33. Lontano dalla luce

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Capitolo 33:
- dove c'è una partita speciale
- dove Emily manca all'appello
- dove c'è un lieto fine
>> ep. 06x22

Il sole, il cielo limpido, i fiori e il naso che pizzicava: la primavera era arrivata anche a Washington, con qualche settimana di ritardo a causa di numerosi temporali, e non c'era cosa migliore di passare la domenica mattina nel parco vicino cas...

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Il sole, il cielo limpido, i fiori e il naso che pizzicava: la primavera era arrivata anche a Washington, con qualche settimana di ritardo a causa di numerosi temporali, e non c'era cosa migliore di passare la domenica mattina nel parco vicino casa a soffocare per l'allergia stagionale.

«Ti ho portato un altro antistaminico,» mi informò Hotch, senza distogliere lo sguardo dai bambini.

«Sto bene,» mugugnai, reduce dall'ennesimo starnuto. «Adesso quello che ho preso a colazione farà effetto. Se ne prendo due mi viene sonno, e se mi viene sonno non posso vedere Jack giocare.»

Hotch pressò le labbra per non sorridere, assumendo un'aria bonaria. «Probabilmente anche se dormissi saresti la persona più attenta, qui,» osservò, e a provare la propria tesi si lanciò uno sguardo intorno, invitandomi con un cenno del mento a fare lo stesso.

Lo spiazzo dove Jack e i suoi amici giocavano a pallone era vicino al centro del parco dove eravamo soliti portare il bambino a giocare. Ogni sabato e mercoledì c'era un allenamento, il cui scopo era prepararsi per la partita della domenica dopo pranzo, che seguiva una simulazione la mattina stessa. La squadra, composta da una trentina di bambini, si divideva in due gruppi che fingevano una situazione di gioco reale. Essendo appunto il weekend, molti genitori venivano di persona a godersi il tempo libero e i primi veri raggi di sole dell'anno, ma di certo non a vedere i ragazzi giocare; eravamo tutti disposti lungo una linea sul lato lungo del campo, abbastanza vicini da vedere ma lontani così da non essere presi a pallonate, e non c'era un singolo adulto che prestasse attenzione al proprio figlio. Si erano tutti portati una coperta per stendersi sul prato o una sedia a sdraio, e alcuni dormivano, altri prendevano il sole, altri ancora erano radunati in gruppetti a chiacchierare.

Quest'ultimo caso era quello di Mark, il padre del migliore amico di Jack, Cody, che era impegnato in una accesa conversazione con un suo amico riguardo una partita di baseball vista il giorno prima.

«Davvero non capisco,» sbottai, alzando le braccia con fare desolato. «Posso sapere cosa vengono a fare qui, se non degnano i figli di uno sguardo? È questo il tipo di supporto che fornirebbero?» e rifilai un'occhiataccia alla donna vicino a noi, che ci stava guardando da qualche istante di troppo—e il motivo non era certo un mistero.

Hotch sospirò e si abbassò di nuovo gli occhiali da sole sul naso. Indossava un paio di jeans e una maglia verde militare che risaltava il colore scuro di occhi e capelli; il fatto che fosse a maniche corte, e che mettesse in risalto il fisico asciutto e slanciato, aveva attirato più di qualche sguardo da quando eravamo arrivati. Per via del nostro lavoro non avevamo molto tempo per guardare Jack giocare, così appena il bambino mi aveva proposto di assistere all'allenamento ero stata terribilmente felice. Trovavo una cosa indecente che i genitori fortunati come quelli che ci circondavano, che avevano ogni sabato libero per rendere fieri i figli, preferissero spettegolare o stare al telefono anziché contribuire alla loro gioia.

505 || aaron hotchnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora