❈ 𝐂𝐇𝐀𝐏𝐓𝐄𝐑 𝟒 - 𝐂𝐑𝐀𝐂𝐊

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Dopo una settimana passata a Seoul, Jimin riuscì più o meno ad orientarsi e quando concluse quel piccolo colloquio presso l'officina in cui si era recato, il datore di lavoro aveva deciso di sottoporlo ad alcune prove prima di assumerlo definitiva...

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Dopo una settimana passata a Seoul, Jimin riuscì più o meno ad orientarsi e quando concluse quel piccolo colloquio presso l'officina in cui si era recato, il datore di lavoro aveva deciso di sottoporlo ad alcune prove prima di assumerlo definitivamente.

In fondo Jimin gli aveva confidato di essere bravo con le moto, ma con le macchine aveva tanto da imparare e visto che la maggior parte dei clienti che si sarebbe presentata faceva controllare la proprio autovettura, era necessario che il ragazzo sapesse fare il minimo indispensabile per il primo periodo.

Così venne affiancato sempre da uno degli uomini più esperti, in modo tale da essere seguito e vedere come si risolvevano i problemi principali.
Secondo alcuni avrebbe imparato nel giro di poco tempo, mentre per altri era difficile che riuscisse a riconoscere tutti i tipi di problemi legati ai motori, pneumatici, telaio o batteria.

Ma non sapevano che Jimin era un osso duro, ma così duro che era necessario metterlo in condizione di non lavorare per convincerlo ad allontanarsi.
Nel momento in cui aveva capito di avere una piccola chance, decise di condividere la notizia con i suoi zii per dimostrare loro che si stava veramente dando da fare, ma questi ultimi non sprizzarono gioia da tutti i pori.

Rimasero quasi indifferenti, anche perché per loro era ancora difficile cercare di empatizzare con Jimin: lui sembrava aver gettato i problemi alle spalle con una facilità straordinaria, il che era scioccante.

Vederli così indifferenti gli fece un po' male all'inizio, ma poi si fece quell'esame mentale per ricordarsi chi aveva davanti e per quale motivo non fossero felici: potevano anche fingere di farlo pensando che Jimin non avrebbe più dovuto dipendere economicamente da loro per quei pochi pasti che condividevano insieme.

Alla fine della fiera, il biondo aveva ideato un piano alternativo che sicuramente lo avrebbe aiutato ancora di più.

“Devo andarmene da qui.”

Sapeva che poteva essere prematuro pensare di togliere il disturbo dopo una settimana dal suo arrivo, ma pensava che l'esigenza di trovare un posto dove alloggiare fosse soffocante: non gli piaceva essere considerato un carnefice, così come non gli piacevano gli sguardi di sua zia per il suo rancore smisurato.

C'era una ragione se Jimin aveva fatto quel che aveva fatto e in piccola parte aveva già preso la sua buona dose di rimproveri, quindi non c'era motivo di aggiungere il carico da cento.

In caso avrebbe aspettato qualche giorno ancora per ambientarsi meglio, poi avrebbe preso in considerazione l'idea di dormire altrove, magari in un albergo: era meglio se si fosse trovato da solo, perché non avrebbe accettato ulteriori occhiatacce da parte dei suoi famigliari.

Voleva vivere leggero e felice.

Come sempre.

Come aveva fatto per dieci anni.

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