8. Il tassello mancante

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Capitolo 8:
- dove Tori torna alla Psicologia Forense
- dove Hotchner perde le staffe
- dove Reid ha quasi un infarto
>> ep. 03x14

«Perché sei così emozionata?» chiese Reid, cupo

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«Perché sei così emozionata?» chiese Reid, cupo. «Veramente non è normale questa tua gioia. Questo è un pazzo con la P maiuscola, Tori.»

Mostrai il distintivo e consegnai la mia pistola, una Glock 17, all'agente di guardia al carcere. «Oh, lasciami divertire,» risposi sbuffando. Attesi che arrivasse un'agente femmina perché mi ispezionasse, e lui, che aveva già finito, mi stava aspettando con le sopracciglia alzate in un'espressione scettica. «Questo è quello facevo alla Psicologia Forense,» spiegai. «Dopo anni di servizio, è normale che mi sembri un po' di tornare a casa.»

Reid diede uno sguardo cinico e diffidente attorno a sé mentre procedevamo a camminare scortati da una guardia verso l'ufficio del Vicedirettore del carcere. Eravamo in Connecticut per un colloquio con un criminale, Chester Hardwick. Si trattava di un prolifico piromane divenuto serial killer, che stretto nel braccio della morte, a pochi giorni dalla propria esecuzione aveva richiesto un incontro con l'FBI. Sarebbe andata senz'altro la mia vecchia unità, se Hotchner non avesse richiesto il caso in virtù della Ricerca sulla Personalità Criminale che stavano svolgendo Reid e Rossi. In realtà non sarei dovuta nemmeno andare, ma avevo iniziato a pregare Hotchner con tanta insistenza che alla fine l'avevo preso per sfinimento—per poi sapere da Rossi che aveva avuto intenzione di chiamarmi sin dall'inizio, e aveva finto per testare quanto potessi essere davvero assillante.

Lui, al contrario di Reid, non si era posto troppe domande sul perché volessi essere lì. Era stato un procuratore per anni prima di entrare nella BAU, quindi capiva la deformazione professionale che mi portava a desiderare di parlare con l'assassino. Si era solo limitato a mettermi in guardia: «rispecchi alla perfezione la sua vittimologia, quindi non stupirti se fa commenti su di te. Te la senti?»

Me la sentivo eccome. L'idea di tornare alla Psicologia Forense per anche solo mezz'ora mi stava emozionando così tanto che sembrava scodinzolassi.

Reid ovviamente non era dello stesso parere. Arrivati nell'ufficio del Vicedirettore non trovammo nessuno; lui si sedette su una delle due sedie imbottite dall'altro lato della scrivania, e iniziò a giocherellare con una palla di neve rosa. «A me non piace per niente l'idea di stare qui. Vorrei poter parlare con questo tizio senza doverlo vedere. Non si poteva fare al computer?» si lamentò, nervoso, allentandosi il colletto della camicia al di sotto del maglione.

«Ma facendo a distanza dov'è il contatto con i criminali?» domandai in risposta. Rimasta in piedi, stavo dando un'occhiata allo studio in cui ci trovavamo. Era una stanza molto ampia, sulle tonalità del grigio, bianco e nero, piena quasi da esplodere. La stessa scrivania offriva diversi trofei, due telefoni, la lampada, una serie infinita di pile di fogli, foto e oggettistica di vario tipo. C'erano diversi contenitori per documenti, ognuno con le sue etichette ben ordinate. Era proprio l'ordine l'elemento che regnava sovrano, e che permetteva alla grande quantità di oggetti presenti di non risultare un'accozzaglia indistinta.

505 || aaron hotchnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora