6.Elisir di una gioventù bruciata

967 47 11
                                    

C'erano alcuni giorni in cui mi sentivo estranea a tutto ciò che circondasse il mio spazio. Mi sentivo assente dal mio stesso corpo, come se non fossi stata quella persona e mi limitassi solo a vivere in modo passivo. Succedeva spesso ormai.

«La mamma ti ha scritto?» chiese papà indifferente leggendo delle cose al telefono. Intanto alla televisione trasmettevano un vecchio programma televisivo che andava in onda anni fa e che stava riprendendo una certa notorietà.

«Qualche volta.» mentii con la sua stessa freddezza nel tono della voce. Non sembrava neppure stare attento a ciò che stessi dicendo, quindi mi domandai lecita il perché chiedesse cose di cui non aspettasse la risposta.Era diventata monotonia la nostra che alla base non aveva nessun interesse reciproco.

«E la scuola? Spero tu stia avendo un comportamento rispettoso.» mi ricordò spigoloso come se quella fosse stata la cosa più importante. Ma non gli importava alla fine; Se quando non c'era mangiavo correttamente, se la sera fossi rimasta a casa a dormire e non chissà dove...Strinsi i lembi del fazzoletto bianco tra le dita, perché quell'aria stava diventando fin troppo soffocante. Ormai avevo disconnesso qualsiasi suono stesse uscendo dalla sua bocca, vedevo solo le sue labbra aprirsi e muoversi a rallentatore.

Avevo passato gli ultimi due giorni chiusa dentro casa, perché mio padre voleva che non perdessi tempo e studiassi. Ribellarsi non serviva, ci avevo provato, ma farlo mi costava troppo e non faceva altro che porre ulteriori paletti tra la nostra sorta di relazione padre-figlia. Quindi mandavo tutto giù, indossando i vestiti succinti della figlia obbediente.

Tutto intorno a me si muoveva lento.
Credevo veramente di star male, di stare per impazzire perché mi stava succedendo quella cosa?

«Quindi vedi di non dare problemi e-» mio padre fu interrotto dal suono del campanello di casa. Decisi di alzarmi dalla sedia del soggiorno, con un equilibrio che non mi aspettai di avere in quell'attimo e andai a vedere chi fosse.

«Drew.» vidi il ragazzo dai capelli spettinati e dallo skateboard ai piedi, sorridermi con circostanza come se avesse capito il mio stato d'animo al volo e l'avesse reso suo solo nella prima occhiata che mi dedicò.

«Sono venuto a rapirti prima che ti crescano i capelli bianchi e sarai allergica alla luce del sole.»affermò Drew con gli occhi pieni di entusiasmo irrefrenabile.Non sapevo se avessi dovuto essere spaventata o incuriosita da quel suo lato, come dire...prepotente.

«C'è mio padre.» sussurrai non credendo che forse mi avrebbe fatto uscire a quell'ora di sera.

«No problem, ci penso io allo zio. Tu incomincia ad andare su a metterti qualcos'altro.» mi diede una pacca sulla spalla, invitandomi a salire le scale che conducevano in camera mia e non potei che guardarlo confusa.

«Zio!» lo sentii esclamare e poi non capii piú nulla di quello che disse.Mi preparai in fretta mettendomi un top nero e dei jeans stretti, ero già truccata quindi evitai di esagerare troppo, infilai quanti più gioielli potessi mettere in bella vista e poi allacciai le scarpe al piede, infine presi il telefono sotto carica.

Da quando ero piccola avevo provato a capire come diavolo facesse mio cugino, ad ottenere sempre ciò che desiderasse. Io dovevo fare i salti mortali. Invece lui ci riusciva, senza nemmeno sudare troppo. Quando scesi fino all'ultima rampa di scale, lo vidi con le mani nelle tasche del giubbotto verde con un ghigno vittorioso. Mi prese la mano di fretta e mi condusse fuori. Mio padre non si scomodò nemmeno a salutarci.

«Che bugia gli hai raccontato per farmi uscire?» inarcai un sopracciglio in modo cinico.

«Non è una bugia.» ribatté facendomi sedere dietro la bici.

𝟐𝟒 𝐜𝐚𝐫𝐚𝐭𝐢 ||Tom kaulitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora