Capitolo Trenta - Dubbi

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Parole come violenza
Rompere il silenzio
Vieni a schiantarti dentro
Nel mio piccolo mondo
Doloroso per me

Enjoy the Silence - Depeche Mode
 

Fermai la moto nel cortile della base, il cuore sembrava voler uscire dal petto. La figura di Adriano, alta e sicura, continuava a presentarsi nella mia mente.

Le mani iniziarono a tremare. Tolsi il casco e lo gettai a terra non potendo più contenere la rabbia.

Scesi dalla moto e mi avviai verso l’ingresso, spalancando la porta.

I ragazzi si voltarono e nei loro sguardi mi sembrò di percepire un pizzico di pena, questo non fece altro che innervosirmi di più.

Feci lunghi respiri sperando di calmare il tremore del mio corpo. Il mio viso era una statua di ghiaccio, non volevo far trasparire nessun sentimento, perché altrimenti avrei ceduto. Sarei crollata.

Potevo sentirla quella barriera che minacciava di sgretolarsi.

«Lara.» Emily si avvicinò a me, un sorriso amaro sul viso.

«Dov’è?» strinsi i denti quasi a farmi male.

«Non credi che prima dovremmo parlare un po’ tra di noi di ciò che è successo?» Mia sorella mi si avvicinò.

«No» dissi risoluta. Non potevo aspettare ancora, non potevo rischiare di sbriciolarmi in mille pezzi un’altra volta, non davanti a lui. «Devo vederlo adesso

Gli altri non dissero nulla, e io non mi concessi di osservarli, però sentivo i loro sguardi su di me. Avevano la contradditoria capacità di darmi sicurezza e di togliermela. Mi limitai a guardare Emily, quella presenza familiare che mi era mancata così tanto da distruggermi giorno dopo giorno.

Ma quello non era il momento di crogiolarsi nei sensi di colpa. Ero stanca di sentirmi così. Christian aveva ragione, il colpevole era qualcun altro.

Lei annuii, sorprendendomi per quella facile resa. «È di sotto.» Indicò la porta che conduceva in cantina.

Guardai quella piccola porta per un tempo che mi parse infinito, poi i miei piedi si mossero, come calamitati.

Vederlo la sera prima era stata una dura prova, ma parlargli adesso, dovergli stare vicino, era un’altra storia.

Pregai me stessa di non cedere, di non concedergli un barlume di vulnerabilità. Sapevo che ne avrebbe approfittato.

Nel momento in cui misi la mano sul pomello e lo girai, il tempo sembrò rallentare.

Riuscivo a sentire ogni singolo battito del mio cuore.

In fondo alla piccola scalinata scorsi i suoi lineamenti in penombra.

Era seduto con le mani legate dietro la schiena e i piedi alle gambe della sedia.

Alzò il viso verso di me e smisi di respirare. Quegli occhi neri come la pece, neri come pozzi profondi, mi catturarono.

Concentrati, cazzo! inveii contro me stessa.

Entrai e mi voltai, con la scusa di richiudere la porta. Feci un respiro profondo.

Scesi le scale al rallentatore, guardando i gradini e percependo quegli occhi che mi scrutavano. Quegli occhi che avevo amato così tanto da stare male.

Non potevo concedermi certi pensieri. Così mi sforzai di ordinare alla mia mente di focalizzarsi su ricordi più duri: mia sorella in una pozza di sangue, Christian in ospedale.

SYS - La società degli splendenti Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora