Una pietra illevigabile

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Bloccati nel limbo. Né inferno. Né paradiso. Avevamo strappato le inviolate alle grinfie degli inumani, ma come ridonare pace ai loro occhi, come condurle nuovamente su Violet?
«Riusciremo ad evitare il peggio, vedrai», Roberta provò a smussare il mio palese nervosismo.
«…Non c’è soluzione, ci ammazzerà di sicuro».
«Lui non è così crudele come lo state dipingendo. Non vuole accondiscendere ai vostri crucci e ad una lunga pergamena di negazioni» intervenne la mentitrice chiusa nel box, «Non vuole portare il peso di un fardello di cui non è ancora colpevole, è solo questo che lo spinge a lottare. E non desidera una Violet di soli uomini come credete voi, ma solo una terra che dia la possibilità di scegliere se sbagliare o meno. Io sono dalla sua parte», la squilibrata tentava di giustificare il meschino agire, «E non sono l’unica,» continuò, «c’è un esercito di donne pronto a combattere per le sue ragioni!».
«Siete solo delle povere invasate!» la zittì Roberta.
Io non presi in considerazione manco una parola di Hel. Chi lavora per l’oscuro tenta di fare del tuo cervello una palla di plastilina. Schiaccia, piega e opprime i fili d’incertezza intrecciati nella tua mente per farne una creazione a sua immagine e somiglianza. Resisti. Fai del tuo pensiero una pietra illevigabile per il male, e un pezzo d’argilla per il bene.
La sua considerazione non m’intaccò minimamente. Dovevo solo trovare il modo per portare le vere donne via da lì.
Lo stress si masticava le meningi. Parlavo e riflettevo. Pensavo e progettavo. Un pazzo in cerca di risposte. La bocca lasciava scappare le domande, ma le risposte non arrivavano comunque. Non potevo portarle su Violet perché Fenrir assieme al suo esercito le avrebbe raggiunte subito dopo. Fenrir sapeva bene la via per Violet. Già Fenrir… tutti gli altri no. Anche se le porte dello Jouthermen erano state oramai spalancate, dalla bocca dei malfatti fino alla superficie c’erano un bel po di chilometri da fare. E solo io e Fenrir conoscevamo la strada per l’Era Migliore. Se solo riuscissimo a fermare Fenrir, nessuno dei bapu potrebbe mai raggiungere le inviolate. Ma come fare?
«Potrebbe andare da lui qualcuno di cui si fida e provare a dissuaderlo dalle sue intenzioni» propose Elena.
«Sì, sì… dovrebbe avvenire solamente un miracolo perché accadesse questo. E poi di chi si fida Skìnrir?! né di voi, né di noi. Avrà i nostri nomi, il mio e uno per uno tutti quelli della coalizione segnati a caratteri cubitali su una bella lista nera da eliminare completamente. Hai suggerito una grossa stronzata!».
Ed invece poi la stronzata assunse una diversa prospettiva. Era proprio in mezzo a noi quel qualcuno di cui si fidava. La risposta d’avanti ai miei occhi: Hel.
«Sai che forse in parte hai ragione. Brava Elena!».
Un balzo repentino mi proiettò da Hel:
«Andrai tu da Fenrir!» esclamai convinto di quel mio colpo di genio, «Se c’è qualcuno di cui si fida, sei sicuramente tu. Andrai da lui. Gli dirai che hai scoperto il nostro nascondiglio. E poi lo porterai da noi. Sì, è questo che farai. Tornerai qui con Fenrir».
«Hai perso il senno?! Ma come, abbiamo dovuto fare un’impresa per riuscir a sfuggirgli e tu adesso glielo vuoi far portare dritto da noi?! Dillo chiaramente se sei impazzito». Roberta era sconvolta, ma io avevo le mie buone motivazioni.
«Ascoltatemi! Se andiamo noi da Fenrir saremo un gregge di pecore in una foresta di lupi. Senza speranza! Invece, se sarà lui a venire qui, da solo, in mezzo a noi, forse un modo c’è per ottenere quel che vogliamo».
Plaus e Milo avrebbero accompagnato Hel assicurandosi che la giovane facesse quanto ordinato. Hel doveva svegliare Fenrir dal sonno profondo e farlo uscire dal covo. Sefonte avrebbe mascherato l’assenza del sovrano vestendo i suoi panni e infilandosi nel suo letto. Tra noi de Lo Scudo oramai quasi tutti avevano acquistato la vista, mentre col passare dei giorni mi accorgevo che i seguaci di Fenrir diventavano sempre più ciechi, e questo giocava a nostro favore, non avrebbero potuto accorgersi della mancanza di Fenrir. Infine Blanco avrebbe sorvegliato a debita distanza Hel e Fenrir per tutto il tragitto, fino al nostro nascondiglio. Il piano era pronto. Tutto perfetto. A parte un’unica pecca. Una volta che Fenrir sarebbe arrivato lì in mezzo a noi, come avremmo placato la sua ira? Come avremmo contenuto la sua malvagia potenza? Solo Kiry Jones poteva colmare l’ultima falla.
Quel pomeriggio feci liberare Hel.
A Fernando e Cameso l’indispensabile compito di istruire la traditrice su come si sarebbe dovuta comportare con Fenrir, quali parole poteva usare e quali no. Non potevo rischiare che con un pronome inserito nel discorso magistralmente avesse svelato al sovrano tutto il piano. E per assicurarmi che il comportamento di Hel fosse lineare, feci rinchiudere al suo posto una buona parte delle finte donne che eravamo riusciti a scovare e le minacciai con una torcia infuocata.
«Se provi solamente a giocarci un tiro mancino le tue belle compagne faranno una brutta fine!» così intimorii Hel, insomma ci provai.
L’inizio dei giochi. Ad ognuno il proprio ruolo. Per portare a termine il mio di compito avevo bisogno di Kiry Jones.
«Io e te abbiamo altro da fare,» stavo lì lì per chiederlo a Roberta di accompagnarmi dai grants, per un istante il mio volto distorto s’incrociò con il suo così dolce e perfetto. Ma poi cambiai idea, «prima che scendano nel cuore dello Jouthermen e ne ritornino con il sovrano sarà già sopraggiunta l’alba. E sono solo poche ore… dobbiamo sbrigarci. Dai Olly, accompagnami».
Avere Roberta ancora di fianco, ritrovarmi ancora una volta con la mia aura sfumata nella sua avrebbe spedito in secondo piano quel che doveva stare al primo. Rischiavo di deviare lo scopo e dimenticare tutto il resto. Non potevo ora che c’eravamo quasi. Non potevo consentire a nessuno, neppure a Roberta di distogliermi dal fine ultimo: Arrestare l’ascesa di Fenrir prima di ogni altra cosa.

UPSIDE DOWN Vol 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora