2.12 - PATRICK 🌶

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Da ieri sera, non ho più sentito nulla. Ella non mi ha risposto. Non vorrei andare da suo padre a chiedere il divorzio faccia a faccia. Mi scomunicherebbe, o peggio, mi farebbe crocifiggere.

Vago per il campus finché arrivo in mensa. Mark è lì, da sola. Dopo la settimana scorsa, non l'ho più vista andare con qualcuno. Ci sono voci che dicono che porti male, andare con lei. Certo, magari pensano di diventare impotenti. Del resto, è quello che stanno dicendo di me, ora che ci faccio caso. La gente mi guarda e ride.

Afferro una forchetta dal distributore, vado al suo tavolo e mi siedo di fronte a lei; infilzo il pezzo di bistecca appena tagliato e lo metto in bocca.

«Ehi...» alza la testa di scatto, «Non si ruba da mangiare ad una signora incinta!» alza le sopracciglia, come se mi volesse sfottere, poi ride. Non so se dica sul serio, ma questa è la prima volta che la vedo ridere. Voglio vederla ridere, sempre. Sembra il sole dopo un inverno freddo.

«Sposami, Mark». Mi esce dalla bocca e mi rendo conto troppo tardi di quanto sia stato sincero. Lei si fa seria. Scuote la testa di capelli ricci e rossi «Perché dovrei dirti di sì?»

Mi piego sul tavolo, verso di lei. «Non lo so. Forse perché sono l'unico a cui hai detto che sei incinta? O forse perché provo qualcosa per te che non riesco a spiegarmi».

Lei mette giù la forchetta e arretra «E tu vorresti sposarmi per questo? Per una sensazione? Per una presunta confessione? Pensi che voglia farti pena?» si alza e se ne va.

No, non sono disposto a lasciare perdere, non adesso.

La seguo e non la lascio un attimo, lei mi distanzia e si avvicina ad un ragazzo, forse del terzo anno. Lo abborda davanti a me. Mi tengo a distanza mentre lei flirta e per un attimo rimango frastornato, e lo lascio andare con lei.
Perché mi ricorda lo stesso male che ho sentito... Quando l'ho sentito?

Mi porto istintivamente la mano al collo. Non voglio vivere in un mondo dove non c'è Mark. Non senza di lei.

«Va bene, fai come vuoi!» le grido, in mezzo al giardino, «Ma se vuoi, io sono qui. E sappi che ti voglio. Avresti potuto farti decine di ragazzi, il campus, tutti, escluso me! Tanto in quattro anni ce ne sarebbero stati, di uomini a cui infilare un preservativo sul cazzo e fartelo infilare mentre indossi un mini abito, e magari anche di fronte a me. Ma sappi che io starò sempre qui. Per te».

Se ne va col tizio.

In quel momento mi arriva un messaggio da mio padre.

[Sei diseredato].

Cosa?

Digito di fretta il suo numero. «Che cazzo~».

«Ci vediamo in tribunale!» Non mi lascia nemmeno finire di parlare e riattacca.

Subito dopo arriva un messaggio di Ella, con una data e l'indirizzo di un palazzo di giustizia, a New York.

La chiamo. «Ella che cazzo hai combinato?». Sto sudando freddo.

«Ti ho dato quello che mi hai chiesto. Non ringraziarmi». Riattacca anche lei.

Quello che ho chiesto? Ma che cazzo...

Piantato da Mark, Ella che mi porta in tribunale e mio padre che mi dice che sono diseredato.

Torno in camera, ma non riesco a studiare, né a pensare a qualcosa. Mi conviene stare rifugiato qui. Spengo il telefono e rimango a rimuginare. Forse, me lo merito. Ella mi ha detto che rischiavo. Se lei mi avesse detto di sì, non mi sarebbe importato dell'eredità. Invece mi tocca andare in udienza al giudice e pagare davanti a tutti, per quello che provo per Mark.

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