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𝓡espirai profondamente, cercando di placare, per quanto fosse possibile, la mia ansia.

Non ero brava a gestire situazioni del genere, mi lasciavo sopraffare dal mio stato d'anima ed entravo in confusione.

Vedere poi, l'espressione di Can, mi preoccupava ancora di più.

Stava letteralmente bruciando dalla rabbia, stringeva ancora i pugni, la mascella era serrata e aveva lo sguardo adirato.

Non sarebbe finita bene, ne ero certa.
Solo la presenza di Scott mi rassicurava, sapevo che, in caso di bisogno, sarebbe intervenuto ed avrebbe placato gli animi.

Insieme a Can, raggiungemmo il tavolo nel quale vi era il padre e potei finalmente, dare un volto all'uomo di cui avevo sentito parlare.

Somigliava davvero molto a Can, avevano gli stessi occhi scuri e, persino i lineamenti del volto erano simili.

«Devi lasciare il locale» ordinò Can, restandogli alle spalle, l'uomo poggiò le posate sul tavolo e si voltò, aggrottando la fronte confuso, «Per quale motivo?» chiese, Can incrociò le braccia al petto e lo fissò, senza dargli alcuna risposta, l'uomo, non appena si rese conto, sgranò gli occhi incredulo.

Dalla sua espressione, fu chiaro che non si aspettava di vederlo.

«Tu? Che cosa ci fai qui?» gli chiese poi, «Ci lavoro» gli rispose Can, semplicemente, «Davvero? Quindi lavori e vivi qui adesso?» chiese l'uomo, «Hai capito che cosa ho appena detto? Devi lasciare il locale!» ripetè Can, al mio fianco, con un tono aspro, l'uomo accennò un sorriso e si alzò, «Per quale motivo?» gli chiese poi, «Perché io non ti voglio qui» chiarì suo figlio, duramente.

L'uomo si ammutolì di colpo, prendendo poi un respiro profondo.
Abbassai lo sguardo dispiaciuta, mentre nervosamente mi torturavo le mani.

«Ma perché invece non ti siedi al tavolo con noi?» propose poi a Can, indicando anche, colei che doveva essere la sua compagna, Can sorrise, senza degnarla di uno sguardo, «Sedermi al tavolo con te? E per fare cosa?» gli chiese poi, di rimando, alzando le mani, «Parlare...» rispose l'uomo, pacatamente, «Non ho nulla da dirti. Vorrei solo che lasciassi il mio locale immediatamente» replicò Can, «Sono passati tre anni...» mormorò l'uomo, cercando di poggiargli una mano sulla spalla ma Can si scansò come un fulmine, «Non toccarmi!» ringhiò, fulminandolo con lo sguardo.

«Credi che io abbia già dimenticato cosa ci hai fatto?» gli chiese poi, fissandolo, «No, so bene che non lo avete dimenticato, ma, sono comunque passati degli anni...» gli disse l'uomo, «Certo. Per te è stato facile, avevi già qualcuno con cui stare, ma la mamma? Ci hai mai pensato a lei?» gli chiese Can, andandogli incontro, scaldandosi, «Ogni giorno...» mormorò l'uomo, Can rise e scosse il capo, passandosi poi una mano sul viso.

Lo osservavo in silenzio, con la paura costante che potesse esplodere da un momento all'altro.

«Credi abbia dimenticato il modo in cui mi hai parlato? O il modo in cui mi hai dato del bugiardo? Negando tutto? Come fossi pazzo?» gli chiese Can, fissandolo ancora.

Sentirgli dire quelle cose mi spezzò il cuore.

Detestavo il fatto che avesse vissuto una situazione del genere.

«Non ero in me in quel momento...» si giustificò suo padre, «No, eri in te» replicò Can, «Solo cercavi solo di arrampicarti sugli specchi!» comtinuò, «Siediti al tavolo, parliamone con calma, cerchiamo di superare questa cosa...» gli disse suo padre, spostando per un secondo l'attenzione su di me, «Non cercare sostegno» asserì Can, fissandolo, «E' la tua ragazza?» gli chiese l'uomo, accennando un sorriso, «E' molto bella» commentò, «Te ne devi andare» ripetè Can, parandomisi davanti, come se volesse nascondermi.

𝐋𝐨𝐬𝐭 𝐨𝐧 𝐘𝐨𝐮 || Can YamanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora