La nave esistenziale

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Il perenne esilio nelle catacombe terrestri mi aveva reso una bestia notturna. Ad un certo punto ti abitui al buio, ti adatti alla condizione e incominci a muovertici dentro con disinvoltura. E così il buio diventa la tua casa. Ne fai la tua dimora. L’unico posto dove sai che passi fare. Ma prova per pochi istanti a uscire sotto i raggi bianchi di un sole cocente, e poi, poi rientra nelle oscure tenebre. Dimmi adesso se vedi oppure no. È mentre le palpebre ti sbattono ancora abbagliate dal sole che le aveva illuminate che comprenderai che fino ad allora credevi solo di vedere. È la luce il grembo dove l’esistenza è vita. Violet la pasqua dei sensi, il ritorno nello Jouthermen una ciclica disgrazia, il continuo suicidio dello spirito mio. Quello era stato solo il primo di tanti viaggi. Ritornavo spesso su Violet. Là dove il pallore della luna non riusciva ad arrivare, mi ci nascondevo io. Divenni il corridore di un affliggente via vai da ciò che eravamo e ciò che saremmo potuti essere. Ci tornavo per me stesso, per poter gioire della gioia che vi si respirava. Per sbirciare nella vita di Olly, di mamma, delle donne. E anche per recuperare qualcosa, diciamo che almeno in minima parte dovevo rendere pur vivibile l’entroterra di cui ero abitante. Da ogni mia gita su Violet mi portavo nello Jouthermen qualcosa di utile: una volta grano, un’altra uova, coperte, stoviglie, asciugamani… e naturalmente tanti, tantissimi rotoloni di scottex. Di cose ne servivano a bizzeffe laggiù. Ogni aggeggio o alimento che ritenevo importante per semplificare almeno un po' la miseranda sopravvivenza sotterranea diveniva un irrinunciabile souvenir. Con ciascun oggetto mi fermavo prima dai Grants in modo che ne studiassero forma e consistenza impegnandosi a riprodurne altri esemplari, mentre dalle materie prime imparavano a svilupparne prodotti finiti. 
Poi lasciavo i miei reperti in giro per il lugubre regno affinché fossero sempre rinvenuti un po per caso. Nessuno dei bapu si interrogava sulla provenienza, erano molto più incuriositi all’utilità.
Le tetre giornate si susseguivano tranquille, fin quando non incominciai a ritrovare nello Jouthermen anche cose che non ricordavo se avessi portato io oppure no: bottiglie d’alcol, orologi… “ Può darsi che ho afferrato un paio di bottiglie di scotch credendo che esse attenuino la sopportazione di questa prigionia”. “Può darsi che ho riempito una scatola con orologi perché mi rammentassero il tempo che scorre funesto” .  Nuovi dubbi ogni giorno si ratificavano in un panorama che vedevo mutare gradualmente. Qualcuno mi aveva seguito, aveva scoperto il passaggio per Violet, e stava trasformando lo Jouthermen nella Terra malsana che avevo lasciato. Un falso d’autore di cui non riuscivo a leggere la firma.  Chi di loro è il traditore?
Poi, un mattino i dubbi si disciolsero in acido stupore. Al mio risveglio assieme a maiali, capre e cinghiali incatenati, assieme a tavoli imbanditi con giochi d’azzardo, file di carriole straripanti di polvere da sparo, rinvenii in piazza anche qualcosa che fino ad allora ero riuscito a scansare. Un grande specchio. In me nessuna voglia di guardarmi. L’immodestia distoglie l’uomo dall’essere umano, e quello strumento riflettente era l’autografo del vile infame. Del più   vanitoso tra i bapu:Fenrir. Era stato lui. Non avevo dubbi. Mi aveva seguito quel bastardo. Proprio io che avevo giurato di proteggere le inviolate avevo spianato inconsapevolmente la via al male. Avevo condotto il re dei carnefici nell’Era Migliore.  
Fenrir spavaldo dietro allo specchio, ne impugnava stretta la cornice dorata mentre centinaia di bapu vi si affollavano curiosi dinanzi. Se stesso è ľunica cosa che un bapu vede.   Solo un bapu è un mostro e ne va fiero. È vero, il mio aspetto tanto orripilante quanto ciascuno degli abitanti malfatti, ma dentro, in cuor mio io non potevo essere come loro. O lo ero e non me ne rendevo conto.   Il mostruoso sovrano arricciò il muso imperiale nell’odore dei miei tormenti. Aveva capito che io avevo capito. Incastrò i canini in un ghigno lungo e mortuario. Il preannunzio di una guerra inalienabile.   I miei pensieri si mescolarono tra panico e turbamento: “ No, io non somiglio a Fenrir, io non sono un aberrante disumano. Né uomo, né bapu. Ma allora cos’è che sono io? Io sono il capitano della mia nave esistenziale… di un veliero la cui ancora è incastrata nei fondali dell’indecisione. Fermo in balia del purgatorio dell’anima… Ma le onde minacciose non sono altro che scelte. Non devo temere. Abbi coraggio! Afferra il timone e scegli su quali acque navigare. È questo il momento, non posso rimandare…”.  Espirai in un lungo sbuffo tutta la tensione.   E presi la mia decisione. Mentre il suo ghigno infernale ancora riecheggiava, intrapresi la rotta. Accolsi la sfida. Non potevo tirarmi indietro. E non l’avrei fatto.  
Da solo, però, la mia sorte era già sentenziata. Una fine scontata. La gracile talpa umana non aveva nessuna possibilità contro la feroce belva. Mi occorreva aiuto. Dovevo trovare dei validi marinai da far salire a bordo.  

UPSIDE DOWN Vol 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora