28. Mosley Lane

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Capitolo 28:
- dove c'è un rapimento
- dove Tori ha un momento di sconforto
- dove Hotch ha un'idea
>> ep. 05x16

Quando aprii gli occhi, compresi subito che qualcun altro era sveglio

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Quando aprii gli occhi, compresi subito che qualcun altro era sveglio. Lanciai un'occhiata alla sveglia sul comodino, che riproduceva sul soffitto l'orario—le quattro e venti del mattino—e poi una a Emily, la quale come al solito russava lievemente, appropriatasi di buona parte della mia metà di letto. Rimasi ferma, in attesa di comprendere se mi fossi immaginata quel rumore o se l'avessi sentito davvero, quando il suono di ante sbattute si ripeté.

Generalmente mi sarei messa a sedere con il sangue che pompava nelle orecchie, temendo un ladro o un assassino, e avrei preso la pistola che Emily teneva nell'ultimo cassetto del comodino. Stavolta invece scivolai lentamente giù dal letto, mi tirai i capelli indietro in una crocchia e con uno sbadiglio uscii dalla stanza, premurandomi di chiudere la porta così da non svegliare Emily. Percorsi il corridoio che separava la camera mia da quella della mia amica, e una volta davanti sporsi il capo per osservare la situazione.

Intravvidi nella penombra dell'ambiente quella figura slanciata e muscolosa divenuta tanto familiare, supina, tanto che potevo distinguere solo i suoi capelli neri sul cuscino rosa e le braccia a cingerlo. Accostai di nuovo la porta e mi avviai in cucina, dove trovai la fonte del rumore che mi aveva svegliata. Jack aveva acceso una delle piccole luci vicino al piano cottura, e stava seduto al tavolo, la testa che penzolava assonnata e un bicchiere di latte davanti.

«Amore?» chiesi, strizzando gli occhi a causa della luce improvvisa. Avevo la bocca impastata e rischiai di sbattere contro l'anta lasciata aperta della credenza, ma riuscii con successo a sedermi vicino a lui. «Che succede? Stai bene?»

«Mi dispiace, Tori,» disse, abbassando gli occhi. «Non volevo svegliarti.»

«Oh, non l'hai fatto. Dovevo andare in bagno,» improvvisai, prima di sorridergli e sfiorargli la testa. «Che c'è che non va?»

Jack, le piccole mani attorno al bicchiere più grande del suo volto, aggrottò la fronte nell'espressione più sconfortata e rammaricata che gli avessi mai visto indossare. «Ho fatto un sogno.»

«Era molto brutto?»

«No,» rispose, tirando su con il naso, «era un sogno bellissimo. C'era la mamma.»

Rimasi in silenzio, ascoltando il suo respiro irregolare. Cosa avrei potuto dirgli? Gli mancava sua madre, la persona per lui più importante al mondo, che non avrebbe mai perso quel ruolo anche se non sarebbe stata più al suo fianco. Avevo pensato spesso alla prospettiva di perdere la mia, di madre, nei momenti precedenti e successivi alla morte di mia zia, e benché fossero passati anni ancora mi venivano i brividi alla sola idea. Mi alzai e misi a scaldare in un pentolino il latte, godendomi il fresco e la quiete della notte, la complicità tra me e Jack, che ci permetteva di non parlare per riempire il silenzio calato sulla cucina. Mi sporsi poi per prendere il cacao in polvere della Nestlé, quello che ero stata solita bere con le mie cugine in Italia, aggiunsi un cucchiaino di miele, il cacao, e quando la bevanda fu pronta gliela misi davanti.

505 || aaron hotchnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora