CAPITOLO 37

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Sebastian Pov.

La vedo uscire di casa, il suo volto ancora abbagliato da quel sorriso incantevole. I ricordi della notte restano impressi nella mia mente.

La macchina si allontana, lasciandomi completamente solo. Mi guardo intorno, forse è meglio farmi una doccia.

L'acqua scorre calda sul mio corpo, creando un vapore che si diffonde rapidamente nell'aria. La luce tenue riflette ombre suggestive sulle mattonelle grigie del box doccia.

La fragranza del sapone si mescola al vapore, avvolgendomi completamente in quel profumo. I miei pensieri vagano nuovamente su di lei. La immagino nuda, sotto di me, mentre geme il mio nome.

La mia eccitazione risuona nel mio corpo, facendomi rivivere le sensazioni di piacere. Ogni goccia che cade sembra portare con sé anche i pensieri più preziosi, almeno per quei fugaci momenti sotto la doccia.

Esco dalla doccia, sospirando, mentre il mio riflesso appare sfocato per via del vetro appannato. Apro la porta, facendo uscire la nube di vapore.

Il campanello suona nuovamente, spezzando il silenzio. Mi vesto velocemente prima di andare ad aprire.
La figura di mio padre mi si palesa davanti. Entra senza nemmeno salutarmi. «Auguri» Il suo tono serio non mi procura più nessuna emozione. Ormai sono abituato.

Da piccolo ci sarei rimasto male; il senso di abbandono vive ancora in me, ma ora è nascosto, è diventa una cosa normale. Quando lo guardo, penso solo che non doveva nascere; è un reietto che ha portato alla distruzione della nostra famiglia.

La morte di mia madre è solo colpa sua. Lei è morta proprio il giorno del mio compleanno, oggi.
O per meglio dire, lui l'ha uccisa, il giorno del mio compleanno. Agli occhi della legge e di tutti, a portarla via da me è stata una malattia, ma io ricordo perfettamente quel giorno.

. Flashback .

«Papà, oggi andiamo a trovare la mamma?» lui mi prende per mano, annuendo.
«Sì, oggi salutala per bene» mi scompiglia di poco i capelli, prima di salire in macchina e guidare fino all'ospedale.

I medici mi salutano in modo amichevole, ormai mi conoscono bene, vengo qui da quando ho 2 anni, ora ne ho 10. «Mamma!» le corro incontro, ma questa volta papà non entra.

Perché? Non vuole salutare la mamma?
«Piccolino mio» amo quel soprannome, solo lei mi chiama così. «Come sei cresciuto» mi sorride, i suoi occhi sono stanchi, ma il suo cuore batte ancora.

«Sì mamma! Sono alto ora» la mia mano si posiziona sopra la testa. «Guarda! Diventerò altissimo» la sento finalmente ridere. «Oggi a scuola abbiamo fatto matematica, non capisco molto bene i numeri» confesso sedendomi di fianco a lei.

La sua mano mi accarezza la schiena, cullandomi.
«Non ti preoccupare, sarai bravo in altro» annuisco freneticamente. «In musica, la amo, oggi abbiamo visto un video su un ragazzo che suona la chitarra» lei mi ascolta, senza dire nulla.

«Ma non quella che suoni tu mamma! Una più forte» di nuovo la sua risata... la amo così tanto.
«Si chiama chitarra elettrica» mi dice.

«Sebastian, dobbiamo andare, tra poco hai le lezioni pomeridiane» papà mi richiama, dicendomi di aspettare fuori per qualche secondo.

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