Il tranello

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  Un canile di randagi affamati. Al nostro rientro nel covo nascosto nessun abbraccio di ben tornato. Gli scudieri e le inviolate ci attendevano trepidanti. Volevano la soluzione.
Non feci in tempo a mettervi piede che Tyr mi si fiondò d’avanti.
«Non resisterà molto e poi frantumerà tutto in migliaia di pezzi. Ma quanto ci avete messo?!»
L’imperatore della realtà rovesciata era già lì. Nella prigione trasparente che mostrava chiara e nitida la sua rabbia. Mentre Hel se ne stava immobile in un angolo, lui si dimenava e si sbatteva come quello che è. Scalciando e colpendo. Ringhiando e sbavando odio.
«Il tempo che ci è voluto»
«Almeno il risultato adempie l’aspettativa?»
«Cosa hanno costruito di speciale per noi i grants?»
Decisi di troncare il loro entusiasmo sul nascere. Non volevo rivedere in loro la mia stessa delusione.
«Non vi aspettate chissà che cosa, potrà apparirvi inconsueta come catena ma Kiry Jones mi ha assicurato che ha superato i più complicati test di resistenza», li preparai anticipatamente mentre scartavo il regalo.
Le loro facce basite fisse alla gleipnir erano esattamente ciò che mi aspettavo.
«Lo so… lo so. Non lasciamoci ingannare dall’apparenza. Prima di poter giudicare testiamone l’effetto. Ci assicureremo solo così se affermare o meno la sua utilità.»
«Tutto giusto quel che dici. Ma tu lo vedi bene con chi abbiamo a che fare?! Mettiamo il caso che volessimo provare pure sto laccetto se lo tiene, come glielo leghiamo? Non ci farà neppure avvicinare». La considerazione di Tyr era giusta. Un lupo affamato non dà tempo all’agnello di belare. Dettare legge a un dittatore è uguale a sparar benzina sul fuoco. Ti chiami la morte. Ma io sapevo come riuscirci.
«Ne deve essere consenziente. Ci renderà i suoi polsi spontaneamente». L’aberrante commediante è presuntuoso. Tutto sa e tutto può. Una sfida non è che l’ennesima prova che acclara la sua indiscussa supremazia.
Mi lanciai in un salto di fronte al possibile sfidante.
«Ehi!» «Ho da farti una proposta!», la moneta era lanciata.
«Fatti più vicino che la proposta la faccio io ai tuoi polmoni che scoppiano come palloncini in mezzo alle mie mani!» mi minacciò mentre i suoi gialli artigli aggrappati al vetro scorticavano cinque lunghi stridenti graffi.
«Eh… quanta aggressività! Ti lancio una semplice sfida. Per un essere grande e grosso quanto te sarà una sciocchezza. Ti incateneremo a questo delicato nastrino,» gli mostrai la Gleipnir tra le mie dita in tutta la sua morbida essenza, «se riuscirai a liberartene ti consegnerò Olly e tutte le donne di Violet. Scarcererò quelle pazze tue sostenitrici. Diventerai il re della superficie. E noi bapu de Lo Scudo resteremo qui in esilio. Non ostacoleremo mai più i tuoi piani. Hai la mia parola… pensaci!». Dovevo offrirgli quello a cui non avrebbe saputo rinunciare.
Arricciò il naso annusando schifato, più e più volte. Non riusciva a percepire ciò che credeva di poter percepire. Né odore di ferro, né di altre leghe. Credo che pensasse addirittura che in verità in mano non avessi nulla.
«Non mi pare al di là delle mie forze, che senso avrebbe per me farmi incatenare a qualcosa che poi polverizzerò in pochi istanti?» si poggiò lì a una parete, a braccia conserte. Chiuso nel box. Tranquillo. Accomodato nella sua consolidata certezza. Lui lo scacchiere e noi i pedoni. Forte del fatto che quando e come volesse lui era pronto a far le sue mosse, senza lasciarci via di scampo. La calma del tristo magnate si scontrò con la mia insicurezza generando un’unica improvvisa scossa d’energia. Un brivido che percorse in un attimo tutto il mio corpo. Dalle spalle schizzò alla nuca e poi dritto fino agli alluci delle zampe. Persino sulla punta della coda si drizzarono quei pochi peli che ho. Dovevo destabilizzare la sua sicurezza. Rendere più appetitosa la sfida e più lucrosa l’offerta.
«È più resistente di quanto appare. È fatta con elevata maestria. Se riuscirai a liberartene otterrai fama e gloria. Se non ci riuscirai non avremo più paura di te e ti lasceremo andare comunque».
Il mostruoso re arricciò il muso opacizzando il vetro con aloni d’aria incandescente che nascevano dalle sue narici spalancate. C’ero riuscito. La destabilizzazione era in corso. Iniziò un via vai stressato da un muro all’altro della gabbia. Avanti e indietro. Avanti e indietro. Una volta, due, tre, quattro. Nel suo via vai la giovane mentitrice non alzò mai una volta lo sguardo, scuoteva solo la testa continuando a fissarsi i piedi. E poi d’un tratto Fenrir si fiondò con la testa e due pugni chiusi nella parete trasparente, quella di fronte a noi, generando una crepa verticale che, come un lampo che scende sulla terra, divise la sua abominevole immagine.
«Non mi sono mai tirato indietro di fronte ad una sfida!» esclamò, poi sparò la controproposta:«Ma a garanzia che tutto ciò avvenga senza alcun inganno pretendo in cambio che uno di voi metta una sua mano in mezzo alle mie fauci». In fondo non aveva la certezza che fosse davvero una catena che io avessi tra le mani, e che nessuno di noi gli piombasse addosso con qualche arma speciale. Gli scudieri non colpiscono mai alle spalle. Ma il ladro si sente sempre derubato. E l'assassino si tiene in allerta pronto a sventare il subdolo attacco.
I bapu si guardarono l’un l’altro. Ognuno attendeva l’avanzo dell’altro. Tutti immobili. Spaventati. Non te lo nego, anch’io tentennai terribilmente. “Meglio morire che non poter più suonare!” pensavo tra me e me. Ma in fondo nulla avrebbe avuto più valore con o senza mani se Violet fosse andata in quelle di Fenrir. Presi un bel respiro eee. E invece si fece avanti Tyr. Il più coraggioso tra i coraggiosi. Il mio cuore sobbalzò dal petto in gola.

Liberammo Fenrir dal box.
«Sono tutto vostro!», a braccia spelancate spinse un ghigno chiuso in un lato.
Io guardai fisso Tyr, nei miei occhi vi lesse nitidamente i mille “Perchè?”, mi strizzò solo un occhiolino e senza indugiare, stese la mano destra tra i denti della belva.
La gleipnir sempre nel mio pugno. Ingoiai ogni paura e andai incontro all’impossibile. Un capo della catena senza anelli affidata a Plaus, tutto il resto del cordone stretto tra le mie dita.
Mai incatenato niente e nessuno in vita mia, la ruota della bike ad un palo della luce... quella sì, nient'altro che quella però. Non sapevo da che parte iniziare. Ma mi era chiaro che quella era l'ultima possibilità. E Fenrir andava fermato. Ci dovevo provare.
Serrai le sue due zampe l'una all'altra. Ogni dito appiccicato all'altro. L'indice su l'indice. Il medio sul medio. L'anulare sull'anulare. Il mignolo sul mignolo. Gli lasciai solo i due pollici sovrapposti a "x" come sigillo da me imposto. Mentre con la mano sinistra gli trattenevo quelle otto punta di dita fredde, ruvide, stritolandomele nel pugno tanto strette da sentirne le ossa rotolare sotto i polpastrelli; nel contempo con la mano destra che stringeva ancora il laccio fatato, iniziai col legargli i polsi. Una volta. Due. Girai tanto veloce che non tenni il conto di quanti giri feci. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Tanti da rallentargli la circolazione. Otto. Nove... Incominciai dalle mani a legarlo. Proprio dalle mani. Quasi come se involontariamente volessi fargli chiedere perdono per tutto il male che aveva causato e che voleva causare. Plaus sempre il primo capo di corda in mano, la matassa sempre nella mia. Lo sgroviglio continuò. Dai polsi portai la gleipnir in un lungo girotondo attorno al disumano. Giro. Giro. Giro ancora. Da braccio a braccio. Da gomito a gomito. Una danza tribale senza tamburi, senza fumo... scansavo Tyr con la sua mano stesa tra le perfide fauci, e continuavo imperterrito la riproduzione di ellissi. Storti. Complicati. Un bambino a cui la sua mamma dà il compito di addobbare l'abete col filo di luci natalizie. Il bambino ci prova. Ma l'albero è grande. Troppo. I bapu con gli alberi non hanno nulla a che fare, e nessuna luce illuminerà mai le tenebre che essi portano dentro. Da schiena, a petto. Da pancia, a spalle. Mi passavo la gleipnir attorno a Fenrir lanciandomela da parte a parte. Non guardai mai Fenrir in faccia. Lui è il giù che non devi mai fissare se non vuoi cadere.
L'ultimo cerchio attorno alla bestia e unii lo spezzone avanzato all'altro capo affidato a Plaus. Annodammo le due cime ad un picchetto trafitto nel cuore dello Jouthermen.
«E adesso tocca a te!», indietreggiammo lasciandogli spazio. Tutti tranne Tyr, purtroppo costretto a tener il suo arto tra i canini.
Fenrir cominciò a cimentarsi. Strattonava. Spingeva. Tentava di allargare il laccio contorcendosi... allungandosi. Stirava i muscoli della schiena, delle braccia. I nervi divennero infiniti dossi sulla sua pelle. Si sbatteva. Si piegava. Più si sforzava e più la gleipnir si stringeva. Una cosa è raccontartelo, un'altra è vederlo. Incredibile! Anche il sudore che gli scorreva funzionava inspiegabilmente da collante. Più si dimenava e scalciava, più la catena lo intrappolava. Si scrollò, si agitò. Inutilmente. Consumò tutte le energie. Il subdolo sradicatore umiliato dai pochi marginati. Il declino dell'infido fariseo. Ce l'avevamo fatta. Non riuscivo a crederci... ce l'avevamo fatta! Il sovrano della disfatta non aveva più nessuna possibilità. E quando anche lui l'ebbe capito attanagliò la mascella sul polso di Tyr strappandogli la mano via in un morso. Sputò il boccone offerto in sacrificio. E squarciò il silenzio dello Jouthermen in un grido di ira. La vena sul collo pareva stesse lì lì per scoppiargli. Fenrir urlava disperato. Noi ridevamo soddisfatti. Il re potente, ridotto all'impotenza. Piegato al suolo, inginocchiato e costretto nella preghiera che mai ascolterai.
Un sorriso fu l'accento sulla felicità di quel momento. Un riso sul volto di tutto Lo Scudo, eccetto che per Tyr il quale inevitabilmente in quel tranello vi lasciò la mano.

UPSIDE DOWN Vol 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora