27. Dieci secondi

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Capitolo 27:
- dove Tori perde le staffe
- dove è arrivato il momento di un confronto
- dove Hotch realizza una cosa
>> ep. 05x10

«Va bene, dottoressa Riva

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«Va bene, dottoressa Riva. Dica il proprio nome.»

«Mi chiamo Vittoria Riva. E comunque è agente,» corressi in un filo di voce, le sopracciglia corrugate. «Non dottoressa.»

Il medico fu scettico di fronte alla mia fiacca protesta. «Qui leggo che ha una laurea in antropologia forense e ha fatto parte per anni dell'unità di Psicologia Forense dell'FBI,» commentò, sottintendendo che quindi aveva ragione lui, e che quindi io ero dottoressa e non agente.

«È vero, ma sono un'agente speciale della BAU. Ho sempre preferito l'appellativo di agente ed è ancora così,» insistetti, più testarda e polemica di quanto sarei stata normalmente.

Lui inarcò le sopracciglia in risposta, ma non obiettò ulteriormente, preferendo spostare altrove la conversazione. «Bene, agente. Dalle sue analisi vedo che dal punto di vista clinico le sue lesioni si sono rimarginate. Riporta fastidi di alcun tipo?»

«No,» risposi, cupa.

«Si sente affaticata quando parla?»

«No.»

«Ha sforzato prima del previsto il suo apparato laringo-tracheale?»

Fui sul punto di negare una terza volta, quando mi bloccai. D'istinto mi cinsi le braccia con le mani in un abbraccio solitario, e voltai lo sguardo altrove, oltre la finestra. «Sì. Una settimana fa.»

Sembrò sorpreso dalla mia affermazione—forse non si era aspettato tanta sincerità da parte mia, visto che quell'esame era più formale che sostanziale. Mi scrutò, più interessato e scrupoloso di quanto fosse stato fino a quel momento. «E vuole dirmi il motivo?» chiese lentamente, con il tono attento di chi è vicino a un cucciolo di orso e teme che la madre sia nei paraggi.

Arretrai con la schiena fino a toccare la sedia. «Il mio ragazzo ha pensato di lasciare il lavoro.»

Lui fu colpito, e parve incerto su come proseguire. Fu allora che capii che il colloquio era finito lì, e che a breve mi avrebbe rilasciato il certificato richiesto dall'FBI. Quella sarebbe stata la mia ultima volta in quell'ospedale per molto tempo, o almeno così speravo; i miei incontri settimanali di fisioterapia per recuperare la voce erano stati estenuanti e irritanti. Avevo speso ore intere a vocalizzare, a sentire la mia gola produrre suoni rauchi e atroci, tanto sgradevoli che dopo una sola sessione avevo ordinato a Hotch ed Emily di aspettarmi fuori dalla stanza, vergognandomi. Mi era sembrato di non fare progressi, di essere del tutto incapace, che non avrei mai recuperato la mia voce, finché un giorno mi ero svegliata e di getto avevo ringraziato Emily per avermi fatto la colazione. Lei era rimasta così spiazzata da far cadere lo yogurt a terra, inondando il parquet scuro, e si era precipitata a darmi il primo vero abbraccio in settimane, senza più preoccuparsi di farmi male.

505 || aaron hotchnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora