11.Lascia alle spalle chi eri

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Quella sera Tom mi aveva riportato a casa, senza dire una singola parola.Con un cenno del capo mi aveva salutata senza aggiungere altro.

Dava l'idea di andare di fretta.

Ancora non avevo capito quel messaggio da parte di Drew.Che senso aveva scrivermi quelle cose, se poi non si era fatto vivo? Oppure lo aveva scritto con il preciso intento di farmi arrivare lì ed aiutare Tom ferito perché magari lui non poteva farlo?

Non ci capivo più nulla.
Il comportamento di tutti mi sembrava un enorme accozzaglia di bizzarre interpretazioni astratte.Ma più di tutti, la persona che non capivo affatto era mio cugino; Non era stata solo ieri la goccia che avesse fatto traboccare il vaso. Si era agitato parecchio in quella settimana, come se qualcosa sarebbe dovuto accadere.Eppure, lui non mi aveva confidato nulla, si era chiuso dentro delle mura di acciaio.

Per di più, non rispondeva ai miei messaggi e a scuola non si era fatto vivo.

Quasi inconsciamente ,presa dal nervosismo della sera precedente, mi diressi verso l'aula abbandonata della scuola, quella dove avevo visto per la prima volta Tom; volevo chiedergli delle spiegazioni, volevo capire quello che stesse succedendo. Prima quegli uomini, poi le sue ferite...

Il mio passo che dava l'impressione di essere spedito in direzione di una missione segreta, incedette sempre di meno quando giunsi di fronte alla porta del terzo piano. Il corridoio era isolato, non c'era anima viva lì fuori che potesse vedermi.

Le scarpe parevano essersi incollate al suolo per quanto a fatica riuscii a spostarmi in avanti per entrare.Sembravo essere stata inghiottita da un burrone albergato dal buio e da un sentimento di smarrimento, un magone che si depositava proprio in fondo al mio cuore, si iniettava nelle vene e mi logorava le ossa fino ad assottigliarle.

E poi lo vidi.
Sbirciai appena con il capo verso la stanza. Tom era lì, con gli occhi socchiusi e un'espressione cauta in viso, seduto sul davanzale dalle finestra con la testa reclinata all'indietro inchiodata al muro freddo. Le gambe portate al petto, le scarpe che si accavallavano tra di loro in una posizione comoda, un maglioncino nero attillato che lasciava libero arbitrio ai pensieri più infimi.

Gli addominali contratti, le vene che pulsavano lungo il braccio, il pomo d'adamo che si alzava ed abbassava regolare. Le tende bianche si mossero coprendo la sua figura statica, nascondendolo dalla mia vista.I raggi del sole filtravano candidi attraverso il vetro e gli si dipingevano sul viso, conferendogli un'aria indomita e quasi inaccessibile.

Perché alla fine Tom non era che questo: un ragazzo che aveva tutte le carte in tavola per apparire agli occhi degli altri come un ragazzo dalle vesti provocanti con cui potevi conversare, scherzare e divertirti, ma a cui in realtà non potevi mirare, né toccare.

«Che vuoi?» mi scosse dalle mie fantasie e riportai l'attenzione su di lui, che sempre con le palpebre chiuse mi stava parlando scocciato.

«Sapere.» affermai facendomi coraggio e proseguendo finalmente in avanti, scavalcando quella linea immaginaria che mi ero designata agli spigoli degli occhi.

Ora, ero entrata nel suo territorio.

«Sapere cosa?» chiese fingendo che non stessi cercando di arrivare a quell'argomento.

«Di ieri. Chi erano quegli uomini e cosa c'entra mio cugino in questa storia.» dichiarai stringendo il lembo delle maniche bianche per mantenere una calma apparente.

«Io penso che dovresti impicciarti un po' più dei tuoi problemi e non quelli degli altri, ragazzina di Berlino.» sovvenne con una punta di fastidio che si dissipò nel giro di qualche secondo come appena richiuse le labbra.

𝟐𝟒 𝐜𝐚𝐫𝐚𝐭𝐢 ||Tom kaulitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora