1.9 - BEVERLEY 💋🔞

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TW: questo capitolo contiene linguaggio volgare e descrizione di sesso.

Sam mi viene dietro con i cavi mentre li dispongo nella cassa. «Sembra che la marea si sia calmata».
«Cosa?» lo guardo, sorride col suo stuzzicadenti in mezzo alle labbra.
«Patrick, a quanto pare non siete più la chiacchiera del team».

La chiacchiera? «Scusa, cosa intendi? Io e lui siamo in piena rivalità per il MIT, lui sta cercando la raccomandazione da Ella, e io devo far capire alla signora che mette i soldi qui, che so fare meglio di lui». Raddrizzo le spalle e butto avanti il petto.

Sam ride, o tossisce, non so. «Ehi, calmati, tettine».

Sbuffo e sposto i capelli dalla fronte e mi rituffo in una delle enormi valigie a mettere a posto della gommapiuma. «L'inglese spocchioso sembra bravo, a lavorare». E non solo sul mio sesso. «Non lo dire a nessuno. Sono giorni che cerco di trovare una falla sul suo lavoro, ma è preciso e veloce, proprio come piace a me».
E, per lo meno, sembra che si sia messo il cuore in pace, almeno lui. Non fa più battute cretine sul sesso e anche Jane si è squagliata da qualche parte, nel continente nordamericano.

Solo che sono io che non faccio altro che pensare alla sera della tempesta. Per quanto mi controlli, ogni volta che siamo vicini mi devo concentrare sui circuiti, o vado in corto circuito.

Riemergo dall'oscurità puzzolente di plastica e lo individuo. Non sono mai stata così elettrizzata, con un ragazzo vicino. A parte nel lavoro, non mi parla più.

La sirena rompe il silenzio del parco dello stadio. Sarà ora di mangiare. Mi affretto a chiudere la valigia.

In una delle sale riunioni hanno allestito per l'ultima volta di questa tappa una tavolata, i vassoi però sono mezzi vuoti, tre quarti non hanno più nulla, c'è rimasta qualche verdura e della frutta a pezzi. «Accidenti, mi sono attardata».

«Oh, che peccato, non c'è più nulla». Il tono di voce lo riconosco, e non è quello remissivo e gentile come i giorni scorsi, quando lavorava e non mi stuzzicava.

Getto il viso al soffitto «Mandy, caro. Io almeno lavoro, tu invece?» Mi volto, mi mette sotto un piatto dove ci sono due fette di torta di mele e una quantità di panna che potrebbe essere definita il monte Rushmore.

«Se volete mantenere il peso forma». Prende una cucchiaiata di panna e se la mette in bocca. Tira fuori il cucchiaio e con la lingua ripassa sopra la superficie, lento, mentre mi guarda negli occhi. Incurva la punta e la passa nell'incavo della posata, tirando su l'ultimo rimasuglio di crema. Ho fame. Stringo le gambe mentre le fiamme mi divorano lo stomaco e il basso ventre. Sto iniziando a sudare, lì in mezzo? O sono davvero bagnata? Mi sembra tutto surreale, finché non gli cade il cucchiaio.
Per un attimo mi riprendo «Sei proprio ridicolo».

Spalanca gli occhi, li muove per guardare per terra e li rimette su di me. «Oh, mi è caduto, sì, sono proprio uno sbadato». Immerge un dito nella panna e me lo mette davanti alle labbra. «Peccato, volevo offrirvi un po' della crema» sorride e si morde un labbro «Potrebbe piacervi».

Sto ansimando. Sto ansimando, io? Ho il cuore in gola che vorrebbe scappare, e anche le mie gambe. Anzi no, vorrebbero attorcigliarsi a lui, che si sta rimettendo il dito in bocca, stavolta. Lo ha fatto apposta, a far cadere il cucchiaio, lo stronzo. Ma gliela do io, la torta di mele.

Raccolgo il cucchiaio da terra e fermo un energumeno che sembra uscito dai film dei pirati, ha pure una cicatrice a un occhio. «Ehi, Greg, Mandy qui dice che non saresti capace di leccare questo cucchiaio che è caduto a terra».

Soffre di ipersalivazione, Greg, e non gli fa schifo niente. È il mio uomo. Tira fuori la lingua, si mette in bocca il cucchiaio e lo tira fuori viscido come un polpo. Me lo ridà, con un'espressione soddisfatta, e si allontana.

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