La rivelazione

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Non erano passate manco ventiquattro ore da quando papà se ne era andato con la valigia tra le mani, ed io quel giorno non avevo proprio nessuna voglia di compiti, lezioni, ed esercizi alla lavagna, così col mio monospalla carico di incomprensione, invece che a scuola, me ne ero stato tutta la mattinata al porto. Seduto su uno scoglio. Il porto è sempre stato l’unico posto che riesce a rilassarmi i nervi, l’unico luogo dove ogni tormento diventa rassegnazione. Brezza di mare, pescatori che vanno e vengono. Per ogni nave che approda ce n’è un’altra che salpa. Là ti rassegni al fatto che tutta la vita è un mare aperto. Dobbiamo accogliere chi vuol arrivare, lasciar andare chi non ha voglia di restare, e rassegnarci al fatto che vi è anche chi vuol solo passare, ma la marea di questa nostra vita non si deve mai fermare.
Tornai a casa più sereno. La rassegnazione è un potente anestetico, forse il migliore.
Ritrovai stranamente mamma ed Olly giù in cortile. La pala poggiata alla staccionata, l’annaffiatoio riverso. Comprimevano con le mani il terriccio piegate attorno ad un tronco.
«Su, vieni ad aiutarci» Mamma s’alzò la visiera del berretto incrociando i miei occhi. Agglomerati fangosi le caddero dalle mani sul viso bianco e stanco.
Lasciai cadere lo zaino lungo il viale e le raggiunsi.
«E questo da dove sbuca?»
Strisciò via le gocce di terriccio dalla sua guancia e disse:
«Da ogni lacrima versata fa nascere un fiore, e se le lacrime son tante allora pianta un albero, no?!», in un dolce sorriso divenne più bella di quanto già non fosse.
«Hai ragione mamma, hai proprio ragione». L’aria secca bruciava le tonsille. Petali violacei cadevano a intermittenza. Qualcheduno mi scivolava dal capo sulle spalle e poi si sollevava nel libeccio. In quei petali rivedevo me stesso. Si dice che il frutto non cade più in là dall’albero da cui si stacca, ma se l’albero che ti ha generato è marcio allora staccati quando sei ancora un fiore, e vola. Vola a seminare il tuo futuro altrove. Quel giorno, assieme piantammo le radici del nostro domani.
Ed è lì, proprio all’ombra dello jacaranda che decisi di aspettare Olly. Sotto i suoi rami più forti e rigogliosi di quelli che rammentavo. Certo, non ero più il ragazzo riccioluto che ricordava, il ribelle dal viso d’angelo. Adesso ero un mostro, un’orribile creatura, una specie di talpa mutante, ma infondo non ero andato a farle visita in veste di fratello. Mi presentavo a lei solo come chance di salvezza. 
Non fu facile convincerla a seguirmi. Dovetti costringerla con la forza. Calci, pugni. Si dimenava come una pazza. Pure morsi mi conficcò nella carne quella squilibrata… Però come darle torto, era in me che vedeva il nemico. Ammaliata e stregata dal cantastorie. “L’amore bugiardo ti sorprende in un giorno di marzo, ti bagna la faccia con fresche gocce di pioggia, ma se alzi gli occhi al cielo…se solo guardi in su…ti accorgi che quella non è affatto pioggia. È solo acqua sporca che scorre giù da un cavalcavia. Fatti furba, prima degli occhi apri l’ombrello!”, è quello che dissi ad Olly quando i suoi incontri con Luca si fecero più frequenti. Ma non mi diede retta. Non mi degnò di minima attenzione.
E adesso è proprio un ombrello che io le stavo offrendo nuovamente.
Iniziò a prendere contatto con la realtà quando riuscii a mostrarle quel che volevo mostrarle. Nascosti in una galleria tetra ed arida, costrinsi Olly ad assistere ad uno dei tanti discorsi di Fenrir. Il re dell’ego rassicurava il popolo, asseriva quanto fosse stato facile illudere una donna decantando semplicemente quel che voleva sentirsi dire, e ribadiva soddisfatto come la giovane inviolata concedendo il perdono agli uomini, avrebbe riaperto le porte dello Jouthermen.
Non fu semplice mostrarle la verità. Sentivo le sue gambe vibrare. In piedi, sulle mie spalle. Olly tremava come una foglia. La sorreggevo forte, con tutto me stesso. Con le mani e con il cuore. Non è mai cosa bella aprire gli occhi a chi vuoi bene, ma meglio un unico sorso amaro di realtà, che pillole giornaliere di menzogne ingoiate a sorsi di ingenuità. 

«Perché hai voluto mostrarmi questo?», sconvolta tratteneva a stento le lacrime.
«Perché tu puoi cambiare le cose».
Sapevo dell’olimpiade del coraggio. Delle pantakleos assegnate alle partecipanti a seconda del coraggio dimostrato in gara. Ed ero lì quando vidi Olly cavalcare senza paura quel serpente gigantesco, vederla domare quell’enorme mamba nero mi rese così fiero... così orgoglioso di mia sorella. E lo fui ancor di più quando il coraggio di Olly fu premiato con uno splendido oleandro immortalato nella pietra di luna. Conoscevo le proprietà di quel magnifico fiore, e il suo veleno era la nostra possibilità. Glielo dissi chiaramente: 
«Devi ucciderlo!»
La soluzione perfetta. Un siero insapore dal gusto inconfondibile della fine. Niente lame, niente sangue. Né grida, né lotta. Cinque gocce di oleandro e poi l’inizio di una nuova vita.
Uccidere Fenrir era l’unica cosa da fare. Olly era accecata dal falso amore e prima o poi perdonando il vile avrebbe condannato tutta Violet, e noi a seguito.

UPSIDE DOWN Vol 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora