Capitolo Ventisei

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L'ondata di ottimismo procurata dal ritrovamento del biglietto della zia ebbe breve durata.  A poco serviva un numero  se non c'era un telefono con cui chiamare e quello che Ornella riuscì a fare prima che sua madre le prendesse definitivamente il nuovo telefono, confermando così che si era trattato effettivamente di un acquisto inutile, fu mandare un frettoloso messaggio a Paola. Approfittando di un momento di distrazione della madre, scrisse all'ultimo e l'unico numero chiamato che sua madre la stava mandando via, ma non sapeva né dove né per quanto. Contava sul fatto che quel messaggio avrebbe preoccupato abbastanza l'amica la quale avrebbe fatto di tutto per aiutarla.
Agata sembrava impaziente di partire e Ornella realizzò in quell'esatto momento che evitare i problemi era proprio nello stile genitoriale di sua madre. Dopo il diploma aveva avuto fretta di spedirla dalla zia, per non fronteggiare l'eventuale problema che la presenza di Luca in città avrebbe potuto causare, e adesso la stava praticamente cacciando di casa perché non sapeva come affrontare la sua sessualità. Non erano, però, gli unici due esempi in cui la donna aveva girato la testa dall'altra parte per non guardare in faccia un problema. Sempre Agata, infatti, quando Marcello si era fatto vivo con la sorella, aveva proibito alla cognata di parlarne con la figlia, precludendole l'opportunità di  avere una spiegazione. In pratica, Agata nascondeva la polvere sotto il tappeto e, dato che quello che aveva recentemente scoperto su Ornella era una quantità esorbitante di polvere, il tappeto non bastava più, e le era servito un istituto di suore per nascondere la figlia.
Durante il tragitto che la stava allontanando da casa, Ornella si sentì come catapultata in un'altra dimensione. Un'opprimente senso di irrealtà si era impadronito di lei e, adesso, era come se quello che stava succedendo, non stesse accadendo a lei, ma ad un Ornella proveniente da un mondo parallelo che stentava a riconoscere. Si era lasciata dietro tutta la combattività e, rassegnata, una volta che lei e la madre furono giunte a destinazione, scese dall'auto senza fare storie.
Dall'edificio, che Ornella si era aspettato cupo e imponente e che, invece, sembrava accogliente ed era dipinto di un colore tenue, venne loro in contro una suora.
La ragazza valutò che la donna poteva avere cinquanta anni come cento, l'espressione severa e accigliata, rendeva impossibile capirlo; si presentò come suor Michelina e condusse madre e figlia all'interno dell'edificio con dei modi un po' burberi, che, presto scoprì Ornella, non avevano niente a che fare con loro. Infatti, la donna trattò con gli stessi modi bruschi una delle sue consorelle, lasciando intendere che era proprio il suo modo di fare.
Inoltre, suor Michelina era una donna amabile se confrontata con suor Aurora, direttrice di quel posto e a quanto pareva madre superiora, la quale adesso stava parlando con Agata, sfoggiando dei modi gentili che ad  Ornella avevano fatto venire i brividi. La sua affabilità non era genuina, lo si vedeva dagli occhi, ma ad inquietarla era il tono mellifluo della sua voce che unito al suo sorriso forzato, davano un effetto che di solito si associa alle presenze del paranormale.
Suor Aurora accompagnò Ornella, seguita dalla madre,  nella stanza che avrebbe occupato tenendo a precisare che, visto la natura dei suoi problemi, era meglio se la ragazza avesse occupato una camera singola.
Agata in uno sprazzo di lucidità replicò che era una precauzione inutile, la figlia si sarebbe comportata bene, ne era sicura; suor Aurora, però, disse che non voleva correre rischi e che non voleva esporre le altre ragazze a un eventuale pericolo.
Ecco che cosa era Ornella per quella donna, un  pericolo; la ragazza guardò la madre supplichevole e, allo stesso tempo, speranzosa che l'atteggiamento della suora fosse abbastanza affinché si rendesse conto in che razza di posto la stesse lasciando. Agata, però, ancora una volta perse l'occasione per tornare sui suoi passi e, sebbene non molto convinta, annuì alla suora.
Suora Aurora spiegò ad Ornella quali erano le regole che doveva rispettare: niente telefoni, niente Internet,  se  avesse avuto bisogno di telefonare, poteva usare il telefono nell'ufficio della madre superiora, dopo aver ottenuto il permesso di quest'ultima ovviamente; le attività e la preghiera erano obbligatorie salvo motivi di salute e c'era una televisione nella sala comune ma poteva essere usata solo la sera per un'ora. La madre superiora  disse ad Ornella che per quel giorno, però, avrebbe avuto il resto del pomeriggio libero, per sistemare la sua roba,  ma che la cena era prevista per le diciannove e trenta, ad ogni modo il suono di una campanella l'avrebbe avvertita. La donna poi si rivolse ad Agata chiedendole di seguirla perché aveva bisogno che firmasse un paio di cose.
La sensazione di essere finita in una dimensione alternativa, di nuovo, strinse la sua morsa e Ornella, incapace di qualsiasi reazione, si lasciò persino abbracciare dalla madre che stava andando via.
Rimasta sola, si lasciò andare sul letto a braccia aperte. Girò la testa verso la valigia e pensò che a giudicare dall'enorme quantità di vestiti che sua madre le aveva fatto portare, non aveva intenzione di andarla a riprendere presto.
Ornella aveva due alternative: rimanere a aspettare pazientemente che sua madre tornasse in sé o lasciare quel posto. La prima era fuori discussione,  sentiva che sarebbe potuta impazzire lì dentro;  la seconda alternativa, però, non era esattamente facile da attuare. La madre aveva consegnato i documenti alla suora per il check in e la ragazza non li aveva ancora ottenuti in dietro, inoltre era in mezzo alle montagne, lasciare quel posto a piedi avrebbe voluto dire camminare per un numero imprecisato di chilometri per tornare alla civiltà.  Si disse che era disposta a farlo in extremis, prima però c'era un'altra strada che voleva tentare, anche se sarebbe stata costretta a resistere per un po' in quel posto. Aveva ovviamente conservato il numero della zia, l'unica che aveva le possibità forse di andare a prenderla. Avrebbe chiesto di fare una telefonata, non subito, ma quella sera per non destare troppi sospetti e avrebbe chiamato la zia. La richiesta di chiamare un parente, a suo parere, era facilmente assecondabile.
Cullata da quel pensiero, Ornella si addormentò, dopo essersi sistemata in posizione fetale, e si svegliò solo al suono della campanella che annunciava la cena. Uscì dalla stanza e scese ai piani inferiori e, dato che nessuno si era preso la briga di farle fare un tour orientativo, seguì gli altri ragazzi. Nessuno parve prendere atto della sua presenza, solo alcuni , due ragazze e tre ragazzi nello specifico, si degnarono di salutarla con un sorriso e di darle il benvenuto.
L'enorme sala del refettorio era fredda come se fosse stato inverno, o forse era Ornella che a causa del suo stato emotivo la percepiva così, fatto stava che sulle braccia le si era formata la pelle d'oca. La cena non fu niente di speciale, ma lei mangiò tutto, più perché suor Michelina controllava i piatti, che per fame.  Lo stomaco le si era chiuso per il nervosismo, perché dopo cena aveva intenzione di chiedere alla suora di usare il telefono. Aveva scartato l'idea di rivolgersi a qualcuno come suor Michelina; le era stato specificato che il telefono era sotto la giurisdizione di Suor Aurora, non valeva la pena perdere tempo o, peggio ancora, far credere alle suore che volesse  aggirare le regole. Perciò, appena la cena fu finita, prese da parte la madre superiora e le chiese:
"Mi scusi suor Aurora, se non è un disturbo, vorrei fare una telefonata."
La donna sorrise e fece segno a Ornella di seguirla. Era stato troppo facile, doveva esserci qualche trucco e non ci mise molto a capire qual era.
La madre superiora, infatti, una volta raggiunto il telefono, alzò la cornetta e compose un numero prima di passarglielo .
"Mi scusi," chiese Ornella, temendo la risposta, "che numero ha fatto?"
"Quello di tua madre."
La ragazza mise la cornetta al suo posto.
"No, c'è un equivoco, " disse cercando di risultare più diplomatica possibile " vorrei chiamare mia zia."
"Perché?"
Ornella dovette sforzarsi per non urlare alla donna che non erano fatti suoi.
"Vede," disse invece "ho lasciato un libro a casa sua e vorrei che me lo spedisse."
"Abbiamo dei libri anche qui, puoi leggere quelli."
"Si tratta di un libro a cui tengo molto, è un regalo di papà, uno degli ultimi prima che andasse via. Ci terrei a riaverlo."
La carta del papà che se l'era data a gambe non aveva funzionato, perché la suora con aria scettica rispose:
"Se ci tenevi così tanto non avresti dovuto lasciarlo a casa di tua zia. Ad ogni modo, Ornella, temo di non essere stata abbastanza esaustiva prima, avete il permesso di chiamare quando volete, ma non chi volete. Tu, cara, hai il permesso solo di parlare con tua madre. Puoi parlare con lei e chiedere di passare il messaggio alla zia."
Stronza, pensò Ornella e per poco non le sfuggì di bocca, anche se non era sicura se nella sua testa quell'insulto  fosse rivolto alla suora o alla madre. Sentì la rabbia montarle dentro e le lacrime premere prepotenti per uscire. Riuscì, tuttavia, a mantenere la calma e rinunciò alla telefonata con una scusa. E ancora una volta Ornella aveva due strade davanti a sé: guadagnarsi il diritto di usare il telefono senza supervisione leccando i piedi a quella psicopatica o fare in modo di entrare nell'ufficio senza essere vista. Optò per l'opzione più veloce; avrebbe aspettato che fosse notte e si sarebbe intrufolata di nuovo in quella stanza.
Ornella, non sapeva se era per eccessivo ottimismo o per cieca fiducia nella propria autorità, ma notò che suora Aurora non chiudeva l'ufficio a chiave. Quella era una buona notizia, ora si trattava di avere pazienza per qualche ora, quello lo poteva sopportare.
Decise di unirsi ad alcuni ragazzi che guardavano la televisione nella sala comune, nel tentativo di distrarsi;  inutile, visto che stavano guardando uno stupido film. Più efficiace fu scambiare quattro chiacchiere con uno dei ragazzi che l'avevano salutata a cena. Era un ragazzino di tredici anni, si chiamava Nicolò e  le disse che era lì perché i suoi genitori erano tossicodipendenti e gli assistenti socali gli avevano permesso di stare lì e che era molto contento anche se gli mancava sua sorella che però era stata affidata a una famiglia. Ornella, commossa da quella storia, non se la sentì di dire che era lì contro la sua volonta, e disse al ragazzo che era  temporaneamente al centro  perché suo padre era andato via, sua madre aveva dei problemi personali e a lei, nonostante fosse maggiorenne, serviva un posto dove stare. Il ragazzino, allora, le disse che aveva trovato un amico e che sarebbe stato contento il giorno dopo di mostrarle tutte le cose che facevano al centro. Ornella sorrise e accettò, intenerita dall'ignaro entusiasmo del ragazzo e gli fu grata per averle tenuto compagnia prima di andare a dormire.
Erano appena le dieci quando le suore mandarono tutti nelle loro stanze e Ornella adesso aveva almeno tre ore di attesa prima di essere sicura di poter uscire dalla sua camera. Fortunatamente aveva schiacciato un pisolino nel pomeriggio, perciò, si mise a leggere uno dei libri che aveva previdentemente preso dalla biblioteca comune.
Seguire la trama del libro non fu semplice e quando l'orologio segnava ormai mezzanotte e trenta, aveva letto appena una trentina di pagine. Il resto dell'edificio era silenzioso, ed era da circa mezz'ora che non sentiva più nessuno aprire la porta del bagno comune che si trovava in fondo al corridoio.
Ornella decise che era sicuro uscire e, silenziosa come un ninja lasciò la stanza, richiudendosi la porta alle spalle, per dirigersi scalza verso l'ufficio di suor Aurora.
Fortunatamente i suoi occhi si abituarono presto  al buio e quando finalmente fu entrata nell'ufficio, i mobili e gli oggetti, avevano oramai un contorno definito. Dando le spalle alla porta, che però per la fretta aveva lasciato aperta, Ornella compose il numero della zia, che si era ripetuta nella mente negli ultimi dieci minuti per memorizzarlo; al buio infatti non era sicura di poterlo vedere.  Zia Carla rispose assonnata al quarto squillo:
"Pronto?"
"Zia, sono io Ornella, non ho molto tempo. Mamma mi ha lasciato in un posto in mezzo al nulla, mi devi venire a prendere."
"Cazzo, Ornella, dammi l'indirizzo!"
La zia, fortunatamente, era passata da zero a cento in un secondo.
"Segna: Istituto figlie di Maria...."
Tu, Tu, Tu, la comunicazione era stata interrotta e una voce dietro di lei disse:
"Sapevo che avresti colto l'opportunità Ornella, è per questo che ho lasciato l'ufficio aperto."
La ragazza sentì il gelo, come credeva di averlo mai provato. Era una trappola  e lei ci era cascata. Lasciò andare la cornetta, che sbattè contro la superficie della scrivania e si girò verso suor Aurora, che aveva il cavo del telefono in mano. La donna nel buio della notte faceva ancora più paura.
"Cosa credevi di fare?" chiese accendendo la luce.
"Avevo bisogno di chiamare mia zia."
"A quest'ora, Ornella? Perché?"
Mentire non aveva più senso.
"Mia madre mi ha trascinato qui contro la mia volontà e mi serve qualcuno che mi venga a prendere."
"Sai che non posso lasciarti usare il telefono, Ornella."
La cosa che più rendeva inquetante quella conversazione era che la madre superiora le stava parlando come se avesse avuto sei anni.
"Vorrà dire che domani mattina leverò le tende e troverò un modo per chiamare qualcuno fuori di qui."
"Non farai neanche questo, Ornella. Tua madre ti ha affidato a me, fallirei nel mio compito se ti lasciassi andare via. Lo capisci?"
"Sono maggiorenne, sorella, non ha l'autorità per costringermi a restare."
"Ok, ma ora andiamo." disse la suora calma facendo segno a Ornella si lasciare l'ufficio.
Mentre camminava per il corridoio, Ornella fu presa da un brutto presentimento. L'arrendevolezza della suora era sospetta, come lo era che la stava accompagnando in stanza, camminandole affianco.
Ornella si chiese se non fosse il caso di cominciare a correre, così nella notte e senza scarpe.
Giunta davanti alla sua camera, Ornella esitò prima di aprire la porta.
"Vedi," disse Suor Aurora seguendo la ragazza per qualche passo all'interno della stanza "devi capire che questa sistemazione è per il tuo bene, quello che faremo qui è insegnarti i veri valori che sono la base di una esistenza degna di Cristo. Non puoi andare via, tua madre ne sarebbe affranta e francamente non credo che ti farei un favore a lasciarti andare, perciò..."
Suor Aurora, veloce, prese la chiave dalla toppa della porta.
"...sperando che tu capisca ciò che è giusto per te, resterai in questa stanza e uscirai solo per pregare."
Ornella, si mosse un po' troppo tardi verso la suora, che rapida chiuse la porta un attimo prima di essere raggiunta, e girò la chiave dall'esterno per tre volte.
Quella psicopatica l'aveva chiusa dentro e lei, a causa dello stupore, per una manciata di interminabili secondi non riuscì a emettere suono. Quando, però, si riprese dalla sopresa, Ornella gridò con quanto fiato aveva in gola. Non le importava nulla di che ora fossero, cominciò a gridare e battere pugni sulla porta.
Le sue proteste avevano allarmato tutto il piano ma non furono efficiaci, nessuno accorse in suo aiuto o si degnò di parlarle dall'altro lato della porta per calmarla. Solo suor Michelina, quando ormai gli intervalli tra un grido e un altro erano diventati più lunghi, si avvicinò e le intimò di fare silenzio e che non potevano darle niente.
Ornella allora intuì che quella pazza della madre superiora doveva aver raccontato a tutti che aveva problemi di droga, e le sue richieste di aiuto, erano state scambiate per crisi di astinenza. Fu a quel punto che Ornella smise di protestare e suor Michelina, credendo di aver raggiunto il suo obiettivo, se ne andò soddisfatta.
Si addormentò tra le lacrime accucciata alla porta e si svegliò quando la mattina dopo la madre superiora aprì la porta. Era mattina presto e senza nessuna delicatezza tirò su Ornella per un braccio.
"Vestiti, è ora di andare in cappella per le preghiere del mattino."
"Non vengo da nessuna parte con lei. L'unico posto dove andrò è fuori di qui."
Suor Aurora sospirò con disappunto, ma non la rimproverò.
"Come vuoi." disse e ancora una volta uscì chiudendo la porta dall'esterno.
Urlare non aveva senso e Ornella si era ormai convinta che anche fosse riuscita ad uscire,  non era certa  che nessuno l'avrebbe fermata una volta fuori.
Questo timore fu confermato un'ora più tardi quando la madre superiora tornò per portarle la colazione. Non era sola, con sé aveva portato due consorelle che erano rimaste fuori dalla porta.
"Devo andare in bagno." disse Ornella.
Non era una strategia, era vero non faceva pipì da molte ore ormai.
Suor Aurora parve valutare la cosa, poi disse:
"Suor Gabriela, accompagnala per favore."
Ornella aveva anche bisogno di una doccia a dire il vero, perciò approfittò del fatto che la suora sembrava più calma e chiese di porterne fare una.
"Potrai fare la doccia stasera, se parteciperai alle preghiere."
"Puzzerò, allora." disse dando una spallata alla suora, mentre la superava.
Il resto del giorno Ornella lo passò in camera cercando un modo per uscire da lì, si trattasse anche uscire dalla finestra o rompere la porta. Ma la finestra era posta troppo in alto e la porta troppo spessa, per essere rotta senza farsi male.
Cercò un contatto con Nicolò quando lo sentì passare nel corridoio, ma il ragazzo le disse che non poteva aiutarla ad uscire perché la madre superiora non volevq e, inoltre, credeva anche lui che Ornella avesse bisogno di aiuto.
"Devi resistere," disse a conclusione del suo discorso "la dipendenza è brutta."
Visto la  sua storia familiare, era normale che Nicolò avesse creduto alla storia della madre superiora e che si sentisse empaticamente coinvolto.  Quando Ornella gli aveva detto che quello che diceva suor Aurora era una bugia, il ragazzo aveva risposto:
"I drogati mentono."
Ornella con le mani sul volto si lasciò scivolare con la schiena lungo la parete e pensò che forse sfasciare la porta era l'unica soluzione.
A ora di cena, suor Aurora e il suo team si ripresentarono alla porta. Le fu concesso di andare in bagno ma ancora una volta non di fare la doccia.
"Ornella, devo essere sicura che ti sei data una calmata, altrimenti non posso fartelo fare."
"Innanzitutto sono calma, e poi che cosa crede che farò sotto la doccia?"
"Devo vedere che sei collaborativa, quindi, ti chiedo, parteciperai alle preghiere domani mattina?"
Ornella avrebbe potuto dire di sì in quel momento, e non farlo il giorno dopo. O addirittura poteva pensare di andarci in cappella, giusto per cambiare aria, ma era diventata questione di principio.
"No, voglio andare via. Se mi lascia andare, rinuncerò persino alla doccia. Ma se devo rimanere la prego, ho bisogno di lavarmi."
Suor Aurora scosse la testa, come se fosse penoso per lei dire di no. Ornella, però, sapeva che quella sadica stava godendo.
Ancora una volta la porta fu chiusa dall'esterno e la ragazza passò un'altra notte tormentata dagli incubi.
Ornella trascorse il giorno successivo nella stesso identico modo. L'unica diversivo, fu che Nicolò le lasciò sotto la porta un disegno. Trovò che fosse tenero e stupido allo stesso tempo. Ma non doveva essere troppo dura con quel ragazzo, perciò lo ringraziò.
Quella sera per Ornella fu facile prendere sonno, aveva esaurito le lacrime e  stava cominciando  stancarsi di quella guerra. Stava cominciando a valutare l'idea di cedere la mattina dopo.
All'ora di colazione, però, suor Aurora e il suo team non si presentarono. Ornella aprì gli occhi che erano le otto e venti. La madre superiora avrebbe dovuto essere già lì.  Ingenuamente pensò che suor Aurora avesse deposto le armi e si precipitò alla porta per verificare se  fosse ancora chiusa. Lo era e, in fondo, lo sapeva, questo, però, non le impedì di rimanere delusa.
Dubitava, tuttavia, che suor Aurora fosse il tipo da dimenticarsi di sfamare qualcuno che teneva segregato. Forse lasciarla morire di fame era una nuova strategia. Avrebbe dovuto essere spaventata da quell'assurda ipotesi, ma dopo gli ultimi due giorni non ne ebbe la forza, inoltre,  se quello era un modo per smuovere una situazione di stallo, allora, era il benvenuto.
Dopo qualche minuto sentì  la voce di Nicolò nel corridoio. Il ragazzo sembrava parlasse con qualcuno, e Ornella attirò la sua attenzione bussando alla porta.
"Nicolò, sei lì? Ti prego devi dire alla madre superiora di venire da me, è urgente."
Rispose una voce diversa da quella di Nicolò. Una voce che da sola, senza l'ausilio della vista, fu capace di rincuorare Ornella e farle scendere le lacrime che non pensava più di avere.
"Ornella, sono io. Resisti! Ti tiriamo fuori da qui!"

Se mi innamoro sotto le stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora