4. Nel nome del sangue

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Capitolo 4:
- dove Hotchner viene sospeso
- dove Gideon lascia la BAU
- dove Tori ed Emily si ribellano
>> ep. 02x23, 03x01, 03x02

Quando vidi Hotchner entrare a mento alto nell'ufficio della Strauss, e rimanervi a lungo, seppi che c'era qualcosa che non andava

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Quando vidi Hotchner entrare a mento alto nell'ufficio della Strauss, e rimanervi a lungo, seppi che c'era qualcosa che non andava. In genere non faceva che entrare, ricevere eventuali rimproveri e uscire, scrollandoseli di dosso come un velo di polvere. Stavolta, però, non fu così. Stavolta non uscì almeno per un'ora; io, Emily e Derek, appostati dall'altra parte del corridoio per osservare quanto più possibile dai vetri, sapevamo che stava raccontando di quanto accaduto con Frank, il killer che popolava gli incubi di Gideon, e che aveva ucciso la sua amica.

«Tutto questo è così ingiusto,» borbottai io, che non riuscivo a impedire al mio piede di battere ritmicamente e nervosamente per terra. «Sta prendendo la colpa per tutti.»

«È quello che fa un capo come si deve,» osservò cupo Derek, le braccia incrociate al petto. «E lui è il migliore che potessimo avere.»

Emily storse il naso. «Resta comunque un'assurdità. Che sia un capro espiatorio? Forse tutto quello che è avvenuto con Frank e Gideon sta venendo strumentalizzato.»

«Io vorrei solo che uscisse da lì, e dicesse che va tutto bene, e che possiamo tornare a lavoro,» conclusi. Guardavo Hotchner dal vetro nella speranza che la sua postura desse a vedere qualcosa, o di leggere qualche parola dalle sue labbra, però non stavo avendo fortuna. Del resto, sotto stress era la persona più impassibile del mondo, almeno finché non si arrabbiava sul serio.

Quando lo fece ci sfilò davanti senza dire una parola, alto e adombrato nel suo completo blu scuro, fino a uscire dalla stanza e dirigersi direttamente verso gli ascensori. Noi tre rimanemmo a guardarlo, perplessi, finché la Strauss non uscì anch'essa dal proprio ufficio e disse: «Prentiss, Riva? Entrate.»

«Ma che sta succedendo?» bisbigliai a Emily, mentre Derek, frastornato e adesso anche sospettoso, era costretto a tornare alla propria scrivania.

«Niente di buono,» rispose la mia amica con fare funereo.

Lo studio di Erin Strauss era eccessivamente ordinato, quasi maniacale. Tutto era curato nel dettaglio, dalla disposizione delle foto dei figli a quella dei libri di psicologia su un tavolino fino al bonsai sulla sua scrivania. Anche lei era lo stesso tipo di persona: efficiente, pulita, mai un capello fuori posto. Aveva i capelli biondi, a caschetto, perfettamente tinti, gli occhi azzurri. Portava la fede, le unghie erano abbastanza lunghe ma molto curate, e una perla nell'incavo della gola.

«Sedetevi, agenti,» disse, indicandoci due sedie poste davanti alla sua scrivania. Lei preferì appoggiarsi a quest'ultima, in modo da non avere alcuna barriera con noi. Ci guardò, cordiale eppure fredda, forse fin troppo professionale considerato il rapporto con Emily e sua madre.

«Io vi ho fatte entrare alla BAU,» iniziò, e immediatamente seppi che ovunque volesse andare a parare, per me ed Em sarebbe stata una disgrazia. «Sapevo quanto lo voleste—lo sapevano tutti: sopratutto tu, Emily, non sei stata timida a riguardo, fin dall'inizio. E anche tu, Vittoria, alla fine ti sei convinta. Tuttavia c'erano persone che credevano che assegnarvi alla BAU non fosse una buona idea. Pensavano che foste avventate, considerando carattere e curricula; senza contare che le dimissioni di Elle Greenaway lasciavano spazio a un solo posto da ricoprire, non certo due. Io ho creduto in voi... ed è ora di ripagare tale fiducia.»

505 || aaron hotchnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora