31.Dove si sente il cielo piangere

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MAEVE
2 anni prima

Credevo di star per impazzire.

Avevo delle voci nella testa che mi sussurravano tante cose così sconnesse tra loro, che non sapevo a quale dare retta. Non sapevo più che scelta prendere per il bene di Damian, per il bene della nostra famiglia. Volevo fare la sorella maggiore responsabile, ma la verità era che non mi riusciva per nulla. Io ero persa.

C'era un burrone tra me e quello che dicevano le persone; su come mi avessi dovuto comportare, sul fatto che avessi dovuto essere forte perché mi avrebbe aiutato a crescere e a diventare una donna un giorno. Ma io non volevo crescere, sarei voluta restare bambina ancora un po'. Ne avevo bisogno. Avevo bisogno di raggomitolarmi nelle mie debolezze, eppure dovevo recitare le vesti della persona forte che non ero e che mai sarei stata.

Le lacrime mi rigavano il viso, più esse scendevano, più una voragine dentro al mio petto si intensificava. Con le mani avvolte ai timpani, mi rifiutavo di starmene in chiesa ad ascoltare quelle cose. Ad ascoltare quelle persone parlare. Avrei voluto piegare il mondo e metterlo a tacere, chiuderlo dentro una bolla e farla scoppiare. E non seppi se rimanere, convivere con i miei pensieri, sarebbe stata la scelta migliore che avesse potuto capitarmi.

Relazionarmi con ciò che mi portavo all'interno, per escludere il marcio dell'esterno e le persone con i loro sorrisi di circostanza che tanto odiavo.

Ma perché quando avevo bisogno di te, tu non c'eri? Perché quando avrei voluto confidarmi con te di ciò che mi faceva star male, tu non eri lì con me al mio fianco a confortarmi. Ci eravamo ripromessi di farlo ogni volta che le nostre mura sarebbero crollate.

Ti odio.
Ti odio profondamente.
Perché non eri più lo stesso dopo quell'incidente e mai lo saresti stato. Ormai il pensiero di te, la persona che eri stata, apparteneva al passato e tu non eri più chi avevo conosciuto una volta.
Non era rimasto nulla di te.
Neppure il profumo.

Rannicchiata sulle ginocchia in un angolino buio dello scantinato dei vini, aspettavo in solitudine la notte.

Fin quando una luce non fece capolino, non fece breccia in tutta quella oscurità e gentile con il suo candore unico nel genere, che lo rendeva agli occhi di tutto speciale, mi porse la mano e mi impedí di sprofondare nel mio abisso di solitudine. Con i suoi occhi vispi mi restituiva il respiro e i battiti che avevo perduto.

Ed il tuo sorriso era abbagliante.
Lo era sempre stato da bambino.

«Ecco dove eri finita.»

«Bill.»

SKY

«Come sta il gattino?» chiesi sull'uscio della porta della casa di Drew, dove Beltrame ci aveva scortato.
Durante il tragitto la macchina si era incappata con un gatto nero che passava moribondo per la strada.

Sbirciai a malapena dalla porta semiaperta della camera dove si trovava il cucciolo e poggiai la mano sulla maniglia e deglutii cercando di distinguere la figura di Tom nel buio della notte. Scorgevo solo un letto da una piazza e mezzo, un comodino con sopra un bicchiere di acqua, un armadio e un balcone aperto con le tende scure che svolazzavano in un movimento oscillatorio.

Tom era accanto al gatto, accarezzando il suo pelo scuro. Gli sistemava le coperte.Si limitava solo a fissarla in un silenzio oltremodo con viso afflitto da pensieri. Era un momento così intimo e personale, che non mi sentii in dovere di parteciparvi. Era il mondo vulnerabile di Tom.

𝟐𝟒 𝐜𝐚𝐫𝐚𝐭𝐢 ||Tom kaulitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora