Ad attenderci uno scenario simile ad uno di quegli accampamenti militari. C’era chi si piegava in flessioni, chi in addominali, chi si sfidava al braccio di ferro, chi affinava lame di coltelli su una pietra rotante. Si divertivano tra loro. Risate sguaiate aleggiavano in mezzo a nebbia di fumo, puzza di sudore e l’acidità di carne in decomposizione. I miei nervi tesi. Tesisissimi nell’incertezza di quel che sarebbe avvenuto.
«Fatti un tiro, ti rilassa», un bapu mi si avvicinò porgendomi un rotolino fumante, «si sente da un miglio l’ansia che emani» continuò.
«Cos’è?», alla domanda feci seguire subito un bel tiro.
«Riprenditi sto coso!», Tyr mi sfilò il sigaro dalle labbra rimettendolo in quelle del bapu rettiliano. Poi mi afferrò per un braccio trascinandomi dietro ai suoi passi lesti.
«Non posso distrarmi un attimo con te!» mi rimproverò, «Devi essere lucido e preciso. Uno di quei cosi ti mette ko. e un avversario in meno fa sempre comodo, perché pensi te l’abbia offerto?!»
La tosse stizzita mi bloccava ogni possibile risposta. Dietro un assembramento di bapu , un bancone da bar, da taverna di Bo, gli occhi appannati dai colpi di tosse però non rendevano ben chiare le immagini.
«Tieni, bevi! È linfa di ciliegio. Dà sollievo alla gola»
Buttai giù il bicchiere legnoso in un sol sorso.
«Allora, ti è passata?»
«Sì… sì», la mielosa bevanda mi ripristinò la voce.
«E menomale, che oramai ci siamo».
La folla sparsa si concentrò tutta andando nella stessa direzione. Infondo sulla destra. Ci unimmo alla massa.
Dinanzi ai presenti in visibilio il bapu rospo che avevo visto alla mensa.
«Io Plaus, ultimo vincitore di questo torneo» il rospo umanoide prese parola, «immensamente onorato di ricoprire questo incarico assegnatomi dal nostro sovrano Fenrir» continuò chinando il capo a mò di ringraziamento verso l’imperatore infernale che solo in quel momento vidi seduto infondo alla grotta, «inauguro la nuova sfida del Supertrasch» la rauca voce rimbombava nel tugurio alta e chiara come amplificata da mille microfoni «Che la sfida abbia inizio!» esclamò nell’esultanza generale.
Al suo ordine, uno strappo di luce divise la parete rocciosa dietro di lui.
Stupore. Perplessità. Nel mio cervello mille ipotesi. Potevano realizzarsi tutte e nessuna. Lo squarcio verticale si allargava man mano sotto la forza austera di due rettiliani, che spingendo la falla da entrambi i lati in senso opposto distanziavano sempre più le porte minerarie. Il varco non era ancora spalancato, che bapu di corsa già vi si infiltravano. Provavo a far capolino in mezzo ai presenti, volevo scorgere a cos’è che stessi andando incontro. Ma niente. Solo luce rossastra che filtrava da quello spacco in mezzo al buio profondo martellando le pupille. Mischiati tra gli ultimi, pure io e Tyr oltrepassammo il confine.
Il mio corpo scomparve in una fitta nebbia di vapore. Sbuffi di vento disciolsero quasi subito gran parte degli agglomerati gassosi liberando la visuale. Fulmini elettrizzavano l’aria rimbalzando da una parte all’altra della galleria. Dinanzi a me un fiume. Non di quelli che conosci tu, neppure io ne avevo mai visto uno del genere. Un poderoso fiume di lava incandescente. Passava dritto sotto i nostri piedi, scorrendo verso il nord. I colpi d’aria che avevano smosso il grigiastro vapore e che ancora mi frustavano la pelle in ogni punto erano generati dai bapu che schizzavano dalle mie spalle giù in quel fiume. Saltavano da una parte all’altra dell’emissario su pilastri neri che sbucavano dal filo di lava.
«Skìnrir, stai ancora lì?!» gridò una voce lontana. Era Tyr. Quel pazzoide si allontanava sempre più lungo il corso infuocato saltando all’indietro da un pilastro all’altro. All’indietro, capisci?! Quello è pazzo, te lo dico io.
«Ma che cavolo fai!» ribattetti nel nostro dialogo urlato.
«Faccio la mia gara», e un altro salto indietreggiato, «tu ti sei incollato a terra?»
«Fermati! Insomma… aspettami un attimo!» gli ordinai con le mani a megafono.
Perché? Perché questo? Che significa? Perché? Ma perché? Non te lo nego. L’ansia mi soffocava la gola.
«E muoviti!!!»
«Come cazzo vengo???»
«Salta sulle pietre!» si sforzò a consigliare il grande amico finalmente in sosta.
“ Salta”, facile a dirsi. Chissà lui quante volte l’avrà fatto?”.
Aguzzai la vista cercando di tracciare mentalmente un possibile percorso. Molti tasselli si susseguivano piuttosto vicini. Il primo salto, poi uno dopo l’altro. Non fu così difficile superarli. Proseguivo sempre cauto, coscienzioso in ogni movimento. Sono così da sempre in tutto. Mai fare una mossa se non ne sei sicuro. L’azzardo è la falla del coraggio.
«E dai, sbrigati! …non vedi, ti stanno superando tutti!» mi esaltò fermo lì ad aspettarmi. E in effetti, i bapu che erano poco prima in fila dietro di me, adesso mi precedevano già di un bel po'.
«Sto arrivando, sto arrivando» lo rassicurai. Un salto. Un altro ancora. «Ma che succede se inciampo e cado?»
Non mi fu necessaria la risposta. Un’ombra schizzò felina alla mia destra. Un bapu appena balzato sulla colonna dinanzi alla mia. Purtroppo non l’aveva centrata del tutto, le piante dei suoi piedi oscillavano vertiginosamente sul bordo del ripiano. Tutto il suo corpo in bilico tra il dentro e il fuori. Con le braccia aperte remava l’aria, e tentò… provò in ogni modo possibile a stabilire l’equilibrio. Trattenni il respiro per lui lungo tutti quegli interminabili istanti. Ma alla fine prevalse il fuori. Vidi la creatura cadere all’indietro. Zampilli infuocati esplodere nell’aria. E lo sfortunato divenire in un attimo un pezzo di nero carbone incandescente divorato dal magma.
Angoscia. Terrore. Paura. Era ciò che avresti potuto leggere in ogni mia lacrima di sudore. Il percorso fino ad allora già metodico e attento continuò sotto le veci di una minuziosa precisione. Freddo e concentrato. Un salto. Un altro. Un altro. Lasciai evaporare qualche goccia di tensione solo quando raggiunsi miracolosamente Tyr su una torretta di fianco.
«Ce l’hai fatta, finalmente!».
Davanti a noi, sulle nostre teste un arco poderoso ricamava il tunnel facendo da cornice ad uno spettacolo inimmaginabile. Il fiume acceso continuava il suo corso allargandosi in entrambi i lati. Scogli neri ne deviavano il getto, che prepotente riprendeva sempre la stessa direzione. Saette fluorescenti nascevano e morivano da ogni parte, intrecciandosi tra loro come in una rete. E in quella rete d’elettricità pesci saltavano maestosi nuotando verso l’imprecisato orizzonte. Pesci enormi. Bellissimi. Colorati di blu mediterraneo. Di rosso pompeano, di arancio siciliano… di nero notturno, di verde smeraldo. Le pinne sbocciavano come tulipani di fuoco, le code lampe spennellate tra le onde. Ne sbucavano dalle acque laviche a centinaia. Alcuni cavalcati da bapu come fossero delfini. Altri bapu purtroppo non riuscivano in tale impresa, li vedevo scomparire come sassolini lanciati nel mare. Dei loro tuffi sentenziali, solo nuvole di fumo grigiastro che consumavano l’ossigeno. Un movimento maldestro, e lì eri spacciato.
«Che dobbiamo fare?» chiesi completamente sconvolto e rapito da quello scenario.
«Pesca!» sogghignò Tyr, e con due manate improvvise dietro alla schiena, mi spinse giù l’imbecille. Per mia fortuna, e anche sua perché giuro che altrimenti gli avrei dato il tormento dall’oltretomba, caddi proprio su uno degli inverosimili squamati. Mi aggrappai alla pinna dorsale, a quelle laterali, non riuscivo a trovare la giusta posizione.
«Sono queste che devi mantenere», Tyr elegantemente accomodato sul dorso di un pesce come un cavaliere sul suo destriero era appena emerso dalle acque assassine.
«Ma come è possibile che stiamo nella lava e siamo ancora interi?!» gli domandai mantenendomi alle due strane corde come da lui indicato. Due lunghe funi carnose che pendevano sotto la bocca del pesce come un particolarissimo pizzetto.
«I Bettafire fish creano uno scudo protettivo anche per chi li doma, l’hai scordato?!»
«Perché mi hai spinto prima,» sbottai una volta consolidata la seduta «potevo morire!»
«E allora?»
«Come allora?!»
«Vivere è il bene più prezioso quando si è protagonisti di una vita vissuta, non di una trama abbozzata. Questa non è esistenza. È resistenza. Non abbiamo nulla da perdere se non un giorno in più»
Mi ammutolii. Il mio amico Jack non c’era in quelle parole amare. Avrei voluto controbattere, ma non trovai nessuno spiraglio possibile per smontare quel crudo pensiero. Aveva ragione. Nello Jouthermen non potevo che dargli pienamente ragione.
Cavalcavamo veloci. Sprezzanti. Nodi di schiuma bianco-arancione si aprivano al nostro passaggio. Sbuffi di cenere e puzza di carne bruciata incupivano l’atmosfera. Interamente immerso assieme al mio indomito bettafire fish nei fondali infuocati, e poi di nuovo tra le onde. Dentro e fuori il fiume di lava bollente. Sulla mia pelle solo calore, né ferite, né bruciore. La stessa sensazione di un sole estivo a mezzogiorno. Nessun tipo di dolore. Forse perché quando sei anche tu parte del male, niente ti può più ferire.
Intorno a noi numerosi abitanti sotterranei insieme ai loro bettafire domati. Li superammo, provando a raggiungere quelli che stavano più avanti di tutti.
Ed è lì, dietro ai primi della corsa che compresi lo scopo del torneo.
«Eccola! Eccola!» un talpide puntava l’indice sotto il filo del fiume. Una macchia scura indefinita che si muoveva scattante.
«Allontanatevi! Sta uscendo» ordinò un insettese ad occhi chiusi indietreggiando nella lava.
E poi all’improvviso quella macchia balzò fuori dalle fiamme. Un animale. Grosso, piatto. Un aquilone animato dalla vivace coda. Pareva una razza. Mi aspettavo si rituffasse in quello stesso istante, e invece contro ogni previsione, la creatura spiccò il volo.
Dopo la prima, altre razze sbucarono fuori dalle acque laviche, forse una trentina. Ma nessuna bella come quella. Tutti i bapu ripresero la corsa forsennata al loro inseguimento. Una caccia. Io che da ragazzino non raccoglievo manco le lumache dal terreno per non privarle del loro habitat naturale, stavo partecipando ad una caccia.
D’un tratto la piena del fiume non continuava più dritta. Diramava il suo corso in cinque torrenti. Come in una mano aperta, ogni scia lungo una delle falangi. Io non esitai un secondo. Non ebbi dubbi su quale strada intraprendere. Rapito e ammaliato dall’affascinante bestiola vulcanica, non distoglievo lo sguardo dai suoi lineamenti neppure un attimo. Alta nel buio. Illuminava l’oscuro. Sbatteva le sue ali elegante e tremante. Brillante come fosse di cristallo. Dipinta dei colori della vita.
«Quella è Omnia, chi la cattura ha vinto di sicuro. Lo scorso torneo mi è sfuggita, ma stavolta sarà mia!»
Accanto a me Plaus, il bapu rospo, solo allora mi accorsi che mi ero distaccato da Tyr e dal resto del gruppo. Io e l’uomo ranocchio fianco a fianco in una folle corsa dietro a quella creatura speciale.
«Perché dobbiamo catturare queste razze, per nutrirci?»
«No, certo che no. Se mangi una delle Abissus rimani folgorato»
«E allora per quale motivo cacciamo queste Abissus?»
«Per ucciderle»
«E perché?»
«Ma che ne so. Così vuole il torneo» mi rispose stizzito «e poi che ti importa, tanto sarò io ad aggiudicarmi anche questa vittoria!», mi superò fulmineo incollandosi alle calcagna della povera Omnia.
Provai a raggiungerlo.
La razza s’intrufolò in un cunicolo stretto e viscido. Plaus la seguì. Ed io dietro di lui. Scappa stupenda creatura. Scappa. Non indugiare un solo momento. Scappa. Guarda avanti, vola più lontano che puoi, e non voltarti indietro mai. Vola. Ce la puoi fare… vola accidenti. Vola. Cazzo… vola. Glielo auguravo con ogni mio atomo di umanità, nonostante la rassegnazione avesse già filato la sua tela. Il finale già mi era ben chiaro. Immagina che stai rotolando velocemente su una ripida discesa verde, dove a valle ci sono incastri di rocce taglienti. Sai che saranno la tua fine. Eppure, rotolando verso il fondo, guardando quei massi spigolosi, di possibilità te ne darai tante: “Magari mi incaglio in un ramo e non scivolo più”, “una roccia si sposta e io ci passo in mezzo”, “qualcuno mi afferra dall’alto e me le fa superare”, sai consciamente che non hai nessuna via di scampo, ma gli umani sono anche questo: Follia. E da folle, era un miracolo quello che stavo invocando per la farfalla di fuoco. Lo Jouthermen era la sua discesa, i bapu le rocce impervie contro cui stava per schiantarsi. Plaus aveva stoppato l’inseguimento. E in fondo a quel cunicolo, teneva la sua preda sotto tiro. La poveretta contro il muro, sbatteva nervosamente le ali alla parete umida. Le sbatteva con tutta la sua forza. Aperte come un Cristo in croce. “Voglio volare!” gridava la sua anima bianca e profonda.
«Non farlo!» pregai Plaus posando la mia mano sul braccio con cui impugnava alta la lancia.
«Perché non dovrei?»
«E perché devi? La bellezza va ammirata, non assassinata»
«Lasciami stare!!!» sintetizzò spingendomi via con forza.
«No. Non posso lasciartelo fare!», dirompente gli abbassai l’impugnatura, «Guardala. Guarda i suoi occhi. Non vuole pietà. È lealtà, lealtà… solo lealtà ti stanno chiedendo i suoi occhi!»
«Io non li vedo i suoi occhi!» esclamò una terza voce alle nostre spalle.
Non feci in tempo a voltarmi per vedere chi avesse parlato, che un habent sfrecciò dritta in mezzo a noi due, inchiodandosi nel petto della farfalla sotterranea.
Era stato Fenrir. Lui aveva sferrato il colpo mortale. Vidi sbattere quelle stupende ali due, forse per sole altre tre volte. E poi si immobilizzarono lì con la mia coscienza.Al ritorno i migliori del torneo portavano penzolanti sulla schiena tutte le prede di quella caccia immotivata. Grappoli di farfalle uccise. Della loro meravigliosità ne rimaneva l’involucro. Aquiloni di acqua, fuoco e aria, adesso strapazzate come buste colorate. Esibite con soddisfazione dai loro carnefici.
«Io ne ho catturate più di tutte»
«Sì, ma sono le mie quelle più particolari, tu non hai speranze!»
«Fatevi da parte, io mi sono dovuto addentrare in incavi pericolosissimi per prendere queste, devo vincere solo per il fatto che ho rischiato la pellaccia»
«Però sentite al tatto la mia abissus come è liscia e delicata»
Non ci furono più confronti quando il sovrano infernale, in piedi dinanzi al suo trono, mostrò Omnia, aperta in tutta la sua residua bellezza.
«Ho perso per colpa tua!» mi accusò in un orecchio il bapu rospo passandomi alle spalle.
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UPSIDE DOWN Vol 2
FantasyApri gli occhi tutti i giorni e rivedi la stessa identica violenta realtà, nonostante i tuoi sforzi, nonostante ti affatichi, sudi, t'ammali, ti impegni per far sì che qualcosa cambi e poi ti accorgi che niente cambia, niente può cambiare perchè nie...