2.2 - BEVERLEY 💋🔞

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TW: questo capitolo contiene linguaggio volgare e descrizione di pratiche sessuali.

La tomba di papà, con un angelo sopra, è sempre lì che mi ricorda quanto sia effimera la vita e che va vissuta fino in fondo.
«Ciao, pà...». La foto è statica, ma quello che ho visto mentre ero morta, le espressioni del suo volto, i suoi occhi azzurri che brillavano, erano veri.

«Così me l'hanno portato via. Anche se magari è colpa mia. Ho detto io a Damien che poteva lasciarlo andare via, no? Cosa faccio, quando lo rivedo al MIT? Vorrei che tu fossi sempre qui a consigliarmi, come facevi con Damien e con mamma». Cerco di riportare a mente le immagini di lui quando ero piccola. Me lo ricordo come un gigante. E se ripenso a quello che ho visto, lo era davvero.

Forse, è meglio che mi concentri sul MIT.
Il telefono squilla, un messaggio da Jane. Una parte di me spera che mi dica che si è svegliato e l'ha mandata a fare in culo, che ha gridato ai quattro venti che lui è innamorato di me.
Ma forse non riesce nemmeno a parlare, ancora un centimetro e si tagliava la giugulare. Per fortuna, è svenuto prima.
Mi cadono le braccia, e anche qualche lacrima.

[Si è svegliato e non si ricorda nulla di questa estate, nemmeno di te]

Chiamo mia madre. Non l'ho ancora perdonata per quello che ha fatto. Mi sento tradita.
«Non si ricorda di me» annuncio, laconica.

«Mi dispiace, tesoro».
«Mamma, io ancora non capisco perché tu abbia aiutato Ella in questa cosa. Il contratto di matrimonio! Hai redatto il contratto di matrimonio e sai che io e lui...» non riesco a finire la frase. Ho litigato per una settimana, ogni minuto, per quello che mi ha fatto.

«Ella ha insistito, mi ha pregata».
«Lo hanno forzato a sposarsi. Sono degli stronzi e tu sei loro complice» il grido mi arriva strozzato dalle lacrime ed echeggia nel verde del cimitero.

«Bev!»

«Mamma!» protesto. Lo so che non sono fatti miei, che ho confessato a papà che volevo che si dimenticasse di me, però questo matrimonio non ha fatto piacere né a me né a Benjy.

«Stai tranquilla» il suo tono di voce è sereno e non capisco come faccia ad avere la coscienza pulita.
Stare tranquilla? Mamma, io sono incinta di quel ragazzo! E voglio... Voglio stare con lui.
«Va bene» riattacco.

Mi si stringe il cuore. Cos'è, gelosia, quella che provo? Solitudine? Il calore delle sue braccia la notte prima dell'incidente, è inciso sulla mia pelle insieme al suo profumo di mare, al suo sapore dolce sulla punta della lingua.
Vorrei che fosse una droga da poter andare a comprare al negozio all'angolo ogni volta che ne ho bisogno, ma lui è lontano e ora non si ricorda nemmeno di me, delle volte che mi ha detto che mi voleva far venire, delle grida, i litigi e gli orgasmi.

Cerco un tatuatore e mi faccio un tatuaggio. Proprio poco prima dell'inizio del sedere.

Solo lui mi prendeva da dietro. Stupido da dirsi, Mandy, ma il mio sedere è solo tuo, anche se tu non lo riavrai mai più.

Giorni dopo, entro in campus.
La migliore sorellanza non fatica molto ad ammettermi, con i voti che ho. Avere Damien e mio padre che hanno fatto la stessa università, aiuta.

Mio dio, quanta carne che c'è. Ragazzi affamati di fica di ogni età.
Non voglio pensare troppo a lui. Devo darmi da fare con altri, qui. Oltre che allo studio.

La stanza in cui entro è da tre.
«Ciao, io sono Debbie». Mi allunga la mano una tipa bionda riccia con gli occhi castani,  bassina ,ma ha un fisico atletico.
«Beverley».
«Bab». Mi giro. Castana, capelli corti, con la sigaretta spenta in bocca.

Esploro il campus e individuo qualche persona che potrebbe fare al caso mio. Mi avvicina un ragazzo, fisico normale, faccia un po' da nerd.
«Ehi, ciao. Che indirizzo hai?» Mi guarda come se fossi il miglior pezzo da museo che ci sia in giro. Potrei farci un pensiero.
«Aeronautica, specializzazione in telecomunicazioni».
Si piega un po' «Che peccato, io faccio architettura. Terzo anno» si lecca le labbra e continua a guardarmi.
Alzo un sopracciglio. Uno del terzo anno non è male, come inizio.
«Architettura. Progetti cose grandi?» accorcio la distanza, «Tipo, torri, palazzi, cose che si alzano?» allungo la mano e gliela appoggio sulla spalla, è di poco più basso di me, ma non è un problema. Da sdraiati sono tutti uguali «Conosci un posto dove potermi far vedere le tue doti di architetto?».
Alza la testa e mi afferra un braccio, si avvia senza esitare verso una certa direzione.

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