Capitolo 1.

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"Non ci credo! Ragazze datemi un pizzico, credo di sognare."

Mi guardai intorno, girando su me stessa. Grattacieli, enormi schermi, luci, colori, lampioni...perfino i cestini della spazzatura. Sembrava tutto così bello da togliere il fiato. Si sentiva un profumo -che ad altri poteva sembrare semplicemente smog- di città, di vita, di opportunità.
Dio se ero felice. Sentivo che il cuore sarebbe potuto esplodermi nel petto da un momento all'altro.

"È magica!"  aggiunse Anne.
"Non avrei saputo dirlo meglio." continuò Michelle.

Sarebbe stato saggio prendere un taxi, invece no! Eravamo così eccitate da decidere di andare a piedi fino al nostro appartamento.
"Che saranno mai 48 minuti raga, praticamente una passeggiata."
La stupida idea di Anne sembrava addirittura fattibile, quindi senza discuterne troppo, decidemmo di fidarci di Google maps.
Mai scelta fù più errata. Perdemmo quasi due ore, accumulando diverse figure di merda nel tragitto.
Prima, Anne imbambolata a fissare un tizio in attesa del semaforo verde. Non si muoveva, letteralmente. E lo fissava stile raggi x. La stavamo perdendo perché decisa a seguirlo.
Poi Michelle. Oh, la nostra cara, dolce Michelle con la sua dolcezza infinita aveva buttato un bestemmione mentre inciampava proprio nel momento perfetto. Un perfetto allineamento astrale aveva fatto sì che nel momento esatto in cui le parole lasciavano la sua bocca, un gruppetto di suore stesse passando proprio di lì, proprio in quel preciso istante e che tutte e tre si girassero sconvolte a guardarla per poi scuotere la testa e scappare manco avessero visto la figlia di Satana in persona.
E io beh, io non sono stata da meno ovviamente. Mentre camminavo avanti  spedita intimando alle ragazze di velocizzare il passo, feci l'errore di voltarmi poi accadde tutto in una frazione di secondo. Andai a sbattere contro un Dio. Giuro. Un Dio greco sceso sulla terra con l'unico intento di farmi sentire una merda. Il problema fu sbattergli addosso? Certamente no, il poverino si spiaccicò addosso il bicchiere di caffè (o qualsiasi altro intruglio fosse) direttamente sulla sua bellissima e perfettamente stirata camicia bianca. Fu una scenetta tutto sommato divertente. Io che cercavo di pulirlo beandomi nel toccare quel torace super scolpito, come se con le mani potessi smacchiarla.
Mi scusai cento volte in due minuti e altrettante volte lui mi rassicurò. Se non fossi stata certa di non vederlo probabilmente mai più, gli avrei lasciato il mio numero, era davvero davvero davvero davvero figo. Pelle ambrata, occhi castani profondi, capelli neri leggermente ondulati, barbetta ben curata e delle labbra pazzesche, carnose, sensuali e talmente rosa da farmi dubitare che potesse indossare il rossetto.
...
Nonostante le svariate peripezie, dopo 1h e 47m, riuscimmo ad arrivare finalmente a destinazione.
La zia Sally (la cugina di mia madre che però chiamavo volentieri zia) ci aveva procurato un trilocale in un quartiere leggermente fuori Manhattan, ben collegato con i mezzi di trasporto. Il punto era perfetto, distanziava (valutando il percorso a piedi) circa 30 minuti dalla panetteria dove avrebbe lavorato Anne, 35 minuti dal Market dove avrebbe lavorato Michelle e sempre intorno ai 30 minuti dal ristorante dove avrei lavorato io, però in una direzione diversa. Praticamente per farla breve, se avessi voluto incontrare le mie ragazze in una pausa, avrei impiegato meno a tornare a casa piuttosto che andare dritta da una di loro. In linea verticale, tra il ristorante e il market c'erano 15 minuti in più.
....

Salimmo nell'ascensore, trascinandoci dietro le pesanti valigie. Il palazzo sembrava piuttosto nuovo e l'esterno era davvero carino e ben curato. Anche l'atrio interno non sembrava affatto male. Credevo avremmo trovato perdite, mura senza intonaco e topi che facevano le capriole. Non so perché ma avevo sempre immaginato che senza una grande possibilità economica, fosse tutto cio che si potesse sperare di ottenere.

"Anne, ricordami di avvelenarti il cibo. Devi pagarla per aver proposto questa atroce sofferenza. Mi sembra di camminare da giorni."
"Voi avete accettato quindi inutile prendersela adesso." disse facendo una linguaccia.
Quando finalmente ci trovammo di fronte alla porta, rimanemmo in silenzio a contemplare il momento. Stavamo per aprire la porta di quella che sarebbe diventata la nostra casa per i mesi, forse gli anni a venire.
Ci guardammo tutte e tre negli occhi con emozione poi inserii la chiave nella serratura e aprii finalmente la porta.
...
SHOCK.
Se qualcuno avesse registrato le nostre facce in quel momento, sarebbero diventate virali. In contemporanea spalancammo le bocche e gli occhi.
Non potevamo crederci. Doveva trattarsi di un errore. Doveva esserlo per forza.
ERA STUPENDO.

"Vedete quello che vedo io?" entrambe annuirono ancora fissando a bocca aperta.

L'ingresso si apriva su un salotto con una vista spettacolare. Arredato con gusto ma senza sfarzo eccessivo, mobili di qualità e un tappeto che sembrava morbidissimo. Appena entrate, subito sulla destra c'era un grande armadio a muro con scarpiera inclusa, bianco laccato che richiamava i mobili del salotto. I muri dipinti di un tenue beige panna, un divano comodissimo e un sacco di quadri in giro. C'era anche la TV!

"Ragazze io non vorrei interrompere questa specie di sogno ad occhi aperti ma deve esserci un errore

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"Ragazze io non vorrei interrompere questa specie di sogno ad occhi aperti ma deve esserci un errore. Non può essere questa la nostra casa è impossibile. Cioè guardate quanto spazio ed è solo il salotto, non oso immaginare il resto. Un posto del genere costerà un rene. Prima che facciamo danni, devo chiamare la zia Sally."

Entrammo quel poco giusto per non rimanere fuori. Lasciammo le valigie vicino alla porta e quasi con timore ci sedemmo sul divano morbido, poi con un sospiro presi il telefono. Dovevo chiamare zia Sally, assolutamente.

Dreaming In New York CityDove le storie prendono vita. Scoprilo ora