Capitolo Venticinque

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Ornella impiegò appena ventiquattro ore per realizzare che quando la zia aveva detto alla cognata che era fuori di testa, non aveva affatto esagerato.
La ragazza aveva erroneamente creduto che le minacce della madre fossero frutto della sorpresa, ma che una volta assorbito il colpo di aver saputo che la figlia frequentava una ragazza, la donna sarebbe tornata in sé.
Ornella non pretendeva piena comprensione, ma non si era certo aspettata di andare a sbattere contro un muro. Aveva, infatti, provato a parlare con sua madre, la donna però sembrava  intenzionata mantenere tutte le promesse fatte: di contattare Valeria non se ne parlava.
Il giorno dopo il loro ritorno a casa, la madre si era presentata a casa con un telefono nuovo, uno di quelli con la tastiera, che si chiudevano a conchiglia, e un nuovo numero. Si trattava di un acquisto inutile secondo Ornella, visto che non aveva il permesso di andare da nessuna parte. Era uscita solo poche volte con la madre per delle commissioni e alla fine aveva smesso di fare anche quello, perché prendere una boccata d'aria in un'atmosfera tesa come quella che aleggiava in presenza della madre, non ne valeva proprio la pena.
L'unica persona che aveva il permesso di vedere era Paola, che però non era ancora tornata dalla vacanza in Grecia, e così Ornella dovette aspettare qualche giorno di troppo di parlare con un altro essere umano che non fosse sua madre.
Quando la sua migliore amica suonò il campanello quella mattina per poco Ornella non si mise a piangere e dovette trattenersi dal saltare addosso all'amica appena la vide.
"Mi spieghi perché non rispondi ai messaggi?" la rimproverò Paola appena furono sedute in cucina.
Agata che aveva preso strategicamente dei giorni di ferie, gironzolava per casa a portata di orecchio.
"Vuoi un caffè?" chiese Ornella ignorando la domanda dell'amica, mentre le mostrava l'ultimo acquisto della madre.
"Che cos'è quel coso?" chiese Paola a bassa voce. Doveva aver intuito che qualcosa non andava.
"Il mio nuovo cellulare. Ho un nuovo numero."
Paola che era seduta in modo da stare di fronte alla porta della cucina, assunse un espressione più distesa e disse a voce normale:
"Sì, un caffè, lo prendo volentieri."
Il cambio di tono aveva preannunciato, come Ornella si era aspettata, l'arrivo di sua madre.
"Ciao, Paola come stai?" chiese Agata, entrando in cucina
Ornella vide negli occhi dell'amica un attimo di smarrimento. Paola molto probabilmente non capiva perché la donna fosse piombata in cucina e si fosse seduta al tavolo con aria da generale dell'esercito.
Paola grazie alla sua faccia tosta, però, si riprese subito.
"Tutto bene, Agata, grazie. Tu?"
"Non mi lamento"
Ornella schioccò la lingua. Era una bugia bell'e buona, sua madre si lamentava, eccome.
"Fai il caffè a Paola, Ornella." disse sua madre che non aveva approvato il gesto di velata stizza.
"Agli ordini, capitano."
Per quella battuta la ragazza si era guadagnata un'occhiataccia da parte della madre.
Paola, se era perplessa, non lo diede a vedere e cominciò a parlare della sua vacanza come se niente fosse, mentre beveva il caffé.
"Ti ho portato un regalo." disse concludendo il racconto.
La ragazza tirò fuori dallo zainetto un libro, lo aprì e lo rivolse verso Ornella.
"Scusa, non l'ho incartato. L'ho trovato a un mercatino, si tratta di una vecchia edizione mi ha spiegato il tipo,  che raccoglie tutte le più belle poesie d'amore dell'antica Grecia. Vedi, c'è la poesia in greco antico, e a fronte, la traduzione in inglese."
Paola aprì il libro su una pagina a caso.
"Uh guarda." esclamò in tono allusivo
puntando il nome dell' autore di quella specifica poesia.
Appena Ornella lesse il nome di Saffo, guardò l'amica con un'espressione allarmata, troppo plateale per non essere colta da Paola, che forse cominciava a capire che cosa stava succendendo. Infatti, la ragazza chiuse il libro e cercò di rimediare attirando l'attenzione su altro.
"Perdonami, non c'era in Italiano, ma ho pensato che tu sei comunque brava in Inglese."
"Grazie mille per essere passata, Paola, ma adesso è quasi ora di pranzo." intervenne Agata all'improvviso.
L'allusione di Paola, anche se non la capiva a pieno, non doveva esserle sfuggita e forse e non era abbastanza lontana affinché non riuscisse a leggere il nome dell'autrice della poesia.
"Sì, hai ragione, devo andare anche io, ho promesso a mio fratello di controllare i suoi compiti delle vacanze prima di pranzo."
"Ti accompagno alla porta." si offrì Ornella e fortunatamente la madre non le seguì.
"Che cazzo succede, Ornella?" chiese a bassa voce Paola nel corriodoio.
"Un casino, se posso ti spiego."
Agata, però, messa in guardia dai mormorii, era adesso sulla soglia della cucina appoggiata allo stipite della porta e guardava le ragazze che avevano raggiunto l'ingresso.
Mentre apriva la porta, Ornella sentì una morsa allo stomaco e una lacrima solitaria sfuggi al suo controllo.
Paola se ne accorse e dopo aver fatto un passo fuori dalla soglia si girò di nuovo verso Ornella e l'abbracciò. Quel gesto, però, non era consolatorio, perlomeno non solo; Paola approfittò della vicinanza dell'amica per sussurrarle all'orecchio:
"Mettiti davanti e coprimi."
Appena si staccò a voce alta Paola, cominciò a dire:
"Mi sono dimenticata di raccontarti una cosa. Un pettegolezzo!"
"Cosa?" disse Ornella mentre si posizionava come l'amica le aveva detto.
"Te la ricordi la tizia di Va D? Amelia quella alta con un naso orrendo."
Non c'era nessuna tizia di nome Amelia che corrispondeva a quella descrizione e Ornella guardò l'amica con aria incuriosita.
"Ma sì che te la ricordi! Una volta ci abbiamo giocato a pallavolo contro la sua classe."
La Va D non aveva mai partecipato al torneo di pallavolo della scuola, ma mentre parlava Paola stava frugando nella borsa.
"Quella con una montagna di capelli crespi?"
"Esatto!" rispose Paola con troppo entusiasmo. "Fatto sta che si lamentava sempre che nessuno le chiedeva di uscire perché aveva un naso orrendo. Come si chiama il libro che ti piace tanto dove c'è il tizio con il naso brutto?"
"Intendi  Cyranò de Bergerac?" chiese Ornella, la quale avrebbe riso per quel collegamento, ma era distratta dall'amica che aveva tirato furtivamente fuori dallo zaino una penna e adesso continuava a frugarci dentro, presumibilmente, in cerca di qualcosa su cui scrivere. Solo che non sembrava avere fortuna.
"Esatto quello! Il naso di Amelia era a quei livelli e la poverina ha deciso di farsi operare, solo che il risultato è stato pessimo."
Paola aveva trovato un fazzoletto appallottolato che adesso, usando come base il suo cellulare, stava distendendo sotto lo sguardo disgustato di Ornella. 
"Mi hanno fatto vedere una foto...."
Paola scrisse qualcosa sul fazzoletto.
"...e credimi Ornella, la poverina adesso è sfigurata a vita...."
Appallottolò il fazzoletto e adesso lo stava porgendo Ornella, che però esitava a prenderlo.
"...stenteresti a credere che sia stata opera di un chirurgo..."
Visto che Ornella esitava da troppo, Paola dopo averle dato un'occhiataccia per metterle fretta con un gesto brusco glielo infilò nella tasca dei pantaloncini.
"....piuttosto penseresti a un macellaio. Non è una storia orribile?"
Con la faccia schifata perché aveva un fazzoletto usato nella tasca dei pantaloncini, Ornella ribatté:
"Una cosa veramente orribile!"
Mentre rideva sotto i baffi, Paola salutò di nuovo Ornella, fece segno con la mano ad Agata che non si era spostata di un centimetro e cominciò a saltellare giù per le scale.
Chiusa la porta di casa, Ornella fece ritorno in cucina dove la madre adesso,  appoggiata con una mano al piano cottura la stava scrutando. Sudò freddo, se la madre si era accorta che quella storia era un diversivo per permettere a Paola di darle un messaggio, poteva dire addio al mondo esterno.
"Anche la figlia di quello dell'ultimo piano si chiama Amelia e andava nello stesso vostro liceo. Si tratta della stessa  di cui parlava Paola? Perché quella ragazza non ha un bel naso."
Ornella tirò un sospiro di sollievo, la madre aveva creduto a quella sceneggiata.
"No, mamma. Amelia dell'ultimo piano è un anno più piccola di noi."
Agata soddisfatta della risposta cominciò a cucinare.
Ornella dovette aspettare dopo pranzo prima di riuscire ad andare in camera sua e leggere quello che aveva scritto Paola. Come si era aspettata, l'amica aveva scritto il suo numero di telefono. Trasferì il numero su un pezzo di carta pulito, ma Ornella non ebbe l'opportunità di chiamare Paola per tutto il giorno.
Sua madre, infatti, pretese di essere accompagnata a fare delle commissioni e la ragazza si chiedeva se la visita della sua migliore amica non avesse a che fare con l'aumento della sorveglianza.
Fu solo dopo che la madre andò a dormire che Ornella, riuscì a chiamare Paola.
"Alla buon ora!" esclamò Paola.
Ornella sapeva che quel rimprovero mascherava in realtà preoccupazione, ma le bastò per scoppiare a piangere come non aveva potuto fare quella mattina.
Paola aspettò pazientemente che Ornella si calmasse e chiese:
"Mi spieghi perché ti ho dovuto passare il numero come se fossimo in un episodio di Orange is the new black?"
Ornella raccontò a un'incredula Paola tutto quello che era successo e del perché adesso aveva un cellulare primi anni duemila e un nuovo numero di telefono.
"Ora capisco perché Valeria mi ha scritto!" commentò Paola pensierosa.
"L'hai sentita? Perché non me lo hai detto?"
"Avrei voluto farlo stamattina, ma quando ho capito che non era aria, ho lasciato perdere."
"Che ti ha scritto?"
"Chiedeva se avessi tue notizie, perché non ti sentiva da tanto. Forse pensava fossi al corrente di tutto. Solo che non ne avevo idea, perciò ho pensato che aveste litigato e non volevo risponderle prima di parlarne con te.Come potevo sapere che tua madre si era messa a fare la guardia carceraria?!"
Ornella ricacciò indietro le lacrime e provando a tenere ferma la voce disse:
"Paola devo assolutamente sentirla. Ti prego, dalle il mio numero. Dille però  di chiamarmi domani dopo mezzanotte. A quell'ora mia madre dorme sicuro."
"Non sarebbe più semplice  mandarti il suo, dopo averglielo chiesto?"
"No, mia madre controlla il cellulare.Potrebbe intercettare il tuo messaggio. Perciò dalle il mio e poi mi salverò il suo numero da qualche parte. Lo imparerò a memoria se devo."
Paola sbuffò rumorosamente.
"Perdonami, Ornella, ma tua madre sta dando i numeri."
"Non so perché l'abbia presa così male, sapevo che non avrebbe fatto i salti di gioia quando l'avrebbe scoperto, ma questo....." Ornella tirò su col naso "....non pensavo sarebbe arrivata a tanto."
"Vieni a casa mia!" esclamò  Paola come se avesse appena avuto quell'idea.
"Come faccio...."
"Mettendo un piede davanti l'altro, ecco come fai."
"Mi stai proponendo di scappare di casa? Mi sembra un po' eccessivo!"
"Pure tua madre è un po' eccessiva, Ornella."
"Non posso stabilirmi a casa tua, Paola! Cosa direbbero i tuoi? E poi tu tra qualche giorno devi affrontare i test di medicina, non puoi avermi tra i piedi."
"Ornella, ai miei non importerebbe niente e non saresti tra i piedi. Facciamo così, se la situazione peggiora, vieni a casa mia e diciamo tutto a mia madre. Sono sicura che accetterà di ospitarti e ti aiuterà."
"Ok, Paola. Ti voglio bene."
"Anche io e vedrai che aggiustiamo le cose."
Sentire le parole rassicuranti di Paola, le aveva fatto bene e, per la prima volta da quando era tornata a casa, dormì sonni tranquilli.
Se il sonno fu sereno, il risveglio fu brusco, perché erano appena le sette e mezza quando sua madre aprì la porta della sua stanza e ordinò:
"Ornella, alzati e vestiti."
La ragazza pensò che se il buon giorno si vede dal mattino, quella giornata sarebbe stata pessima. Tuttavia, ubbidì. Si disse che forse la madre era pronta ad ascoltarla, erano passati parecchi giorni, lo shock che provava doveva essersi in qualche modo attenuato.
L'ottimismo era mal riposto, però. La madre non aveva nessuna intenzione di ascoltare, anzi era lei a voler parlare.
"Ci ho pensato a lungo, Ornella, e sono arrivata alla conclusione che da sola non ti posso aiutare."
"Non ho bisogno di aiuto, mamma!"
"Sì, invece, perciò stamattina a casa verrà qualcuno che può farlo."
Per un attimo di puro terrore, Ornella temette che la madre volesse rinchiuderla in qualche struttura psichiatrica. Subito dopo però, si disse che sarebbe stato assurdo; non c'erano i presupposti per chiedere un intervento sanitario, al massimo la donna poteva costringerla ad andare in terapia da uno psicoterapeuta, ma a quel punto si avrebbe potuto ritorcele contro. Un professionista avrebbe potuto dire ad Agata che era lei ad avere un problema.
Ornella, perciò, con un arroganza maggiore di quella che poteva permettersi e che non avrebbe avuto se avesse saputo quello che stava per accadere, disse:
"E chi sarebbe questo qualcuno in grado di essere un genitore migliore di te?"
La madre ignorò la provocazione e disse:
"Padre Samuel."
A Ornella scappò una risata, la madre aveva pronunciato quel nome come se fosse famoso.
"Chi sarebbe costui?"
"Il prete della parrocchia della Santissima Madonna del Rosario. La chiesa qui vicino."
"Chiesa che nessuno di noi ha mai frequentato." puntualizzò la ragazza.
"Non dire fesserie, ti ho fatto fare il catechismo e prendere i sacramenti, perciò non direi che siamo estranee all'argomento. Ad ogni modo, gli ho fatto visita due giorni fa e lui ha accettato di vederti stamattina."
"A che scopo?"
"Per ricordarti ciò che è giusto."
"E che ne sa lui?"
La madre non poté rispondere perché il campanello suonò e Ornella ebbe un sussulto. Sussulto che fu replicato quando vide entrare nel proprio salotto un uomo alto e dall'aspetto austero. La sua espressione era severa e accigliata e nemmeno per una volta accennò un sorriso.
Come era accaduto a casa della zia, Ornella si sentì piccola e indifesa e l'offerta di asilo fatto la notte passata da Paola, adesso, sembrava non solo invitante, ma indispensiabile.
Ornella salutò educatamente stringendo la mano a quell'uomo, la cui presa poco salda,  risultò alquanto subdola.
"Padre Samuel come le dicevo due giorni fa, mia figlia ha un problema. Speravo quindi che la sua esperienza la potesse aiutare a tornare in sé e a trovare la retta via."
Di fronte all'adulazione della madre, Ornella avrebbe voluto dire che non era lei quella ad aver perso la retta via. Decise, però, di tacere, per paura di perdere il controllo, sperando che quel colloquio finisse prima possibile.
"Tua madre dice provi dei sentimenti inappropriati per un altra ragazza." iniziò l'uomo.
"Provo dei sentimenti per una ragazza." confermò, con tono asciutto, badando bene però a non ripetere la parola inappropriati.
"Ornella, vedi, è normale essere confusi alla tua età. Sei molto giovane, tuo padre è andato via e tua madre mi diceva che non molto tempo fa hai passato un momento difficile a causa di un ragazzo. Mi rendo conto che una ragazza sensibile come te, di fronte a una delusione d'amore e alla mancanza di una figura maschile di riferimento, abbia cercato conforto in qualcosa di diverso, magari che si discossaste quanto più possibile da ciò che le era conosciuto. Ti devi rendere conto però che ciò che provi è illusorio e che soprattutto è pericoloso."
"Come può essere pericolosa una cosa che ti fa stare bene?" chiese Ornella fissando negli occhi l'uomo che aveva di fronte.
"Il benessere che dici di provare è effimero e il piacere che deriva da questa relazione è ingannevole e malsano; non è la riproduzione dell'amore di nostro Signore per i suoi figli, è piuttosto lo svelamento di ciò che è oscuro e maligno. In questo momento non sei la serva di Dio, ma la serva del male."
Ornella aggrottò la fronte ma fu l'unica, con la coda dell'occhio la ragazza vide, infatti, l'ombra del dubbio nell'espressione della madre. Evidentemente neanche lei si era aspettata che padre Samuel scomodasse gli inferi per argomentare le sue tesi.
Ornella a quel punto avrebbe voluto girarsi verso la madre e urlarle in faccia che era una cretina se si era aspettata qualcosa di diverso da quell'uomo.
"Il male?" domandò Agata incerta.
"Sì, signora. Io credo che sua figlia abbia bisogno di pregare, pregare, pregare e chiedere a Dio di allontanarla dalla tentanzione. Credo anche che non possa farlo qui, ma abbia bisogno di un posto sicuro dove farlo."
La paura iniziale di Ornella si stava materiallizzando, in una maniera che non aveva messo in conto.
"Le consiglio di portarla via. C'è un centro non lontano da qui gestito da religiose. Accoglie persone di tutte le età, giovani soprattutto, in difficoltà a causa di relazioni sbagliate, di dipendenze, criminalità. Le darò l'indirizzo se vuole, e sono disposto a mettere una buona parola affinché prendano sua figlia. Non sono selettivi, tuttavia credo che sarebbero più propensi ad accettarla se sono io a mandarla."
"Non se ne parla!" sbottò Ornella "Io non vado da nessuna parte."
"Credo che spetti a tua madre decidere."
"Si faccia gli affari suoi!" 
"Ornella, non essere maleducata!" la rimproverò Agata.
Era stata un'uscita un po' infantile, doveva ammetterlo ma era presa dal panico.
"Mamma, non puoi mandarmi via. Non ho fatto niente di male, ti prego, parliamone."
A quella richiesta della figlia fatta con il cuore in mano, Agata disse:
"Grazie, padre, per essere passato, mi lasci pure quell'inidirizzo e faccia quella telefonata. Ne parleremo, ma credo che sia la cosa migliore da fare."
Ornella rimase pietrificata, tanto che non riuscì a rispondere al saluto di padre Samuel prima che questo andasse via.
"Ornella," disse sua madre quando fu ritornata in salotto da sola " è per il tuo bene."
Tornata in camera sua Ornella capì finalmente il significato della parola solitudine. Non si era sentita sola quando suo padre era andato via, perché c'era sua madre aveva fatto di tutto per non fargli pesare la mancanza, non si era sentita sola quando Luca l'aveva tradita, perché ancora una volta sua madre era lì e l'aveva aiutata a raccogliere i pezzi.  Adesso,però, che il punto di riferimento che aveva avuto per tutta la vita le aveva voltato le spalle, Ornella si sentì persa.
Non riuscì nemmeno aprotestare quando sua madre entrò in camera e le comunicò di fare le valigie.
Rassegnata, prese la stessa grande valigia che aveva riempito una settimana prima, e, che una volta tornata a casa non aveva del tutto svuotato, in un gesto premonitore che forse aveva portato un po' sfortuna.
Con le ginocchia a terra, Ornella fece fare alla prima delle due zip che componevano la valigia, il giro completo, per aprire quello scomparto, il più piccolo,  che non aveva ancora svuotato. Lì aveva sistemato i vestiti più carini, che però, essendo reclusa a casa, non aveva avuto occasione di mettere e che dubitava le sarebbero serviti ovunque stesse andando.
Con una rabbia che non era riuscita a manifestare alla madre, Ornella prese in una volta tutti quei vestiti, tra i quali c'era anche quello che Valeria le aveva tolto per fare l'amore l'ultima volta, e li gettò dall'altro lato della stanza. I vestiti caddero pesantemente sul pavimento, mentre qualcosa, di cui Ornella aveva ignorato fino a quel momento la presenza, era rimasto ancora a mezz'aria e adesso stava fluttuando verso il basso.
Era un biglietto, metà di quello che doveva essere stato un foglio A4, e sopra c'era un numero di telefono. Sotto di esso una scritta:
Chiamami appena puoi, a qualsiasi ora, terrò il telefono sempre con me. Ti voglio bene, zia.
Ornella sorrise, e con il biglietto nelle mani, pensò che forse non era affatto sola.


Se mi innamoro sotto le stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora