Riaprii gli occhi ancora frastornato. Sbadigliando, e scricchiolando le ossa. La tempia schiacciata su un ammasso di terriccio freddo. Asciugai le labbra dal rivolo di saliva scivolato fin dentro l'orecchio. La sensazione di freddo sulla pelle iniziai a sentirla dappertutto: schiena, gambe… ero completamente impresso su gelida terra nera. Le palpebre sbattevano come impazzite tentando di schiarire le immagini sfocate che tra veglia e sonno mi si presentavano davanti. Dormo ancora? O sono sveglio? Una confusione assurda. Pazzesca. E immobile, in quella confusione lasciavo scorrere solo le pupille. Mura che parevano fatte di rami intrecciati tra loro, pozzanghere di fango sparse qua e là. Girai la testa verso il cielo. Ma quale cielo? Il soffitto: nodi di legno, e liane penzolanti. Ma dove cavolo mi trovo? Chiuso in un tronco d’albero gigante! Fu l’unica ipotesi che il mio cervello valutò.
«Skìnrir! …Skìnrir!» una voce accompagnata da lesti passi che si avvicinavano incrementò la confusione, «Oh Skìnrir, ma stai ancora dormendo?» domandò la voce alle mie spalle.
« Lo spero! » considerò il pensiero.
Era lì, dietro di me. Mi voltai. E lo spavento come una calamita, in un rapido scatto mi sollevò dal terreno trascinandomi verso la conca parete.
Con le spalle schiacciate a quei rami, il cuore a mille e gli occhi sbarrati, guardavo nei dettagli il fautore di quello spavento. Un animale mai visto prima. Grosso, più di me. La sua pelle cromata di viola. Occhi chiari, quasi azzurri. Due fori sulla faccia spigolosa fungevano da narici in mezzo a una corolla di filamenti rossi. Il petto scolpito. Dalla testa fino alla schiena una lunga cresta che pareva fatta di punte di lancia. Zampe palmate, come pinne di pesce.
«Skìnrir, ma che ti piglia?!», è con quel nome che mi si rivolgeva.
«Che razza di mostro sei tu?», strabuzzavo gli occhi convinto che fosse un’allucinazione.
«Ma che cazzo dici?!» la bizzarra creatura piegò la fronte in mille rughe interrogative, come più stupito di me «Ma se sei da sempre geloso che io, a tuo dire eh, sono più bello di te!» sottolineò pungente «E poi ti sei visto… ha parlato mister universo» sfottette.
«Jack?»
«Aeee. Ho capito, mi stai prendendo per il culo!»
«Ma sì, sei tu… sei Jack!», quelle battute ironiche rendevano chiaro più di una carta di identità che quello fosse Jack.
«Oh, ma la smetti. Sono Tyr!».
Presi coraggio e mi lasciai la parete alle spalle, muovendo qualche passo incontro a quell’essere. Allungai un braccio verso Jack. Era così strano, diverso… orrendo. Eppure sapevo che era lui. Il mio braccio teso davanti al suo petto. Mi si bloccò il respiro a quella visione. Non di Tyr, ma del mio braccio. Non era più il mio braccio.
«AAAAAAAH!» ero scioccato. «CHE CAZZO È QUA?» Iniziai a guardarmi dappertutto. Le mie mani… i miei piedi, zampe animalesche. La pancia, la testa… ero liscio come un neonato. Nessuno specchio nei dintorni per vedere la mia immagine riflessa. Allora mi passai le mani sulla faccia per ritrovarvi almeno il volto che conoscevo. Zigomi, mento, fronte, naso. Niente come lo ricordassi. Al mio viso non sapevo cosa gli fosse capitato. Gridai più forte di prima.
«Calmati! Non vorrai che ti prendano per pazzo?! …Se ti chiudono nel Glusco giuro che ti lascio marcire là dentro!»
«Che cazzo succede?! Che stregoneria è mai questa?! CHE CAZZO È QUA?!» continuavo a guardarmi mani e piedi, braccia, pancia come un delirante preda di chissà quale potente allucinogeno.
«BASTA ADESSO!» Jack dirompente mi tappò il muso con una sua zampa, «Io sono Tyr. E tu sei Skìnrir. Questo è lo Jouthermen, il mondo sotterraneo, la nostra patria!» spiegó «È qui che siamo nati, è qui che viviamo, ma forse grazie al nostro re non è qui che moriremo. Ora ti calmi?».
Con un cenno del capo lo rassicurai.
«Fra poco inizia il discorso di Fenrir. Vogliamo andare?» aggiunse liberandomi la bocca. «Anche perché, chi vi mancherà verrà punito».
Jack è sempre stato un amico di cui fidarsi e anche in quell’occasione surreale dargli fiducia fu inevitabile. Decisi di seguirlo.
Uscimmo dalla tana e entrammo in una sorta di galleria. Umida. Lurida. Fetente di muschio e di insopportabile puzza di merda tanto da farmi ribollire l'acido nello stomaco ogni mezzo metro. Gli stavo dietro passo per passo come un segugio che segue il padrone senza guinzaglio.
«Aspetta un attimo, mi sto trascinando qualcosa appresso» mi chinai per togliere un laccio o forse un rametto che credevo impigliato alla caviglia. La sorpresa fu diversa.
«Cazzo, c’ho la coda!». Era ben altro a penzolarmi dietro. «Oh, a coso, guarda c’ho la coda!»
«E dov’è la novità?»
Riprendemmo il cammino. Non riuscivo a credere ai miei occhi, continuavo ad affacciarmi in mezzo alle gambe.
«È proprio una coda, e che cazzo!».
Sempre Tyr avanti, e io che lo seguivo a meno di un metro.
«E perché tu non ce l’hai la coda?».
Non rispose.
«E perché tu tieni gli addominali, e io sto tutto curvo?».
Proseguiva senza degnarmi di minima attenzione.
«Pure la cresta d’argento hai, e io invece sto tutto spelacchiato… com’è sto fatto?».
«Insomma,» esclamò alla fine ridacchiando «te lo avevo già detto o sbaglio che sono più bello di te?!».
Sbuffavo e sbraitavo percorrendo il cammino intrapreso. Però almeno una cosa c’era che giocava come punto a mio favore. Solo dieci a destra, e dieci a sinistra. Me li ero contati. Belli, lunghi, dritti e pungenti, e con soddisfazione me li lisciavo in mezzo ai polpastrelli. Finalmente adesso avevo i baffi. Sì, sì… come quelli di un topo, hai ragione. Ma comunque baffi, no?!
«Devo andare al bagno», d’un tratto sentii la necessità fisiologica di una tazza di cesso, la tappa quotidiana di ogni mio risveglio che quel giorno credevo potesse saltare.
«Dov’è che devi andare?» Tyr mi fissava perplesso.
«Uff…» in una danza involontaria alquanto imbarazzante mi feci capire senza dover aggiungere altro.
«Ah, e falla lì», m’indicò la parete del tunnel.
«No quella, mi scappa l’altra», le mani strette alla pancia, il sudore scorreva a fiumi nella tensione di quel bisogno inappropriato.
E così, rannicchiato su uno degli innumerevoli pertugi scavati in un’ennesima cavità della galleria, liberai l’intestino dall’ingombro. Quella puzza di fogna schifosa… la luce così fievole che non potevi capire se i piedi fossero impregnati nel fango o appiccicati a qualcosa di peggio… Disgustoso. È meglio che non ci ripenso.
«Hai fatto?» domandò Tyr evitando di affacciarsi.
«Sì, sì. Come devo pulirmi?», non vedevo l’ora di uscire da quella camera a gas.
«Con quello che trovi!».
Mi guardai attorno:«Riesco a vedere solo pezzi di legno» ... «Tyr, qua ci stanno solo pezzi di legno».
Col culo dolente riprendemmo il cammino. Pochi metri e Tyr pronunciò la tanto attesa parola che risuonò nei miei timpani come un inno di vittoria:
«Eccoci!».

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UPSIDE DOWN Vol 2
FantasiApri gli occhi tutti i giorni e rivedi la stessa identica violenta realtà, nonostante i tuoi sforzi, nonostante ti affatichi, sudi, t'ammali, ti impegni per far sì che qualcosa cambi e poi ti accorgi che niente cambia, niente può cambiare perchè nie...