CAPITOLO 33

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Sebastian mi accarezza i capelli mentre siamo entrambi sdraiati sul letto, ancora nudi, avvolti solo dalle coperte. «Potrei abituarmi a questo», le sue dita scorrono sulla mia spalla.

«Vuoi davvero abituarti a tutto ciò?» chiedo, guardando il suo petto scoperto dal lenzuolo. «Sì», sussurra. Sorrido istintivamente; ciò che mi ha detto mi rende felice, mi sento bene con lui.

Porto le mani sul suo petto, accarezzando il serpente che ha sull'addome. Seguo il suo corpo fino alla punta. «Perché ti sei tatuato dei serpenti?» chiedo, curiosa.

«Fobia», si limita a dire. «Hai paura dei serpenti?» lui annuisce, e io mi alzo di poco per guardarlo meglio.

«Ho sempre pensato che le fobie siano paure infondate; detesto averne e tatuarmele mi aiuta a superarle», lo ascolto mentre parla, incantata dalla sua voce.
«È una cosa magnifica, però, secondo me non sono paure infondate», alza le spalle alla mia affermazione.

«Quando ero piccolo, avevo paura di troppe cose e non le ho sfogate nel migliore dei modi», aggiunge, facendo un piccolo sorriso. «In che senso?» chiedo con curiosità. Di Sebastian so veramente poco, ma quel poco che so è importante. Lui si è fidato di me e ha rivelato il suo rapporto con il padre, e ora mi racconta dei suoi tatuaggi, pian piano sto iniziando a conoscerlo.

Lui, non sa del mio passato. Tempo fa ha visto per la prima volta le mie insicurezze, la fatidica scelta del vestito. Ma dopo quello, non abbiamo più avuto una conversazione profonda.

«Mi sono tatuato per nascondere le mie cicatrici», mi mostra il suo braccio libero. Solo in quel momento vedo delle piccole ferite, ormai cicatrizzate. Il rialzo della pelle è poco evidente; il tatuaggio lo copre bene.
«Questa è la prima che ho fatto», racconta.

«Avevo 12 anni, mia madre era appena morta e mio padre non faceva altro che bere», sento che quello che mi sta dicendo è una confessione. Un qualcosa che mi lega sempre di più a lui. «Sebastian», la mia mano arriva fino al suo braccio, sfiorando delicatamente la sua cicatrice.

«Mi dispiace tanto», affermo. «Ma ti capisco».
Lui abbassa il braccio guardandomi con aria confusa. «In che senso?» chiede.
Io mi sento, spostandomi di dosso le coperte che coprono il mio corpo nudo.

Quando sono totalmente scoperta, indico vari segni sul mio addome, sui miei fianchi, gambe ed infine mostro le braccia. «Sono leggeri, così passano inosservati», dico mentre le sue dita iniziano a tracciare la linea di ogni cicatrice.

«Perché?» chiede improvvisamente, senza lasciare la mia pelle. Sospiro, guardando le sue mani.
«Bullismo, problemi con il cibo e a volte anche solitudine», confesso con un filo di voce.

«Ho perso mio padre quando ero piccola, anche se con mia madre ho sempre avuto un buon rapporto, lei spesso non era a casa, per lavorare», lui non dice una parola, mi ascolta.

«A scuola venivo presa in giro per il mio peso, così il cibo è diventato il mio peggior nemico», chiudo gli occhi e sospiro. «Avevo periodi in cui mi ingozzavo, altri in cui digiunavo...» faccio una piccola pausa.

«E quando ho un crollo, ci ricado ancora», lui mi prende il volto e mi bacia, senza aggiungere una sola parola. Non è un bacio come gli altri, è un bacio delicato e profondo, pieno di significato e forse anche di sentimenti.

«Quel coglione sapeva queste cose?» chiede.
Mi metto a ridere, ma la sua espressione è così seria.
«No, non sa nulla», ammetto.
«Lo sapevo, quello sa solo dire cazzate. Bisogna conoscere cosa piace alla tua ragazza, io ci sono sempre stato, blah blah blah» rotea gli occhi cercando di imitare la voce di Davis. Io non faccio altro che ridere, sentendo il suo tono. «Sembri un bambino» gli dico.

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