CAPITOLO 36

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A un cuore in pezzi, Nessuno s'avvicini. Senza l'Alto privilegio, di avere sofferto altrettanto.
(Emily Dickinson)

La Diamond Platinum, l'ammiraglia della flotta, appare come un gigante ferito adagiato su un fianco, di fronte all' isola delle Viole.

E' notte fonda, illuminata dai fari puntati dai mezzi di soccorso, allineati lungo la costa, la nave cede inesorabile al suo destino.

Le più sofisticate tecnologie delle strumentazioni di bordo di ultima generazione, in un attimo, sono state messe a tacere dalla stupidità umana, impotenti di fronte ad un piano tanto idiota, quanto pericoloso.

Il Comandante Ranieri, avvolto in una calda coperta, con una tazza di tè in mano, giace seduto in silenzio lungo la riva dell'isola, con lo sguardo fisso alla sua nave.

Gli occhi lucidi, il viso segnato dal dolore, non tanto quello fisico, ma quello di chi perde un proprio caro, qualcuno di famiglia.

Quella creatura meravigliosa era stata assegnata a lui, ben 3 anni orsono, alle sue cure, ed ora giace spiaggiata, ferita ed abbandonata da tutti. Anche da lui. Non avrebbe voluto lasciarla, ma al terzo ordine del Capitano di fregata della Capitaneria di Porto di Livorno, ha dovuto eseguire, con il cuore in mano.

A nulla sono valsi i tentativi dell'equipaggio di confortarlo: anche se in quel momento non era lui ai comandi, ufficialmente era in malattia, si sentiva ugualmente responsabile.

Gli sembrava di avere un pugnale impiantato nel petto: ad ogni lamento sordo della nave, una fitta più forte di dolore.

E poi una volta a terra, ha scoperto che all'appello mancavano ancora 7 uomini, tutti membri dell'equipaggio, dispersi. Almeno quattro di loro non lo preoccupavano affatto, il Capitano De Angelis, il sottotenente Locorotondo ed i due marinai timonieri: li aveva visti scappare tutti assieme miseramente con una lancia, incuranti della sorte dei passeggeri. Ma dei tre ragazzi del ristorante del 5° ponte, giovani camerieri filippini, non si avevano più notizie.

«Comandante Ranieri le ordino di seguirmi in Chiesa, abbiamo allestito un'area di primo soccorso, lei non sta affatto bene, non mi serve visitarla per capire che ha ancora la febbre molto alta».

«Ti ringrazio per la premura, sei un amico, ma siamo a terra, non sei più il mio medico di bordo, non badare a me, aiuta chi ne ha più bisogno, io sto bene».

«Alessandro, non sta bene, ha i brividi e le convulsioni. Deve stare al caldo, guardare la nave è straziante. Ha coordinato i soccorsi, aiutato i passeggeri ed ha abbandonato per ultimo la nave: non c'è nient'altro che può fare, adesso è arrivato il momento di prendersi cura di sé stesso».

«Ivan ci sono tre ragazzi del ristorante che non si trovano, potrebbero essere ancora li dentro, capisci? Il Comandante della Capitaneria mi ha ordinato di abbandonare la nave, ma io non sapevo della loro assenza. Dovrei tornare a bordo, forse sono rimasti intrappolati in cucina, sotto a mobili e stoviglie».

«Lei non andrà da nessuna parte, è fuori discussione. Stanno riguardando le liste di quanti sono giunti a terra, andrò a chiedere se ci sono novità, ma al mio ritorno lei verrà via con me. Dieci minuti, Comandante, veda di farseli bastare. Può pregare, piangere o darle semplicemente l'ultimo saluto: era la sua nave e so quanto ne fosse legato, ma la responsabilità di tutto questo non è sua. Dieci minuti e sarò di nuovo da lei. Guardi che la controllo, non prenda iniziative insensate».

Atterriamo con l'elicottero in quello che dev'essere il giardino delle scuole. Ci togliamo le imbragature, ringraziamo e ci avviamo verso la riva, in cerca di Federico e Benedetta.

Riconosciamo il Comandante Ranieri, sta piangendo.

«Comandante, non dovrebbe essere qui, possibile che nessuno si prenda cura di lei?»

Furto di Cuori in Alto MareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora