14. La deriva del piacere

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Capitolo 14:
- dove cala una guerra fredda
- dove Hotch viene coinvolto in prima persona
- dove cambiano le cose
>> ep. 04x16

Dovetti prendere un bel respiro prima di bussare alla sua porta

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Dovetti prendere un bel respiro prima di bussare alla sua porta. Sciolsi le spalle, massaggiandomi con una mano la cervicale, poi contai fino a dieci e sollevai le nocche, che rimasero per qualche secondo a mezz'aria. Da due settimane a questa parte non riuscivo nemmeno a guardare Hotchner in faccia, figurarsi presentarmi da sola nel suo ufficio. Che fine aveva fatto tutto il mio coraggio in queste situazioni? Dannazione, quanto era frustrante.

Ogni volta che lo vedevo era come strappare un colpo di ceretta, e sapere che la zona in questione si sarebbe arrossata e avrebbe iniziato a pizzicare. I miei occhi lo cercavano, lo trovavano, sospiravano a causa sua, poi subentrava il dolore e la rabbia per una faccenda che aveva gestito interamente lui. Era stato lui a venire in camera mia, quella notte, lui a baciarmi e lui a troncare qualsiasi cosa ci fosse tra di noi. Era incredibile che se la stesse prendendo con me per una sua scelta. La cosa sarebbe potuta essere gestita in maniera totalmente diversa? Certo, ma non voleva dire che le conseguenze dovessero essere così pesanti.

Non ci ignoravamo neanche più, il che era praticamente peggio. Eravamo cordiali l'uno con l'altro, così tanto da sembrare estranei, e da aver attirato l'attenzione dei nostri amici profiler. Tutta quella gentilezza era fuori dal comune nel nostro rapporto, nonché completamente di facciata. Ci salutavamo, scambiavamo due chiacchiere prive di consistenza, e per il resto le nostre uniche interazioni si limitavano ai casi. JJ, Em e Garcia erano le uniche a sapere cosa era successo, perché mi vergognavo troppo di parlarne con gli altri. Essere stata messa da parte in quel modo era già abbastanza umiliante senza aggiungervi il riconoscimento pubblico.

«Mi hai chiamata, capo?» chiesi una volta entrata. Accostai la porta alle mie spalle, poi camminai fino al centro della stanza, rimanendo a distanza di sicurezza. Due settimane prima mi sarei seduta sulle sedie davanti alla scrivania; adesso l'idea mi dava il voltastomaco. Avevo raggiunto un livello di professionalità del tutto sconcertante e inedito negli ultimi tempi: sempre in orario, impeccabile nel lavoro, la postura corretta, la voce inflessibile come quella di un automa. Era l'unica maniera che avevo di comunicare con lui.

Lo trovai seduto alla scrivania, intento a scrivere, e non accennò ad alzare lo sguardo. «Riva,» disse, continuando nella sua mansione, «abbiamo un caso. Quanto ci metti a prepararti?»

Lanciai un'occhiata al mio orologio da polso. «Il tempo di avvertire gli altri e forse dieci minuti per radunare le mie cose,» risposi, perplessa. In genere era JJ a occuparsi di queste cose, ed era parecchio strano che avesse chiamato me. La mia amica era infatti l'unica nota positiva in un mare in tempesta: Henry era nato da due mesi, e lei non aveva esitato a tornare in servizio. Questo non voleva dire soltanto che Jordan Todd si era levata dai piedi—una grande notizia di per sé—e che avevamo un bambino nel nostro gruppo di ragazze, ma anche che l'atmosfera alla BAU era ritornata sopportabile. JJ rappresentava per noi una sorta di madre, e l'averla a casa calmava le acque anche senza che dovesse intervenire direttamente.

505 || aaron hotchnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora