Il ragazzo dagli occhi verdi è a pochi passi da me. È seduto ad un tavolo all'aperto del bar dove di tanto in tanto mi portava mio padre quando ero piccola. Faccio un bel respiro e lo raggiungo.
<Ciao> lo saluto timida.
<Ehy> contraccambia sollevando lo sguardo, il tono della sua voce è calmo.
Intanto che mi metto comoda, le mie paranoie prendono il sopravvento.
Il fatto che abbia accettato la mia richiesta di parlare è un buon segno, no? E allora perché mi sento come se non fosse così? Ho il sospetto che stia tramando qualcosa, è fin troppo tranquillo, sembra stia rivedendo un'amica come tante altre. Ma questo non è il mio caso, a meno che Mark non abbia avuto una cotta non corrisposta per qualsiasi sua amica. In aggiunta, stavamo per baciarci, solo che io ho fatto dietrofront e sono scappata via.
<Da bambina venivo qui con mio padre> rompo il ghiaccio.
Per la mia pazienza quindici secondi di silenzio sono troppi da sopportare.
Mark non la smette di fissarmi. Che abbia un capello fuori posto? Oppure un ragno gigante sta camminando sulla mia faccia e non me ne sto rendendo conto?
<Le mattine in cui mi svegliavo e lo trovavo in cucina, seduto con le gambe accavallate e il suo immancabile giornale tra le mani, erano le più belle, perché erano le più rare. Era difficile che non fosse già a lavoro, di tanto in tanto gli veniva concesso di andare in ufficio un paio d'ore più tardi rispetto all'orario prestabilito, poiché il giorno prima si era portato avanti con il lavoro e fortunatamente non c'erano nuove scartoffie che richiedessero il suo intervento immediato> racconto con una punta di nostalgia.
Il cameriere arriva giusto in tempo approfittando della mia pausa. Io ordino uno spritz analcolico, Mark invece una cedrata.
<Dicevi?> mi invita a riprendere da dove mi sono fermata.
<Nonostante mia madre avesse preparato una ricca colazione, ogni mattina che papà mi proponeva di andare al bar io accettavo. Non passavamo molto tempo insieme, quindi quando se ne presentava l'occasione la coglievo al volo. Mi portava qui e prendevamo un muffin con la cioccolata e uno ai mirtilli e li dividevamo a metà, così da assaggiarli entrambi. Da bere due bei bicchieri di milkshake, rigorosamente accompagnati da cannucce monocromo di cui mi lamentavo sempre> dico sorridendo al ricordo delle mie scenate.
<Cosa ti avevano fatto di male?> ride Mark.
<Niente, però le trovavo brutte. Da piccola adoravo gli accostamenti tra colori, una volta tra un borsello rosa e uno blu, viola e arancione ho scelto quest'ultimo perché era il più colorato. Lo vedevo come qualcosa di interessante, la varietà delle colorazioni catturò la mia attenzione e mi portò a sceglierlo. L'altro ai miei occhi appariva noioso. Lo stesso discorso valeva per ogni altro oggetto, come appunto le cannucce. Domandavo a mio padre come mai non ne producessero di più colori e lo costringevo a sentire le mie motivazioni, convinta che lui avrebbe potuto rimediare. Vedevo i miei come supereroi per cui nulla era impossibile, ma la mia era solo la stupida convinzione di una bambina>
Nel pronunciare l'ultima frase, una lacrima intrisa d'amarezza porta un tocco di freschezza sulla mia guancia.
<Betty> pronuncia Mark attivando il suo istinto di protezione.
Ma io non merito che lui mi protegga, non dopo ciò che gli ho fatto.
<C'è un bel sole oggi, non trovi?> domando pentendomi di non aver iniziato così la conversazione.
Il ragazzo dagli occhi verdi non molla, il suo sguardo resta fermo su di me.
<Il passato è passato> dico agitando una mano davanti al volto per cambiare discorso.
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Io odio l'amore
ChickLit"Ciao, mi chiamo Elizabeth Lewis. Sono una ragazza allegra, solare, determinata e soprattutto... timida" Queste sono le parole utilizzate da Elizabeth per descriversi. Lei è una ragazza americana come tante altre. Studia, legge molti libri d'amore...