Lei

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Per le vie di Veltrani, a casa, alle feste degli amici. Tante volte incrociati, scontrati, ma davvero non c’eravamo mai incontrati. “Forse un giorno i nostri occhi diverranno uno lo specchio dell’altro”, me lo auguravo, ci speravo.  E adesso finalmente soli. Io e Roberta. Non oggi. Non adesso che sono quel che sono. Io e lei nella mia stanza interrata.

«Bello qui. Un po' umido, ma accogliente», ferma dinanzi alla porta chiusa alle spalle, si guardava attorno incuriosita.
«Già»
«Allora… tu che ne pensi, il piano di Olly funzionerà?»
«Certo»
«E se uno dei bapu si accorge di qualcosa come faremo?»
«Non succederà»
«Ne sei sicuro?»
«Sì»
«Come fai ad essere così tranquillo?»
«Basta un po' di calma»
«La tua stanza è diversa dal resto dello Jouthermen, l’hai arredato tu?»
«Sì»
«Carini questi fiori», annusò gli origami nel vaso per terra.
«Non hanno il profumo dei fiori. Sono di carta»
«Ah, e perché di carta?»
«Ho provato ad averne di freschi, ma qui giù si seccano. Mi sono rimaste le foglie»
«E questo cos’è?», foglio e penna sulla scrivania, tra cartacce e pensieri scomposti.
«Nulla»
«Come nulla…»
Due righe, uno sfogo forgiato in quelle poche parole, nere su bianco tra le sue mani:

“  Le pagine indelebili dell’   anima mia    saranno come specchi che si rifletteranno negli abissi inesplorati del tuo cuore” 
«Non è niente di speciale»
«L’hai scritta tu?»
«È un pezzo a cui sto lavorando»
«Ah ma allora canti?»
«Più che altro suono»
«E cosa? Mmm… chitarra! Piano! Anzi no, sembri più tipo da flauto!».
Adesso senza scherzare, a te sembro tipo da piffero?
«Dai, suonami qualcosa»
«Non è il momento»
«La faccia ti fa ancora male?»
«No, sto bene»
«Oh e basta!!!» sbottò d’un tratto, «Ti fermi un attimo?!»
Ma io proseguii nel fare quel che stavo facendo.
«Stai con questa scopa in mano da un quarto d’ora» continuò, «Guardati. E poi che diamine spazzi!!! … Spolveri polvere! Ridicolo! Tutto pur di non guardarmi. Che c’è, forse non sono alla tua altezza?»
«No, ma cosa dici!», i palmi sudati stretti al manico della scopa «Sono io a non essere alla tua altezza», ripresi a spazzare, «non sono degno dei tuoi occhi. Non voglio che mi guardi».
Istanti di silenzio che gridavano mille paure.
«E cos’è che non vuoi che io veda?», ruppe il silenzio.
«Tutto l'insieme. Sono orribile!»
«Cosa è orribile?», un suo passo e il mio respiro accelerò,
«La gentilezza di ogni tuo gesto?», un secondo passo e il coraggio tremò,
«La passione con cui ti prodighi ad aiutare gli altri?», un terzo passo e il battito sussultò,
«Il buono che brilla nei tuoi occhi?», d’avanti a me e il cuore si fermò.
Mi strappò il manico di scopa dalla presa, lasciando in pegno le sue mani.
Intrapresi una gara con me stesso per evitarle la visione di questa mia faccia.
Persi.
I nostri occhi divennero uno lo specchio dell’altro.
«Dimmi, è questo che non vuoi che io veda? Perché io ho già visto tutto».

Mi baciò. E tutto sparì. Restammo noi. Solo noi e niente più. La sua candida pelle, tela bianca per ogni mio desiderio. I suoi lunghi capelli corvino, nastri di notte danzanti nei sogni. L’azzurro di quegli occhi, lastre di ghiaccio per non scioglierti nel calor della sua carne. Feci l’amore per la prima volta. Non sono un novellino. Parlo di amore, non di sesso. La sconosciuta del quarto d’ora chiuso in un bagno della disco ti dà quel non so che d’affascinante, il brivido del momento, e poi che resta? Un freddo rammento di ricordo senza nome. L’amore è diverso. È altro. È lei che me l’ha presentato. Esistono varie forme d’amore, ma quello che unisce due innamorati è particolare. Quel tipo d’amore non si dà. Non si riceve. Si combina. È la reazione innescata da elementi che fusi assieme generano una nuova forma d’emozione. Non è il corpo che le offrii. Tutto me stesso senza riserve. La mia anima in pasto alla sua. Né bapu, né inviolata. Persi d’amore nell’amore. Stretti in un abbraccio senza fine. Padroni del domani. Di noi due.

Lei,
la mia perla, il mio diamante
la mia droga, il mio spumante
squarcio di passione
su pelle di tensione
Carezza immacolata
su carne dissacrata

Ode a te angelo mio
tu che fosti la mia sposa
senza il tuo e senza il mio Dio
Tu che resti la mia musa
sull’addietro pensier sorvolo i cieli dell’addio
Ode a te mio frammento di cuor
purezza celeste e candido ardor
Tu che t’addormentasti nei misfatti
ti dono chiara luce in questi nuovi tratti

Lei,
la mia pace nel tormento
Unica erede della mia anima testamento
In tutti i miei giorni e mai in nessuno
Lei è là dove tutto è uno.

Il segnale. Il fischio. Era fatta. Tutti i seguaci di Fenrir erano stati avvelenati. Ritornammo nei nostri corpi. Non eravamo più “noi”. Solo io. Solo lei. Solo Skìnrir e Roberta. Sciogliemmo le mani intrecciate forti di ciò che è. Il nostro è un legame che aleggia nel vento. Non lo vedi ma lo respiri continuamente.
Raggiungemmo la colonna di inviolate che s’affollava di minuto in minuto.

UPSIDE DOWN Vol 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora