Capitolo Ventotto

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Ornella appena sentì la voce di Valeria provenire dall'altro lato, mise le mani sulla maniglia nel tentativo di aprire la porta, pur sapendo che era del tutto inutile.
"Vale, sono chiusa dentro."
"La tua camera ha una chiave?" la sentì dire. Valeria, però, aveva parlato a qualcun altro.
"Sì, ce le hanno tutte."
La voce era quella di Nicolò.
"Ornella, faccio un tentativo con la chiave di un'altra stanza" disse Valeria "se non ci riesco, ti giuro su quanto ti amo che la prendo a calci."
Ornella sentì rumore di passi che si allontanavano, per poi ritornare correndo dopo appena un minuto.
Sentì il rumore della chiave nella toppa e quando la serratura scattò Valeria esclamare con entusiasmo:
"Lo sapevo che erano tutte uguali!"
Ornella pensava che quella frase avesse a che fare con le porte e rispettive serrature che erano state fatte in serie, importava poco, però, e quando la porta fu finalmente aperta, si buttò addosso a Valeria. La ragazza l'accolse senza esitare e la strinse a sé.
"Non puoi sapere quanto mi sei mancata."  le sussurrò Valeria all'orecchio, ma lei, nonostante lo volesse sul serio, non riuscì a dire una parola. Sollevata e confortata dal calore da quell'abbraccio, Ornella cominciò a piangere, prima sommessamente poi in maniera più violenta.
"Non piangere tesoro, siamo qui."
Ornella improvvisamente realizzò che era la seconda volta che Valeria usava il plurale. E a pensarci bene era impensabile che la ragazza fosse arrivata da lei, sola.
Alzò il volto, appena per vedere che a qualche passo da loro, c'erano zia Carla e suo padre, una affianco all'altra, e dietro di loro sua madre.
Sciolse l'abbraccio e si asciugò gli occhi, rimanendo però attaccata  a Valeria, con la mano della ragazza tra le sue.
"Quanto ci avete messo?" esclamò con tono di rimprovero, senza però sapere se quella domanda avesse a che fare con la prigionia in sé o con i suoi genitori, rei, una di essersi resa conto troppo tardi di dove l'aveva spedita, l'altro di essersi fatto vivo dopo sei anni.
"Come stai?" chiese zia Carla, l'unica persona, oltre Valeria, che Ornella era contenta di vedere.
"Ero chiusa dentro."
Agata si girò verso la madre superiora che li aveva raggiunti.
"Ha rinchiuso mia figlia?"
"Voleva scappare." rispose la suora con una naturalezza disarmante.
Agata aprì la bocca per dire qualcosa, ma non fece in tempo perché Marcello esclamò:
"Questo è sequestro di persona."
"Sua moglie mi ha chiesto di occuparmi della ragazza e io l'ho fatto."
"Non era questo che intendevo." rispose Agata con un filo di voce, visibilmente scioccata.
Rivolse lo sguardo verso Ornella, senza che questa  riuscisse a interpretarlo. La ragazza, però, distolse lo sguardo.
"Ornella, cucciola, da quanto eri  chiusa in camera?"
Cucciola, un cazzo, pensò Ornella. Suo padre aveva perso il diritto di chiamarla così quando aveva varcato per l'ultima volta la porta di casa.
Tenne per sé quel pensiero, perché al momento non era la questione più urgente.
A differenza di come aveva fatto con la madre, Ornella sostenne lo sguardo del padre, che la guardava come se non fossero passati anni da quando era andato via. Provò stranimento e rabbia allo stesso tempo, ma rispose alla domanda.
"Da quando ho chiamato zia, tre notti e due giorni, in pratica."
Nessuno fu in grado di dire niente, perciò Ornella continuò:
"Mi hanno portato da mangiare e mi facevano andare in bagno ogni volta che arrivano con il cibo, ma non mi hanno concesso di lavarmi."
Quel pensiero le fece allontanare di un passo da Valeria alla quale disse sottovoce:
"Scusa, mi sono buttata addosso senza pensare che non sono pulita."
Valeria scosse la testa e le sorrise:
"Non fa niente, ti avrei abbracciata anche fossi stata ricoperta di fango."
Nel frattempo Marcello e Carla avevano preso ad inveire contro la direttrice, mentre Agata aveva incrociato le braccia e abbassato lo sguardo. Ancora una volta Ornella pensò che sua madre se ne stava lavando le mani. Non le importava però, e non le importava neanche delle discussioni perciò si girò verso Valeria e la trovò che la guardava.
La ragazza doveva aver intuito quello che  le passava e disse:
"Usciamo da qui."
Valeria prese la roba di Ornella, la quale non aveva mai disfatto le valigie, e insieme le due ragazze, superando il gruppo che nel corridoio stava discutendo, si recarono verso l'uscita.
Finalmente alla luce del sole Ornella tirò un sospiro di sollievo. Valeria sistemò la valigia nel bagagliaio di un'auto che lei non riconosceva.
Ancora una volta però non le importava di sapere e quando finalmente Valeria ebbe le mani libere, le si buttò addosso, costringendola così ad appoggiarsi contro il veicolo.
"Se mi avessero permesso di lavarmi i denti, ti bacerei." disse mentre metteva le braccia intorno alla vita della ragazza e appoggiava il volto sulla sua spalla.
Veleria rise mentre le accarezzava la schiena.
"Lo faresti qui davanti a tutti?"
Ornella non rispose, ma fece una domanda a sua volta.
"Intendi davvero quello che hai detto quando eri dall'altro lato della porta?"
"Che l'avrei presa a calci? Certo!"
"No, l'altra cosa."
Valeria non rispose e Ornella temette di aver fatto male a tirare fuori l'argomento. Alzò il volto dalla spalla per guardarla in faccia.
"Vale, fai finta che non abbia detto niente...."
"No, è che non era così che volevo dirti che ti amo per la prima volta. Qui...in questo posto...avrei voluto qualcosa di più romantico."
"Scherzi?! Mi hai salvato come fossi una principessa rinchiusa nella torre e tu una cavaliera dalla scintillante  armatura. Più romantico di così..."
Valeria con uno scatto avvicinò il volto a quello di Ornella per baciarla, ma questa si portò la mano alla bocca.
"Vale, i denti..."
"Sai che mi importa!"
Valeria l' afferrò per la nuca e l'attirò a sé.
"Per la cronaca." disse Ornella staccandosi per un secondo"anche io ti amo."
Furono interrotte un minuto dopo quando dall'ingresso Marcello usciva di fretta seguito dalla sorella e dalla ex moglie.
Aveva un sguardo piuttosto torvo e appena fu avvicinato alle ragazze ordinò più brusco di quanto probabilmente era nelle sue intenzioni fare:
"Salite in auto."
Era arrabbiato, e ora che Ornella vedeva la faccia mesta della madre, intuì che era con lei che ce l'aveva.
"Quando ieri hai detto che avevi mandato Ornella in un istituto religioso tra le montagne," disse Marcello rivolto ad Agata mentre girava la chiave nel quadro "ho pensato che fosse una di quelle comunità innocue dove vai a dormire presto e a svegliarti è il canto del gallo e dove il rischio maggiore è quello di morire di noia. Non immaginavo di certo questo!"
"Neanche io..." provò ad intervenire Agata, ma fu interrotta.
"Ti sei almeno informata prima di mandarci nostra figlia? Cazzo, Agata, se avessi immaginato una cosa del genere avrei dato retta a Carla e sarei partito ieri sera, con o senza di te."
Ornella seduta dietro, tra Valeria e la zia, si girò verso quest'ultima e le sorrise grata.
Zia Carla aveva richiamato il fratello ai suoi doveri di padre e insistito per tirarla fuori da lì.
I genitori continuarono a discutere.
"Come potevo sapere che quella era una pazza psicopatica, Marcello?"
"Allo stesso modo in cui non potevi non  saperlo, Agata."
"Non fare come al solito che ti impunti sulla semantica delle frasi. Quando ho accompagnato Ornella, ho visto tanti ragazzi e mi sono sembrati tutti abbastanza sereni, quindi ripeto, non potevo immaginarlo."
"Ma stai zitta, che l'hai parcheggiata lì e te ne sei andata. Quella pazza ha detto che le uniche telefonate che ha ricevuto sono quelle di Carla."
"Beh credevo che tua figlia non mi volesse parlare."
"Dovevi chiamare lo stesso, a costo di farti sbattere il telefono in faccia Agata. Le madri fanno anche questo."
"E i padri, invece? Se ne vanno? È questo che fanno?"
"Ok io sarò anche un pezzo di merda, e lo sono, ma, credimi, tu con questa stronzata hai raggiunto il mio livello, Agata. Forse addirittura mi hai superato. Non avrei mai rinchiuso Ornella."
"Non lo puoi sapere. Io mi sono ritrovata sopraffatta da questa cosa... mentre tu eri in giro a fare la bella vita."
Ornella che per tutto il tempo era rimasta appoggiata alla spalla di Valeria, non ne poteva più di quei due. Avevano passato il tempo a litigare, prima con la suora pazza e adesso tra di loro. Nemmeno una volta le avevano chiesto come stesse.
Ornella, alzata la testa, schioccò rumorosamente la lingua e attirò l'attenzione dei suoi genitori.
"Ma fatela finita!" disse poi e i due davanti si zittirono.
"Ornella hai ragione, non dovremmo litigare così, l'importante è che sei fuori, essere arrabbiati tra di noi non serve."
"Non mi interessa se siete arrabbiati l'una con l'altro. Per quanto mi riguarda potete anche ammazzarvi, è  che sono stufa di sentire le vostre stronzate. Nessuno dei due ultimamente ha fatto un buon lavoro, perciò fate silenzio."
"Ornella, ti chiedo scusa," disse Agata "quando tornerai a casa ne parleremo."
"Io a casa con te non ci torno."
La madre si girò di scatto.
"Ornella, tesoro....sei arrabbiata, lo so, ma non puoi non tornare a casa."
"Mi hai trascinato via da casa di zia, mi hai preso il telefono impedendomi di parlare con chiunque, mi hai abbandonata in mezzo al nulla e nemmeno per una volta mi hai chiesto come mi sentissi. Non sono arrabbiata, mamma, sono delusa e non voglio tornare a casa con te. Ci tornerò per prendere il resto delle mie cose. Starò a casa della nonna con zia per il momento, poi si vedrà."
Agata provò a dire altro, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Ornella la sentì deglutire rumorosamente e, appena fu girata di nuovo in avanti, dal movimento della mano, capì che si era asciugata una lacrima. In altri tempi forse sarebbe stata mossa da quella immagine, ma avrebbe avuto tempo in seguito per ammorbidirsi, quel giorno aveva tutto il diritto di fare la stronza.
Riprese posto sulla spalla di Valeria che a sua volta le prese la mano e cullata dal movimento dell'auto e dal profumo della ragazza, Ornella si addormentò.
Valeria aveva fatto la stessa cosa, appoggiandosi al finestrino. Ornella lo scoprì quando percependo il cambio di velocità dell'auto, aprì gli occhi e vide che erano quasi arrivati sotto casa sua. Si girò verso Valeria che dormiva beata e che non le aveva lasciato la mano nemmeno durante il sonno.
La ragazza si svegliò appena Ornella ebbe lasciato la sua mano.
"Devo scendere." si scusò.
E Valeria stropicciandosi gli occhi con le mani le sorrise.
Ornella si rivolse alla zia.
"Saliresti con me?"
Prima che zia Carla potesse acconsentire, sua madre si intromise.
"Ornella, non c'è bisogno..."
Ornella però la ignorò e con lo sguardo ribadì la domanda alla zia, la quale con un cenno del capo acconsentì.
Ornella recuperò finalmente il suo cellulare, alcuni libri e oggetti, e altri vestiti. Era impensabile portare tutto via, ma si impegnò parecchio e riuscì a riempire altre due valigie, una grande e una piccola, che si sommavano a quella che già era nel bagagliaio.
Agata alla vista dei bagagli si rese forse finalmente conto che la figlia faceva sul serio e tentò di fermarla.
"Ornella se vuoi stare a casa si nonna un paio di giorni va bene. Ma non puoi trasferirti via di casa, parliamone ti prego..."
"Ti ho chiesto di parlare mille volte da quando siamo partite da casa di zia e tu non hai mai voluto sentire. Non ti stupire perciò se adesso ricevi lo stesso trattamento."
Superò, quindi, la madre e uscì di casa.
Ornella aveva affrontato un genitore, ma ne rimaneva un altro a cui non intendeva farla passare liscia. La zia le fu d'aiuto in questo; infatti, appena varcata la soglia di casa, con un'enfasi troppo marcata perché fosse casuale, esclamò:
"Sono affamata!
Ornella sospettava che la zia avesse intenzione di lasciarla sola con il padre.
"Non c'è nulla in casa e bisogna fare la spesa. Perciò io e Valeria potremmo andare al supermercato, mentre tu e tuo padre rimanete qua." aggiunse la donna.
Marcello non sembrava particolarmente entusiasta all' idea di essere lasciato solo con la figlia. Tuttavia, non protestò e così Carla e Valeria si volatilizarono in pochi secondi.
"Puoi sistemarti nella stanza di zia," comiciò a dire suo padre con tono incerto una volta arrivati in salotto "è la più grande. Ci ha dormito Valeria stan..."
"Che cosa ti è saltato in mente? Sparire così dalle nostre vite senza una cazzo di spiegazione!"
sbottò Ornella.
L'uomo  si sedette su una delle due poltrone del salone e sospirò.
"Ornella, credimi, è stato meglio così."
"Per te, forse. Per me no, però. Sono dovuta crescere senza un padre. E quel che è peggio è che non ho la minima idea per cui te ne sia andato. Me lo sono domandata spesso, soprattutto dopo aver trovato quel cazzo di biglietto che avevi lasciato a mamma, ma non sono riuscita a darmi una risposta. Tu e mamma non litigavate, il tuo lavoro sembrava andare bene, ogni tanto eri stressato, ma tutto sommato tranquillo. E prima di andare via, eri lo stesso di sempre, non c'era  nessun segno di quello che stavi per fare."
"Ornella eri troppo piccola, ma non è così. Mi vedevi tranquillo, perché con te lo ero, dubito però che per tua madre sia stato un fulmine a ciel sereno."
Ornella aggrottò le sopracciglia e si sedette sul divano.
"Io e tua madre non litigavamo, è vero, ma era perché non parlavamo affatto. E per quanto riguarda il lavoro, andava bene, ma non ero felice. Mi sono trovato a vivere una vita che non volevo e che non credo di aver mai scelto veramente. Perciò non ho retto il peso e sono andato via."
"Vuoi dire che io e la mamma non eravamo ciò che volevi?"
"No, Ornella, non ho detto questo. Ti ho desiderato e il giorno in cui sei nata è stato il più bello della mia vita."
Ad Ornella non sfuggì che il padre non aveva detto nulla riguardo la madre.
"Solo che mi sentivo in trappola in un mondo che non mi apparteneva e stentavo a riconoscere la mia immagine allo specchio. Tutto questo mi ha sopraffatto. Mi sentivo soffocare e, forse non mi crederai, ma ho pensato che per te fosse meglio non avermi intorno, che avere un padre che non era felice."
Ornella impulsivamente, prese uno dei cuscini del divano e lo lanciò addosso al padre con rabbia.
Marcello, adesso, la guardava stupito, ma non osava ribattere.
"Se non eri felice con mamma," disse alzandosi in piedi di scatto "potevi lasciare lei senza lasciare me, e se il tuo lavoro non ti piaceva, ne avresti potuto trovare un altro, anche se avrebbe voluto dire rimanere disoccupato per un po' oppure guadagnare di meno, a me non sarebbe importato. Hai torto a pensare che mi hai fatto un favore,
avrei preferito avere vicino anche la versione peggiore di te, che non averti affatto. Hai accusato mamma di nascondere la testa sotto la sabbia, ma tu non sei molto diverso, sei stato un vigliacco, hai evitato i problemi, andando via. E dopo che l'hai fatto avresti potuto scrivere o chiamare, invece hai scritto solo a zia. Mi sono sentita di nuovo abbandonata quando l'ho scoperto."
"Ornella, chiedevo sempre di te alla zia e, forse non lo sai, ma a tua madre ho sempre inviato del denaro per te. Ma ho avuto paura che se avessi saputo dov'ero o se avessimo comunicato ti avrebbe fatto più male che bene."
"Mi avresti risposto se l'avessi fatto?"chiese Ornella mettendo le mani sui fianchi.
"Non capisco..."
"Mamma mi ha impedito di sapere che parlavi con zia, ma se non l'avesse fatto e io ti avessi scritto, mi avresti risposto?"
Marcello scosse la testa e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
"Mentirei se ti dicessi che lo so...forse però non l'avrei fatto. Non subito."
Ornella abbandonò le mani lungo i fianchi e con un sospiro disse:
"Allora perché sei qui?"
Marcello si alzò in piedi.
"Perché andando via, mi sono illuso di poter fermare il tempo e che tu saresti rimasta sempre la timida tredicenne che conoscevo. Ma quando zia mi ha scritto spiegando quello che era successo ho capito che eri un'adulta ormai, che eri cambiata e che io mi stavo perdendo tutto questo. Non sono qui solo perché zia credeva avessi bisogno di me, sono tornato perché io ne avevo bisogno. Sono qui, Ornella e non me ne vado stavolta."
Ornella era arrabbiata, tutto quello che aveva detto il padre l'aveva resa furiosa, e se al posto del cuscino avesse trovato un sasso, glielo avrebbe lanciato volentieri. Tuttavia le era mancato, e c'era una parte di lei che voleva buttarsi tra le sue braccia, come quando era bambina. Fu questa parte a prevalere e Ornella fece un balzo verso il padre che l'accolse a braccia aperte.
"Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace." stava dicendo Marcello mentre Ornella piangeva sulla sua spalla "Ti prometto che non sparirò più, cucciola."
L'aveva chiamata cucciola di nuovo, stavolta però Ornella fu sorpresa nello scoprire che non ne era infastidita. Anzi, quel nomignolo la faceva sentire nostalgica, rimandava la mente a giorni spensierati, quando il massimo della preoccupazione era sapere se papà sarebbe tornato in tempo per portarla al parco a giocare;  e puntualmente lo faceva, suo padre era sempre tornato in tempo da lavoro, anche quando ormai era diventata troppo grande per le giostre del parco. Lo aveva fatto fino al giorno prima di sparire, quando era uscito di casa e non era rientrato.
Ornella, anche se lo stava abbracciando, non lo aveva perdonato, e probabilmente non lo avrebbe fatto per un po'. Questo non le impediva di godersi quell'abbraccio e di sentirsi per un po' quando da bambina era la cocca di papà.

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