che tu gli tenga nascosto altro..»
Mi si gelò il sangue.
Non credo sopporterebbe che tu gli tenga nascosto altro.
Deglutii a fatica. Era come se Mary sapesse.
«Ti senti male Hanna?» prese la mia mano tra la sua.
«Si, devo solo.. - balbettai – Harry mi starà aspettando, devo andare.»
Presi la mia borsa, afferrai il guinzaglio di Chester e salutai Mary con il sorriso più falso che riuscii a fare. Ero più agitata di prima. Stavo ancora nascondendo una cosa ad Harry e prima o poi lo avrebbe scoperto. Prima o poi lo avrebbe saputo e non mi avrebbe più rivolto la parola. Era troppo tardi. Ma potevo sempre tenerlo nascosto o.. guadagnare tempo. Non c'era motivo che lo scoprisse adesso. Non volevo che mi abbandonasse di nuovo. Non volevo.
Controllai il telefono lungo la strada del ritorno e vidi sette chiamate perse tutte da Harry. Non mi ero accorta del tempo che passava e si erano già fatte le sette di sera. Avevo camminato a lungo per poi fermarmi da Mary e farmi venire ancora più paranoie. Lo avrei detto ad Harry solo.. solo non adesso.
«Hanna!»
Non appena uscii dall'ascensore lo vidi lungo il corridoio che faceva avanti e indietro. Non appena mi vide l'espressione di panico svanì dalla sua faccia.
«Ti ho chiamato cento volte! Dov'eri?»
Vidi il suo borsone poggiato sul pavimento e ora lui si trovava a pochi centimetri da me, con le mani poggiate sulle mie spalle.
«Sono andata solo a fare una passeggiata.. sto bene!»
Sbuffò ma vidi i suoi muscoli rilassarsi.
«Puoi perfavore.. avvertirmi diciamo quando decidi di andartene in giro da sola?»
Mi chiese mentre aprivo la porta permettendoci di entrare in casa.
Non avevo nessuna voglia di stare alle sue condizioni in quel momento. Ero nervosa, molto più che nervosa.
«Hanna!» mi richiamò.
«Dio! Sono andata solo a fare una passeggiata, non devo avvertirti necessariamente di tutto Harry!» sbottai.
Lui rimase perplesso con ancora il borsone sulla spalla.
«Sto bene no? Non devi controllarmi per forza!»
«Non cerco di controllarti! - sbottò anche lui – Mi sono solo preoccupato, hai gli ormoni in subbuglio?»
Non doveva proprio dirlo. Non doveva.
«Credi che abbia gli orboni in subbuglio? Io non ho gli ormoni in subbuglio! - fece una smorfia – Sono solo stanca perchè la mia vita non è più.. mia! Non andrò al college, non avrò una vita da una qualsiasi ragazza del college, non creerò una mia linea di moda, non vedrò il mondo! Sono stanca di correre ogni mattina in bagno per vomitare, di avere strane voglie di cibo che mi stanno facendo diventare cicciona e odio avere la nausea per ogni odore che sento! Io non ho gli ormoni in subbuglio!»
Harry rimase immobile davanti a me con le braccia conserte, aspettando che finissi.
«Hai finito?» mi chiese.
«Si, ho finito!»
«Bene, adesso vieni con me.» si allungò per prendermi la mano e mi trascinò di nuovo fuori casa.
«Dove andiamo?» cercai di fare resistenza.
«Hai decisamente gli orm.. - lo fulminai con lo sguardo prima che potesse continuare – ok, diciamo che sei solo stressata, hai bisogno di rilassarti!»
Chiusi di nuovo casa, lasciando questa volta Chester dentro, e lo seguii controvoglia.
«Un giorno mi dirai perchè hai venduto la moto?» gli chiesi, notando una vecchia ford degli anni 80 posteggiata fuori il portone.
«Se farai la brava.» mi fece l'occhiolino e mi aprì lo sportello per entrarci dentro.
I sedili erano di pelle e nonostante fosse molto vecchia era curata, a parte quegli orribili appendini a forma di dado messi nello specchietto retrovisore.
«L'hai rubata a qualche negozio di antiquariato questa?»
«Non insultare la mia macchina Tomlinson, è una vecchia signora.» mise in moto e il rombo del motore riempì l'interno.
Entrò nel traffico delle strade di londra in silenzio, mentre io fissavo la città fuori dal finestrino. Non avevo idea di dove mi stesse portando, ma nel mio cuore sapevo che con lui sarei andata ovunque.
«Hai freddo?» mi chiese dolcemente.
Scossi la testa in gesto di no e tornò il silenzio.
Non camminammo per molto. Harry deviò a destra sulla statale e raggiunse un parcheggio che portava sul molo. Delle luci colorate scintillavano poco lontane e sorrisi perchè avevo capito dove mi aveva portata.
«Il Luna Park?» chiesi, scendendo dalla macchina.
«Come ho detto.. hai bisogno di rilassarti.»
Mi ritrovai al suo fianco e gli sorrisi come una bambina la domenica mattina con il padre. Lui mise le mani nelle tasche della giacca di pelle e io continuai a camminare dentro quella maglietta rossa un po' troppo larga. A mia mamma non sarebbe piaciuta. Lei voleva che indossassi vestiti che modellavano perfettamente il mio corpo, ma non in quello stato. Ma quella sera non ero una ragazza di diciannove anni incinta. Quella sera ero semplicemente una ragazza. Harry mi comprò lo zuccherò filato più grande che abbia mai visto, riuscì a vincere un peluche a forma di panda per me facendo cadere tutte le lattine di coca cola con una pistola a piombini e alla fine ci ritrovammo davanti alla gigantesca ruota panoramica.
«Vuoi davvero salire?» mi chiese, titubante.
«E' solo una ruota panoramica Harry, non cadrò giù di sotto promesso.» lo presi per mano e lo tirai verso il seggiolino vuoto che si era fermato davanti a noi.
«Divertitevi ragazzi.» ci sorrise l'uomo ai comandi dopo aver chiuso le nostre cinture di sicurezza.
La ruota partì e osservai il piccolo Luna Park che si allontanava sempre di più da noi. Londra non era mai stata così bella. Tutte quelle luci la facevano sembrare un gigantesco albero di Natale e riuscivo perfino a distinguere il Big Bang da quassù.
«Non ero mai salito su una ruota panoramica.» mi voltai di scatto a guardarlo.
«Neanche una volta?»
Harry fece segno di no e mi sorrise.
«Un'altra prima volta con me Mr Styles!»
«Un'altra eh?» chiese, arrossendo.
Arrossii anche io e istintivamente abbassai gli occhi sulle sue mani per vedere i piccoli tatuaggi disegnati sul polso.
«Perchè tutti questi tatuaggi?» chiesi.
«Vuoi davvero sapere perchè?»
Annuii.
Si passò una mano tra i capelli lunghi e prese un respiro prima di iniziare.
«Zayn mi usava come cavia, ma in realtà ero io a chiedergli di trascrivere qualcosa sulla pelle ogni volta.. ogni volta che tu mi tornavi in mente, mi distraeva dal dolore che provavo..»
Lo guardai con il riflesso della luna negli occhi, il legero vento che gli soffiava sui capelli, l'accenno di barba sul mento.. neanche lui era mai stato così bello.
«Ne hai qualcuno a cui sei particolarmente affezionato?»
Mi guardò per un secondo e poi si scoprì la pelle all'altezza della clavicola per indicarmi una strana scritta tatuata.
«E' Adele in arabo.» sussurrò.
«Oh Harry.»
Quasi piansi e istintivamente poggiai una mano sulla sua pelle e sentii il suo corpo percosso da brividi.
«Scusa.» la ritirai velocemente.
Lui mi sorrise e poi si ricompose.
«Visto? - disse dopo – Una normale serata da una ragazza del college!»
Fece quel sorriso beffardo che amavo tanto e lo spinsi scherzosamente con la spalla, per poi sentire il seggiolino fermarsi e vedere l'uomo di prima che ci liberava dalle cinture. Era già finito il momento magico.

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