2.4 - BEVERLEY

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Devo fare un mese di pulizia dei bagni nel dormitorio dei ragazzi. Non male, magari ci guadagno qualche scopata. Non oggi, però. Gira la voce del pugno che ho dato a Mandy e mi stanno tutti lontani.

Sulla strada per l'auditorium per la lezione, da dietro di me arriva una voce.
«Ehi, ciao. Senti, mi dispiace di averti offesa, ieri sera».

Mi paralizzo, il cuore salta un battito e le gambe si congelano. Però, la sua voce, per quanto roca, mi batte tra le gambe come facevano i suoi colpi.

Mi giro, un passo alla volta. Nel buio del giardino ieri sera non l'ho notato bene, ma ha una cicatrice sporgente, rossa, larga, là dove papà mi aveva fatto notare il sangue.

Ho le vertigini, devo stare attenta a non andare in iperventilazione, o svenire di nuovo, come quando l'ho visto sulla barella dell'ambulanza.

I suoi occhi di ghiaccio mi fissano in aspettativa. Stringo la cinghia dello zaino fino a che il palmo non mi fa male.
Non ti ricordi di me, mentre io vorrei saltarti al collo e baciarti, fare l'amore con te qui, in mezzo al prato.

Sorride discreto e abbassa lo sguardo, per poi rialzarlo di nuovo. Chi è questo ragazzo? Lo stesso che si è presentato a cazzo duro di fronte a me durante una tempesta? Davvero?

«Strano, che ti scusi. Ti ho fatto così male ieri sera?». Lo spero. Devo tenerlo lontano, per il mio bene.

Serra le labbra pensieroso. «No». Mi mostra lo zigomo, rossastro. «Beh, c'è un bel livido, però che non mi fa male».

«Allora ne vuoi ancora». Lo guardo immobile in segno di sfida.

Si morde il labbro, stavolta non stacca gli occhi glaciali dai miei. «Sì ne voglio ancora».

Mi s'ingarbuglia il cervello. Il caldo tra le mie gambe si fa più intenso. Non credo che si renda conto di quello che sta dicendo, eppure, è convinto. Intorno, il campus si sta animando. «Credo che non sia il caso di darti un altro cazzotto ora». Gli volto le spalle e torno sui miei passi.

«Senti, che ne dici di fare due chiacchiere? Abbiamo iniziato col piede sbagliato, non credi?».
Ancora, la sua voce dietro di me sembra un laccio che mi stringe il torace e mi torce lo stomaco. Mi blocco, lui è a pochi centimetri dalla mia schiena, lo sento. Se mi sta ancora addosso, scoppio.

Voglio quelle labbra, voglio il suo odore addosso.
«No. Abbiamo iniziato col piede giusto». Lo affronto di nuovo faccia a faccia, il cerchio al suo dito mi ricorda ogni secondo perché non voglio avere a che fare con lui. «È una fede quella che hai al dito, vero?».

«Sì, ma non l'ho voluto io» si sposta più indietro, «Mi sono ritrovato così».

Me ne vado senza sentire il resto del discorso. Tanto lo so già qual è.
Niente da fare, me lo trovo di nuovo lì, stavolta al passo col mio. «E in cosa ti vuoi laureare?»

Non si ricorda nemmeno dei nostri litigi sul fatto che avevamo intenzione di fare la stessa facoltà e questo mi traccia un segno freddo di dolore lungo il petto, come la lama che gli ha tagliato la gola.

Accelero, ho difficoltà a respirare per il dolore, e lui ha difficoltà a starmi dietro. Si ferma mentre continuo ad andare. Lo abbandono a metà strada ed entro in aula.

A lezione non lo vedo intorno a me, almeno non davanti né di fianco, però appena finite le ore, mi è di nuovo addosso. «Ciao, io sono Patrick Albert Amanda Hastings-Ferguson».

Già, l'ho tatuato sul culo.

Insiste nel suo discorso. Non era così discreto, questa estate. «Come ti chiamano? Beverley? Bev? Posso chiamarti lady Mark? Scusa, mi è venuto spontaneo, ieri sera» mi porge la mano.

La guardo. Lui non sa... no, non ricorda cosa mi ha fatto quella mano, con quelle dita lunghe e aggraziate. E quelle sue labbra. Vorrei baciarti, ma poi non saprei più staccarmi da te, Mandy.

Un cretino, invece, si avvicina. «Ehi, Frankie, ci provi subito con Bev? ti piace scopare le ragazze che ti prendono a pugni?» il biondo ride. «Non si fa abbordare, è lei che abborda te».

Frankie? Comunque una parte della sua testa la sa già, questa storia, forse. Ne approfitto del biondino per sfuggirgli ma Mandy è un setter inglese, non mi molla nemmeno ora che non sa più chi sono.
«Senti, io non ti voglio scopare» ansima, mentre mi sta dietro. Settimane a letto e il matrimonio con Jane non gli hanno giovato.

«Immagino. Sei sposato».
«Ancora con questa storia? Senti, la ragazza con cui mi sono... no, mi hanno sposato, non mi interessa. Non riesco nemmeno ad andarci a letto!» risponde concitato. Almeno, in questo non è cambiato.

«Ah, quindi sei impotente? Non mi interessa, grazie». Per fortuna sto per arrivare al dormitorio.

«Senti, ho notato tutti i tuoi tatuaggi. In genere non mi piacciono, ma ti stanno veramente bene. In particolare quello che hai sul... sopra alle natiche».

Se ha visto quello, va da sé che ha visto molto bene anche il mio sedere. Devo ammettere con me stessa che un po' l'ho fatto apposta.

«Quello non è carino. Quello è il mio culo, che non lo deve prendere nessuno».

«Quindi, ancora non c'è un nome?»

Mi fermo sulla porta del dormitorio e mi volto di nuovo verso di lui. Se ne sta composto davanti alle scale dell'entrata e tiene stretta davanti a sé la sua valigetta in pelle da inglese.
Nei miei ricordi ho le sue mani sul mio sedere e mi viene voglia di prendergliele e mettermele addosso.

«Sì, c'è un nome». Ma perché gliel'ho detto? «Ma quella persona non c'è più. E faccio quello che voglio».

«Un errore di gioventù?» mi scruta, curioso come se volesse trovare nelle mie parole quello che ha perduto.

Devo piantarla di dargli corda. «Non è successo non molto tempo fa», mi volto verso la porta, «E poi lui si è dimenticato di me». Entro e lo chiudo fuori. Vorrei chiuderlo fuori dal mio mondo.

Mandy, ti sei dimenticato di me. Ma in fondo, sono io che l'ho voluto, no? L'ho chiesto io, a papà.

💋

Un capitolo soft, lo so. Ma anche Bev sta diventando più romantica, o sbaglio?

Spoiler next chapter 😁

Prende la sedia accanto alla mia e si accomoda, poi mi fissa. I suoi occhi verdi mi ricordano qualcosa. Un grido di piacere, di una tonalità molto più alta della voce con la quale mi sta parlando. Sta accennando un sorriso e io contraccambio «Devo dimostrare che lo merito, questo posto, no?».
Giocherella con la matita per qualche minuto, vorrei ignorarla ma il suo profumo mi investe come un tir. Mi ricorda il profumo della torta di mele che ha segnato la mia infanzia e i miei momenti felici, prima che mi rendessi conto che dovevo essere un arrampicatore sociale.

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