29. Caos

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Feci un respiro profondo e mi girai per controllare se la macchina di mio padre fosse ancora posteggiata di fronte a casa di Pedro. Vedendomi, papà mi salutò dall'autovettura e io feci un cenno con la mano.
Dannazione... papà era sveglio, aveva capito che sarei benissimo andata altrove anziché entrare in quella stramaledetta casa.

Finalmente mi decisi a suonare il campanello. Finalmente, proprio così, perché ero in ritardo. Volutamente in ritardo, aggiungerei dire.
Attesi immobile con il magone in gola.
Vedere Pedro faceva sempre quello strano effetto.

«Ciao entra pure» disse velocemente lasciandomi la porta d'ingresso aperta mentre lui si era già allontanato per percorrere il lungo corridoio che portava al salotto.

Oh, fai pure come se fosse casa tua Amelia... pensai tra me e me. Entrai chiudendo alle mie spalle la porta e lo seguii.

«Non sei obbligato a farlo» parlai sedendomi vicino a lui nel tavolo e incominciai a tirare fuori il libro e il quaderno.

«Voglio aiutarti se sono in grado di farlo, avanti proviamo a tradurre un testo...» disse rubandomi dalle mani il libro e incominciando a sfogliarlo.

Io mi soffermai a guardare il suo profilo. Così concentrato e intento a cercare un valido testo da tradurre era veramente sexy. Improvvisamente sentii un gran caldo divampare in me. Una volta scelto il testo iniziai a leggere, ma la sua vicinanza riusciva a deconcentrarmi. Il mio stomaco sembrava stato preso in affitto da tante piccole farfalle.

«Sigue leyendo -Continua a leggere-» disse accendendosi una sigaretta e sbuffando il fumo verso il lato opposto al mio. Il respiro si fece più pesante e cercai di risistemarmi meglio sulla sedia.

«Non ho voglia» sbuffai rispondendo nella mia lingua madre. In parte era vero, ero stanca e la concentrazione era calata al minimo.

«No entendí bien, respóndeme en español -Non ho capito bene, rispondimi in spagnolo» ribatté con un sorrisetto. Voleva fare il simpatico? Perche quel pomeriggio non lo era per niente.

«Ya no quiero -Non voglio-» risposi, ma la mia risposta lo infastidì perché finì velocemente la sua sigaretta e la spense, con fare arrabbiato, nel portacenere.

«Spiegami bene perché hai lasciato metà della verifica in bianco, se sai parlare perfettamente lo spagnolo» ritornò a parlarmi in inglese.
Cercai di evitare il suo sguardo e mi concentrai  a leggere i titoli dei libri riposti ordinatamente nella libreria della parete opposta.

«Perché papà ti ha fatto vedere la verifica?!» esclamai con voce acuta. Stavo iniziando ad infastidirmi pure io. Odiavo che qualcuno spifferasse in giro i miei insuccessi, me ne vergognavo e non ne andavo fiera. Mi sentivo stupida ai suoi occhi.

«Non hai risposto alla mia domanda»

«Non avevo voglia di farla» mi inventai una scusa. Una pessima scusa, certo che avevo molta fantasia io...
Neppure Pedro mi credette infatti nel suo volto si fece spazio un'espressione incredula.

«Menti»
«Non sto mentendo»
«Menti. La mia non era una domanda» disse.

Mi girai finalmente a guardarlo e solo in quel momento mi accorsi di quanto fossimo vicini. Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.

«Qual è il problema ora?» chiese con voce roca. Eravamo tanto vicini da poter sentire il suo fiato mischiarsi al mio. Il suo profumo mischiato all'odore del tabacco mi inebriò i sensi. Quella situazione non andava affatto bene. Per niente.

I miei occhi vagarono su ogni linea spigolosa dal suo volto. Pensai a quanto fosse bello e cercai di imprimere nella mia mente il suo volto.

«Sei tu il problema» avrei tanto voluto dire. Avrei voluto essere seria, composta, indifferente al suo sguardo. Tutto questo non era possibile e la colpa era solo mia. In un millesimo di secondo mi avvicinai all'uomo dinnanzi a me e mi avvinghiai alla sua bocca.
Per settimane mi ero chiesta quanto fossero morbide le sue labbra. Ecco in quel preciso istante ne avevo la conferma.

Whiskey eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora